I 70 anni di Paladino: “Gli artisti si devono divertire”  

I 70 anni di Paladino: Gli artisti si devono divertire

Un’immagine da ‘Storyboard’

Pubblicato il: 17/12/2018 16:24

“Gli artisti si devono divertire”, lo dice e sorride Mimmo Paladino, alle prese con gli ultimi ritocchi a ‘Storyboard’, la mostra con cui da domani festeggia i suoi 70 anni, di fatto frammenti di quanto coagulerà nel suo prossimo, e secondo, film, che spera di portare a termine entro il 2019. “Mi festeggio con una mostra, per me ormai è una tradizione, come è tradizione farla a Napoli che durante le feste di Natale è una città vivissima, divertente. Gli artisti si devono divertire”, dice all’Adnkronos il pittore, scultore, incisore e regista, napoletano nella percezione comune ma nato nel beneventano, a Paduli, il 18 dicembre del 1948. La sovrapposta napoletanità si colloca comunque in un più ampio riferimento identitario per Paladino: “L’importante per gli artisti è la radice creativa, nel mio caso la mediterraneità che io conservo con forza nel mio ‘cassettone’ di memorie artistiche e popolari, elementi che fanno parte del crogiolo, che riemergono quando si realizza un’opera”.

Il ‘cassettone’ di Paladino contiene anche, con pari rilevanza, le sue esperienze americane, nel nord e nel sud del ‘nuovo’ continente: nella prima parte degli anni ’80 l’artista si reca più volte negli States e in Sudamerica: “All’epoca il palcoscenico mondiale dell’arte era quello di New York, e per me rimane New York, il luogo dove è nata l’avanguardia, l’informale, l’action painting… Negli anni ’80 in America c’era grande attenzione per quel piccolo gruppo di artisti italiani che formava la Transavanguardia (con Paladino protagonisti fin dalla fase iniziale Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicola De Maria, ndr). Io ero un giovane pittore e tutto questo mi gratificava. In Sudamerica poi, dove si incrociavano influenze europee, locali e nordamericane, trovai e feci tesoro delle mescolanze, quelle che oggi si chiamano contaminazioni”.

Il concetto di Transavanguardia, e la parola stessa, portatori di riconoscibilità e successo internazionali per Paladino e i suoi ‘colleghi’, ha nel critico d’arte Achille Bonito Oliva il suo creatore: “Achille è un piè veloce – dice con affettuosa ironia Paladino – veloce in questo caso a capire che in quel momento in Italia c’era qualcosa di nuovo; veloce a formalizzare quella dimensione, comunque rimasta diversa da quella di altre ‘correnti’ o ‘movimenti’, senza un manifesto ideologico, senza un condiviso quotidiano”. Pari o forse ancora maggior peso di quello di Bonito Oliva, nella ‘carriera’ di Paladino l’ha avuto Lucio Amelio (Napoli 1931 – Napoli 1994,) uno dei protagonisti del mercato dell’arte contemporanea dalla metà degli anni sessanta alla metà degli anni novanta. Amelio era titolare della galleria in Piazza dei Martiri a Napoli che portava il suo nome, aperta nel 1969 e dove hanno esposto, fra gli altri Robert Rauschenberg, Mario Merz, Jannis Kounellis, Keith Haring, Cy Twombly, Antonio Del Donno, Dieter Hacker. Il gallerista fu anche artefice del sodalizio che portò alla mostra ‘Beuys by Warhol’.

Oggi quegli stessi spazi, in Palazzo Partanna, ospitano la galleria CasaMadre e non a caso è proprio lì che Paladino inaugura domani sera ‘Mimmo Paladino Storyboard’: “Sono esattamente nello stesso luogo dove venivo da ragazzo ad ammirare quanto di più avanzato si potesse vedere allora a Napoli nel campo dell’arte. Napoli era alla periferia di quel mondo e Amelio portava a Napoli quello che contava, che cambiava. Io andavo a vedere le mostre e facevo vedere ad Amelio i miei lavori, lui li guardava e mi diceva ‘torna, portane altri’, finché un giorno decise di espormi. Vendere era importante ma erano anni disinvolti e disinteressati: se si vendeva un disegnino era festa grande, sia per l’artista sia per il gallerista. Gli artisti sopravvivevano, c’era un’enorme passione in tutti”. Dal passato al futuro, “‘Storyboard’ nasce come una non mostra, visto che non esibisco la mia ultima serie di quadri, le mie opere, ma frammenti, appunti, del mio progetto cinematografico, che perseguo da una dozzina d’anni, da quando feci il mio primo lungometraggio, ‘Quijote’, che ebbe una bella accoglienza a Venezia. E’ da allora che desidero continuare a raccontare per immagini”, spiega Paladino.

“Ho già girato qualcosa, coinvolgendo amici come Alessandro Haber che si è sempre prestato, e nell’allestimento porto dei frammenti di questo lavoro in atto, che in quanto frammenti ciascuno per ora può ricomporre come vuole. Nella sala c’è una figura arcaica, alle sue spalle uno schermo che offre un frammento del film e poi una parte di miei appunti, di vero e proprio storyboard con pagine presentate come opere compiute”. Una passione per il percorso che può pregiudicare la volontà di compierlo? “No! Assolutamente no! – scandisce Paladino – Il film voglio finirlo davvero, anzi una parte è già girata, tutto ruota intono ai numeri, declinati nella matematica, nella cabalistica, in modo immaginifico, come mezzo per creare arte, la musica ad esempio. Una parte delle idee sono già compiute, le altre arriveranno ad esserlo. Produzione permettendo, spero di riuscire a realizzarlo entro il prossimo anno”.