‘Lo devi buttare quel telefono’, l’erede di Riina e l’incubo intercettazioni  

'Lo devi buttare quel telefono', l'erede di Riina e l'incubo intercettazioni

(Afp)

Pubblicato il: 05/12/2018 15:41

“Davvero così gli dico… quando sei a lato di me lo devi buttare il telefono“. Settimo Mineo, ritenuto dagli investigatori il nuovo capo dei capi e finito in manette ieri insieme ad altre 45 persone nell’ambito del blitz antimafia della Dda di Palermo che ieri ha azzerato la ‘Cupola 2.0’, era ossessionato dall’idea di poter essere intercettato. Niente cellulare, incontri all’aperto e in luoghi sempre diversi. Nessuna comunicazione diretta per le ‘convocazioni’. Per eludere il controllo delle forze dell’ordine i carabinieri del Comando provinciale di Palermo, guidati dal colonnello Antonio Di Stasio, hanno scoperto un vero e proprio codice di condotta. Gli incontri tra i boss dovevano avvenire in strada e i mafiosi avrebbero dovuto evitare di restare fermi in un posto, spostandosi continuamente a piedi.

Riunioni anche di pochi minuti durante le quali c’era il divieto assoluto di portare con sé i telefoni. E se i vertici per ragioni di riservatezza o per numero di partecipanti richiedevano un luogo al chiuso la regola era quella di non utilizzare gli stessi locali per più di una volta. “Minc… di nuovo là ci dobbiamo andare a mettere?” dice l’erede di Totò Riina al suo autista mentre si recavano a un appuntamento con il capo famiglia di corso Calatafimi. Mineo disapprovava il fatto che il faccia a faccia dovesse avvenire in un posto già utilizzato di recente, un’agenzia di onoranze funebri. Conclusa la riunione, Mineo ribadiva al proprio factotum che non avrebbero più dovuto usare quel posto. “Come ti dà di nuovo il coso qua… gli dici: ‘no qua!’… hai capito?”.

Stesse regole rigide per quanto riguardava l’uso del cellulare. Così, non sapendo di essere intercettato dalle cimici dei carabinieri il nuovo capo dei capi, professione ufficiale gioielliere e una condanna al maxiprocesso, si riprometteva di rimproverare Andrea Ferrante, anche lui destinatario del provvedimento di fermo della Dda di Palermo e ritenuto dagli investigatori affiliato alla famiglia mafiosa di Pagliarelli. “E’ passato di qua, gli ho buttato la voce e non mi ha sentito perché parlava al telefono…”. Un’abitudine che il vecchio boss disapprovava. “Ora gli dico: ma che hai il telefono?… Perché non lo butti. Davvero così gli dico… quando sei a lato di me lo devi buttare il telefono”.