Mafia, il braccio destro di Dalla Chiesa: “Fu alto dirigente e umile operaio indagini” 

Mafia, il braccio destro di Dalla Chiesa: Fu alto dirigente e umile operaio indagini

Pubblicato il: 02/09/2019 21:23

(di Sara Di Sciullo) “Era un altissimo dirigente, ma allo stesso tempo il più umile operaio dell’investigazione”. Inaugurò “una strategia nuova” nella lotta al terrorismo. A ricordare all’Adnkronos il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia a Palermo il 3 settembre 1982, alla vigilia dell’anniversario della sua morte, è il generale di corpo d’armata in congedo Giampaolo Sechi, uno degli uomini che facevano parte del Nucleo speciale di polizia giudiziaria del generale e che fu dunque tra i suoi più stretti collaboratori.

“Il generale Dalla Chiesa riuscì, anche con l’aiuto di Ugo Pecchioli (ndr ex senatore Pci) e del procuratore Caccia, a istituire a Torino nel 1974 il Nucleo speciale di polizia giudiziaria”, ricorda Sechi. Un “reparto atipico” e “composto da uomini scelti secondo le direttive e quasi direttamente da Dalla Chiesa, carabinieri ma anche uomini della Polizia e dei Servizi segreti”. “Il meccanismo era riassumibile nelle parole di allora di Dalla Chiesa: ‘Cari ragazzi (era molto affettuoso con i suoi uomini, faceva finta di essere autoritario). Non crediate di dover scoprire chi ha sequestrato il giudice Sossi, ma chi sono le Br, come nascono, cosa vogliono e cosa faranno. Smettetela di pensare all’operazione tout court”.

Con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nacque “una strategia nuova, abolimmo i territori, le preture e le province, avevamo uomini all’estero e facevamo attività di pedinamento, osservazione e infiltrazione: la più importante fu quella di padre Girotto (noto come ‘frate mitra’, ndr) nell’organizzazione terroristica delle Br”. “All’epoca le Br, con le rapine, lucravano e compravano appartamenti e non li potevano intestare a nomi reali ma a nomi falsi con documenti falsi: cercammo tutti gli appartamenti intestati a persone non realmente residenti e scoprimmo tanti covi”, sottolinea Sechi spiegando il metodo messo in campo dal Nucleo.

“Il grande merito del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è stato prima di tutto dire le cose più importanti – racconta il suo stretto collaboratore – ‘Dovete trovare prove a carico, ma anche a discarico’; non partiva dal presupposto di catturare uno per fare bella figura, voleva capire, scoprire a fondo come vivevano e nascevano le Br“.

Tanti gli aneddoti che Sechi ha impressi nella memoria come quello che racconta di un generale capace di scherzare con i suoi uomini: “Un giorno Dalla Chiesa ci disse: ‘Ragazzi, smettiamola di perdere tempo e chiacchierare, mi dovete portare in un ristorante in cui non ci conosce nessuno, andiamo a mangiare un boccone’ – racconta Sechi – Io guidavo, mi avvicinavo a un ristorante e mi diceva ‘no, questo no, questo no’. Alla fine andammo al ristorante più importante di allora alla stazione Porta Nuova e come entrammo la gente si alzò a salutarlo. Scoprimmo che aveva già prenotato un tavolo in fondo: ‘Mi metto al tavolo, spalle all’ingresso, in modo che non mi riconosce nessuno’, disse”.

Sechi sottolinea che il generale Dalla Chiesa “era molto invidiato da suoi colleghi di alto rango. Un ufficiale di alto rango di allora non si occupava di indagini, lui invece era capo di tutto il Piemonte e la Liguria perché comandante della Brigata Torino, ma oltre che a coordinare tutti gli ufficiali faceva anche l’investigatore vicino ai suoi carabinieri. Voleva sapere e ascoltava, altri non si interessavano per niente di queste umili cose”. “Quando la sua popolarità e i suoi risultati portarono alla cattura di Curcio e Franceschini”, secondo Sechi, “ci fu un’invidia paurosa da parte di alcuni suoi colleghi, ma anche di alcuni magistrati”.

“C’era molta invidia nei suoi confronti: era un altissimo dirigente, ma il più umile operaio dell’investigazione, che si calava nelle problematiche”. Tra i principali risultati di cui andava fiero, ricorda il suo collaboratore, “l’operazione di infiltrazione di padre Girotto”, ma anche “la sua lotta per far fare una legge sui pentiti del terrorismo”. Riguardo all’omicidio del generale Dalla Chiesa, Sechi non ha dubbi: “L’uccisione del generale Dalla Chiesa fu fatta dalla mafia e il terrorismo è cosa ben diversa: la mafia ha interesse economico, il terrorismo allora, di destra e sinistra, aveva una connotazione ideologica. Fu ucciso dalla mafia, la mafia lo punì perché andava nelle scuole a parlare di mafia, voleva muovere l’opinione pubblica specie i giovani contro la mafia. E inoltre aveva combattuto non solo il terrorismo, ma anche la mafia con tecniche fuori dal comune”.

Quando divenne prefetto di Palermo “pensava gli avrebbero dato poteri speciali e accettò questo ruolo”. Come racconta Sechi lo stesso Dalla Chiesa gli chiese il suo parere: “Io gli dissi che trovavo la cosa sbagliatissima, gli dissi: ‘Sarà solo’, lui forse pensava che gli avrebbero dato poteri speciali e anche reparti speciali che lo sorvegliavano. Fu una sua scelta, ma pericolosissima”.