Sotto l’occhio vigile dell’Ue  

Sotto l'occhio vigile dell'Ue

Giovanni Tria e Pierre Moscovici (Foto Fotogramma)

Pubblicato il: 05/07/2019 07:35

La Commissione europea “terrà sotto stretta sorveglianza l’attuazione effettiva del pacchetto” di misure decise dal Consiglio dei ministri del primo luglio “e valuterà il rispetto del patto di stabilità nel documento programmatico di bilancio relativo al 2020“. Lo scrivono il vicepresidente Valdis Dombrovskis e il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici, in una lettera inviata oggi al ministro dell’Economia Giovanni Tria, in cui ribadiscono in sostanza i concetti già espressi ieri dallo stesso Moscovici in conferenza stampa.

La lettera fa seguito alla missiva del presidente del Consiglio Giuseppe Conte del 2 luglio scorso. Dombrovskis e Moscovici sottolineano che “il progresso per quanto concerne le riforme strutturali incluse nelle raccomandazioni specifiche per Paese sarà fondamentale per assicurare una crescita più elevata e pertanto per contribuire ad abbassare il rapporto tra debito e Pil. La Commissione valuterà l’attuazione di queste riforme nel contesto del semestre europeo”.

Il commissario e il vicepresidente accolgono poi “con favore l’impegno del governo ad un dialogo continuo e costruttivo con la Commissione, per presentare un documento programmatico di bilancio per il 2020 in linea con il braccio preventivo del patto di stabilità. Continueremo le nostre discussioni con voi con uno spirito costruttivo nei mesi a venire”.

Nel documento di lavoro che accompagna la comunicazione al Consiglio di ieri, in cui non si raccomanda all’Ecofin di aprire la procedura per debito nei confronti dell’Italia, vengono spiegate nel dettaglio le motivazioni che hanno indotto la Commissione a non raccomandare la procedura. Il 5 giugno il nostro Paese non era in linea con il patto di stabilità, con un debito salito dal 131,4% del Pil nel 2017 al 132,2% nel 2018. Sul piano del saldo strutturale, il gap era pari allo 0,4% del Pil nel 2018 e allo 0,3% nel 2019. Nel 2018, l’Italia ha mancato il parametro di riduzione del debito “per un ampio margine”, pari al 7,6% del Pil. La regola del debito impone una riduzione pesante del debito pubblico, se un Paese, come il nostro, è al di sopra del 60% del Pil. Dopo che la Commissione ha concluso, con l’appoggio del Comitato Economico e Finanziario del Consiglio, che una procedura per debito nei confronti del nostro Paese era giustificata, il governo ha varato “una correzione di bilancio per il 2019 che ammonta complessivamente a 7,6 mld di euro, pari allo 0,42% del Pil in termini nominali e a 8,2 mld, o allo 0,45% del Pil, in termini strutturali”.

La correzione, che ora dovrà essere approvata dal Parlamento, migliora il deficit nominale per 7,6 mld, tra i quali 6,2 mld di euro di ricavi aggiuntivi (maggiori ricavi da imposte per 2,9 mld, contributi per 600 mln e maggiori dividendi dalla Banca d’Italia, che ha realizzato un utile record di 3,9 mld grazie al Quantitative Easing, e dalla Cdp per 2,7 mld). Per di più, il governo ha varato un decreto, che andrà convertito in legge entro il 15 settembre, che congela 1,5 mld di euro di spesa, congelamento che scatterebbe nel caso in cui i risparmi previsti dal minor ‘tiraggio’ di quota 100 e reddito di cittadinanza non dovessero essere confermati.

Tutto questo fa sì che i maggiori ricavi e le minori spese “vengano utilizzati per ridurre debito e deficit e non vengano spesi per altre misure nel corso del 2019“. A ulteriore garanzia, nota la Commissione, viene modificata la legislazione relativa al reddito e a quota 100, facendo sì che i risparmi ottenuti dalle due misure non possano più essere utilizzati a sostegno delle stesse negli anni a venire. In poche parole, tutto ciò che viene risparmiato grazie al minor ‘tiraggio’ delle due misure va a ridurre debito e deficit. Tenendo conto di tutte queste misure, il deficit nominale raggiungerebbe il 2,04% del Pil nel 2019, contro il previsto 2,5% delle previsioni di primavera. Per quanto riguarda invece il 2020, la Commissione sottolinea che il governo italiano si è impegnato, con la lettera del premier Giuseppe Conte del 2 luglio, “a raggiungere un miglioramento a livello strutturale in linea con il patto di stabilità”, assicurando che il temuto aumento dell’Iva, già legislato come clausola di salvaguardia, sarà evitato con “misure di bilancio compensative, che includono una revisione della spesa e delle deduzioni e detrazioni fiscali”. Tutto considerato, conclude la Commissione, la correzione di bilancio porterà l’Italia ad avere un deficit nominale del 2,04% del Pil nel 2019, come concordato a fine 2018, pur in presenza di una crescita praticamente nulla (+0,1% per quest’anno, contro il +1% che era previsto a fine 2018, quando venne concordata la manovra rivista).

Ciò corrisponderebbe ad un miglioramento strutturale pari allo 0,2% del Pil, a fronte di un deterioramento previsto dello 0,2%, secondo le previsioni di primavera. Pertanto, l’Italia “è prevista essere ‘broadly compliant’, largamente in linea, con il patto di stabilità, colmando il gap dello 0,3% del Pil previsto per il 2019”. Non solo. Lo “sforzo aggiuntivo di bilancio” fatto dal nostro Paese è tale che “compensa in parte il deterioramento del saldo strutturale registrato nel 2018”. Contribuisce in modo non irrilevante al miglioramento del quadro la discesa dei rendimenti dei titoli di Stato, con lo spread Btp-Bund che è sceso sotto quota 200 punti e, cosa ancora più importante visto che lo spread, che è un delta, risente del rendimento negativo del Bund (sempre più in basso, ormai a -0,4%, anche per via della scarsità dei titoli tedeschi, unico vero safe asset dell’area euro), il rendimento del decennale di riferimento che è intorno all’1,67%. Più le cose si calmano sui mercati finanziari, più soldi il Tesoro risparmia per il servizio del debito. La sensazione, a Bruxelles, è che anche nella maggioranza di governo si sia compreso che sfidare i mercati finanziari non conviene. Anche perché i corsi di Borsa, compressi da oltre un anno per via dell’aumentato rischio Paese percepito, in presenza di un appeasement con la Commissione potrebbero riprendersi. E un allentamento della tensione sui rendimenti gioverebbe anche alle imprese, dato che, come ricordano i tecnici della Dg Ecfin, “gli spread più elevati rispetto all’inizio del 2018 si sono tradotti, sia pure con un ritardo, in condizioni di credito più restrittive”.