Gioacchino da Fiore, ‘profeta di speranza’  

Gioacchino da Fiore, 'profeta di speranza'

Pubblicato il: 22/09/2019 11:54

Si è concluso ieri il IX Congresso internazionale degli studi sul teologo della storia Gioacchino da Fiore (1135-1202), intitolato “Ordine e disordini” e svoltosi per tre giorni nell’abbazia florense di San Giovanni in Fiore (Cs). L’appuntamento cui hanno partecipato borsisti di varia provenienza, caduto nel 40° anniversario della fondazione del Centro internazionale di studi gioachimiti, che ha sede nella stessa abbazia, “è servito a chiarire aspetti essenziali del pensiero dell’abate nel contesto storico-culturale di appartenenza, dominato dalla paura della fine del tempo“, ha detto il presidente del Centro, Riccardo Succurro, concludendo i lavori, aperti dal direttore del comitato scientifico e membro dell’Accademia dei Lincei: Cosimo Damiano Fonseca, già rettore dell’Università della Basilicata.

“Stavolta, a differenza dei precedenti congressi, basati in prevalenza sui contenuti dell’opera di Gioacchino, abbiamo proposto un programma di approfondimento multidisciplinare”, ha spiegato Succurro: dalle nozioni di “ordine, simmetria e simbolo in Gioacchino”, di cui ha parlato Marco Rainini, dell’Università Cattolica di Milano, al canone iconografico del teologo calabrese “attorno alle ruote di Ezechiele”, tema affrontato da Véronique Rouchon Mouilleron, dell’ateneo francese Lumière Lyon 2, fino alla lectio magistralis del filosofo teoretico Alessandro Ghisalberti sull’”ordine nell’Aldilà”, con una minuziosa disamina della disputa tra Anselmo, Aberlardo e Roscellino sulla natura di questo “ordine ontologico-dialettico”.

Constant J. Mews, professore alla Monash University di Melbourne, ha relazionato su un argomento che per certi versi ha perfino evocato il senso del film-documentario di Philip Groening “Il grande Silenzio” (2005): “oltre la teologia monastica”, legato alle “ragioni dei monaci” anche in rapporto alla loro vita di regole, riti, tradizione e ciclicità. Riccardo Saccenti, dell’Università di Bergamo, ha discusso di “ordine della società, ordine escatologico”, inquadrando il pensiero di Gioacchino “nel contesto del XII secolo”.

Gianluca Potestà, della Cattolica di Milano, ha illustrato il “contributo di Tullio Gregory agli studi sull’escatologia medievale”, in una dotta lezione in memoria del noto storico della filosofia, peraltro accademico dei Lincei, morto nel gennaio scorso. Luisa Valente, dell’università romana La Sapienza, si è soffermata sull’”uso teologico dell’immaginazione nel XII secolo”, che costituisce il fondamento delle scritture, del metodo esplicativo e del fascino dell’abate Gioacchino.

Questo intervento è stato accompagnato da quello di Piero Cappelli, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, centrato sull’”attesa ebraica della fine fra antichità tarda e medioevo”. “Proprio l’attesa della fine – ha chiarito Succurro – attraversa e segna lo spirito medievale. Gioacchino la supera: sostituisce il tempo della fine con la fine del tempo. Così conferisce un senso al divenire della storia” e “dunque per l’abate, che interpretando i testi sacri profetizza un orizzonte di speranza, la rivelazione – ci ha precisato Ghisalberti – continua oltre l’avvento di Cristo, con la prospettiva della piena grazia di Dio agli esseri umani e della conversione universale alla fede cristiana”.

Viene qui in mente la riflessione di Gianni Vattimo dell’ottobre 2004 al VI Congresso internazionale di studi gioachimiti. “Non sarebbe difficile – scandì allora il filosofo torinese di origini calabresi, che poco dopo si candidò sindaco proprio di San Giovanni in Fiore – annettere Gioacchino al gruppo di coloro che, allo spirito di crociata che sembra imporsi un po’ dovunque, certo sia in Bin Laden sia in Bush, contrappongono la politica della parola e del dialogo”.

Al netto dell’interpretazione autentica delle sue opere, Gioacchino da Fiore si pone, dunque, come pensatore di riferimento nell’epoca attuale delle incertezze: politiche, economiche, sociali, esistenziali. Il monaco calabrese sembra sopravvivere all’antistoricismo che spesso caratterizza il “mondo” digitale, la cui comunicazione immediata ed emotiva, divenuta strumento primario per il consenso politico, confligge con ogni visione dello sviluppo, dell’ordine, del progetto della storia.

Gli altri relatori del congresso sono stati: Guy Lobrichon (Université d’Avignon), Roberto Guarasci (Università della Calabria), Francesco Siri (École nationale des chartes, di Parigi). Dominique Poirel (Institut de recherche et d’histoire des textes, di Parigi), Sabine Schmolinisky (Universität Erfurt), Guido Cariboni (Cattolica di Milano), Nicole Bériou (già docente nell’Università Sorbona, di Parigi), Frances Andrews (University of St. Andrews), Jeffery R. Webb (Bridgewater State University).

Assente il governatore della Calabria, Mario Oliverio (Pd), per il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Melicchio – che siede in commissione Cultura e nella giornata conclusiva ha salutato i congressisti – “eventi di questa portata vanno più sostenuti e incoraggiati a livello istituzionale, e in questo senso è un’opportunità che la collega calabrese Anna Laura Orrico (M5S, nda) sia stata nominata sottosegretario ai Beni culturali”. Secondo il sindaco di San Giovanni in Fiore, Giuseppe Belcastro (Pd), “Gioacchino parla da questa nostra montagna simbolica alla coscienza contemporanea di ogni latitudine“.