Perché tanti richiami di auto?  

Perché tanti richiami di auto?

Pubblicato il: 03/11/2018 16:07

I richiami delle auto da parte delle case automobilistiche che le producono e immettono sul mercato sono sempre più frequenti. Chrysler Pacifica Phev, Jeep Renegade e Cerokee sono protagoniste di tre distinti richiami in Nord America; Toyota ha richiamato 1,6 milioni di auto per colpa di airbag difettosi; altrettante auto diesel a rischio incendio sono state ritirate da parte di Bmw. E sono solo gli esempi più recenti. Per Giuseppe Berta, docente in Bocconi e storico dell’economia, oltre a essere la memoria storica di casa Fiat, la ragione risiede nella evoluzione stessa che sta affrontando il comparto, sempre più orientato all’elettronica e al fatto che i fornitori delle piattaforme sono “trasversali” a tutto il settore. Se dunque un errore si manifesta su un’auto, il medesimo facilmente si esprimerà anche su veicoli di altre case produttrici.

“Quello dei richiami delle auto è un tema sul quale ci si è interrogati a lungo. Che cosa sta avvenendo? Perché tutti questi richiami? È chiaro, anzitutto, che oggi – spiega all’AdnKronos – c’è una attenzione molto più alta che in passato, basti pensare alle class action americane. Ma come mai si incorre in questi difetti, in questi errori di fabbricazione? La mia ipotesi, che non posso suffragare con dei numeri, è che oggi nel sistema dell’auto hanno grande peso i fornitori, i cosiddetti sistemisti, di primo livello, cioè quelli che forniscono ai produttori finali gran parte dei loro devices tecnologici. Questi fornitori sono trasversali. Non servono una solo a casa automobilistica, ma spesso le servono tutte, o quasi. Perciò possono facilmente indurre un fenomeno di contagio“.

Sistemisti sono realtà come Bosch o Magneti Marelli, coloro che forniscono sistemi complessi trasversali al settore auto, cita ad esempio il professore. “Perciò se c’è un difetto, se c’è un problema, è più facile che si generalizzi. In questo senso si trasmette il contagio. Questa, d’altra parte, è la frontiera tecnologica: noi produciamo le auto con sistemi sempre più difficili da controllare sotto il profilo tecnologico. Oggi l’automobile cosa sta diventando, se non lo è già diventata? Un computer con le ruote. Questo, naturalmente – osserva Berta – la rende più fragile”.

Una trasversalità, quella dei fornitori, dei sistemisti “che emerge negli ultimi anni, nell’ultimo decennio circa. Il peso è crescente perché è aumentato il peso dell’elettronica, enormemente, e dei dispositivi di controllo elettronici”. In sostanza, un combinato disposto tra il fornitore unico e la crescita di peso dell’elettronica “porta alle note conseguenze. I sistemi di controllo sono sofisticati ma anche, inevitabilmente, più fragili”. “In questo ragionamento – sottolinea il docente- non considero i tentativi di alterare i software sulle emissioni inquinanti. Probabilmente anche questo ha contato qualcosa, ma non lo sappiamo. Siamo passati, brutalizzo con uno slogan, ‘dall’auto come sistema meccanico all’auto come sistema di elettronica più meccanica’. Ma l’elettronica – chiosa Berta – è determinante“.

E mentre le case automobilistiche si devono attrezzare per ritirare i mezzi e restituirli al senza più difetti, il mercato delle auto in generale affronta una crisi importante, con le immatricolazioni che scendono del 7,4% a ottobre. Ancor peggio va per Fca: -16,8% ne mese e dell’11% su anno. In generale, “la frenata – spiega Berta – è determinata non solo dal fatto che ci sono tanti segnali che indicano che il ciclo espansivo dell’economia stia ripiegando” ma soprattutto anche dal fatto che “siamo in una fase di cambiamento“, basti pensare alla “fine del diesel e all’emergere prima ancora che dell’elettrico, che in Italia è lo 0,5%, del mercato dell’ibrido che oramai è tra il 5 e il 6%”. In più, evidenzia Berta, “sta cambiando la normativa europea che sta diventando più stringente”.

Ma per quanto riguarda Fca “ha subito a mio avviso nel corso dell’ultimo anno una mutazione molto profonda. È diventata a tutti gli effetti una impresa americana: è molto più Chrysler che Fiat. Anzi, possiamo dire che è dominata da marchi che sono specificatamente americani che sono Jeep e Ram, cioè suv e pick-up”. Ecco che “i dati eccellenti di Fca sono tutti su quel mercato e sono tutti su prodotti americani, mentre dobbiamo notare un forte ripiegamento per quanto riguarda i marchi nazionali, quelli storici”.

“Fiat si ripiega, Lancia è un marchio che dovrebbe andare a sparizione” osserva l’esperto, facendo anche notare che, per altro, le vendite maggiori di Fca in Italia sono state di Panda e Lancia Y “cioè vetture – nota – che vengono date un po’ per scontate”. Che insomma non hanno un orizzonte di crescita e “questo ci fa temere un pochino sulle prospettive, perché è chiaro che si va a investire là dove c’è più possibilità, dove c’è più ricettività. Significa che probabilmente sono stati premiati i marchi di Fiat Chrysler che vanno meglio e questo sottrae inevitabilmente spazio e presenza ai marchi italiani ed europei“.

Non solo. E’ venuta anche meno l’idea di dare vita a un polo del lusso, come avrebbe voluto Sergio Marchionne, che sarebbe dovuto risultare dalla fusione tra Maserati e Alfa romeo. “Ora di questa fusione non si parla più. Non solo, i due marchi sono affidati a due manager diversi, uno tedesco e l’altro americano”. Peraltro, aggiunge Berta, “la flessione di Alfa Romeo è determinata dal fatto che oggi la sua offerta si regge fondamentalmente su due modelli, Giulia e Stelvio, oltre Giulietta che però è un prodotto di nicchia. Ma – si domanda il docente – due prodotti del genere sono in grado di fare concorrenza ad Audi, Bmw, Toyota? No, evidentemente”.

“Non c’è un’offerta competitiva, non c’è nessun ibrido, per esempio. Nel catalogo d’offerta delle case concorrenti, si trova molto sul lato dell’innovazione, sul lato delle piattaforme, di cui qui non c’è traccia. Si è accumulato un divario, un ritardo. Mi è difficile immaginare che, come è scritto nel piano industriale presentato da Marchionne il primo giugno di quest’anno, si raggiungerà l’obiettivo 400 mila vetture Alfa vendute entro il 2022. Siamo ormai alla soglia del 2019 e questo traguardo – chiosa Berta – è lontanissimo”.