Di Pietro: “Salvo Lima incassò tangente Enimont attraverso Cirino Pomicino”  

Di Pietro: Salvo Lima incassò tangente Enimont attraverso Cirino Pomicino

Pubblicato il: 03/10/2019 12:01

“Anche Salvo Lima incassò una tangente Enimont da Raul Gardini, attraverso i Cct che gli girò Cirino Pomicino”. A rivelarlo in aula, al processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia è l’ex pm Antonio Di Pietro, sentito come teste dalla difesa del generale Mario Mori. Di Pietro parlando dell’inchiesta Tangentopoli nel 1992 ha riferito dei “collegamenti tra affari e politica” e ha ribadito che “i soldi di Gardini finirono anche a Salvo Lima”. All’epoca Di Pietro aveva avuto anche dei rapporti di collaborazione con i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. “Il primo che mi disse ‘dobbiamo fare presto, dobbiamo chiudere il cerchio’ fu Paolo Borsellino”, racconta Di Pietro.

“L’elemento predominante del collegamento Nord-Sud o affari e mafia, l’ho avuto quando ho avuto il riscontro della destinazione della tangente Enimont da 150 miliardi di lire – dice Di Pietro – e il mio impegno allora era di trovare chi erano i destinatari, perché avevamo trovato la gallina dalle uova d’oro, la cosa che avevamo davanti era la necessitò di trovare i destinatari”. E spiega: “L’ultimo destinatario fu proprio Salvo Lima che però incassò attraverso Cct. Non potemmo sapere molto perché nel marzo 1992 Lima venne ucciso a Palermo e Gardini si uccise“. “Ma si trattava di vedere chi quella parte di tangente di provvista di 150 miliardi di lire li aveva incassati e abbiamo trovato che 5,2 miliardi li aveva incassati Cirino Pomicino, e fu Cirino Pomicino che diede i cct a Salvo Lima”.

“Nel 1992, da febbraio a maggio e fino all’omicidio Di Falcone, l’inchiesta ‘Mani pulite’ si allargò e assunse una rilevanza nazionale – dice ancora Antonio Di Pietro nel corso della deposizione rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio -. Io mi confrontai con Giovanni Falcone che mi disse che le rogatorie erano l’unico strumento per individuare le provviste e mi accennò che da lì si arrivava anche in Sicilia. Ecco perché bisognava controllare gli appalti anche in Sicilia”. Di Pietro parlò anche con Paolo Borsellino “degli stessi argomenti”. “Man mano che si sviluppava l’indagine era più opportuno andare a cercare dove si formava la provvista”.

Il suicidio di Raul Gardini, rivela ancora Di Pietro “è il dramma che mi porto dentro…“. Nel luglio del 1993 “l’avvocato di Raul Gardini, che all’epoca era latitante, mi assicurò che il suo cliente si sarebbe consegnato. Io volevo sapere che fine avessero fatto i soldi della maxi tangente Enimont. Ma la notte prima dell’interrogatorio l’imprenditore Gardini tornò nella sua abitazione, che tenevamo sotto controllo. La polizia giudiziaria mi chiese se doveva scattare l’arresto. E io dissi di aspettare”, racconta Di Pietro. Ma la mattina dopo l’imprenditore si uccise con un colpo di pistola. “E’ il dramma che mi porto dentro…”, dice Di Pietro con un filo di voce. Per poi aggiungere: “Ma questo che c’azzecca con la trattativa?…”.

Poi la denuncia dell’ex pm: “L’inchiesta ‘Mani pulite’ è stata fermata quando è arrivata allo stesso punto del rapporto tra mafia e appalti. Sono stato fermato da una delegittimazione gravissima portata avanti in modo abnorme”.

“Nei miei confronti sono stati svolti una serie di dossieraggi portati avanti da personaggi su ordine di alcuni politici che hanno portato alle mie dimissioni – dice Di Pietro rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio – Da lì a poco sarebbe arrivata non solo una grossa indagine nei miei confronti ma anche una richiesta di arresti e io mi dimisi per potermi difendere. Sono stato prosciolto e ho detto che chi ha indagato su di me non poteva indagare, cioè Fabio Salamone che io denunciai al Csm”.

“Sono convinto che Paolo Borsellino – ha continuato quindi Di Pietro – fu ucciso perché indagava sulle commistioni tra la mafia e la gestione degli appalti. L’indagine mafia-appalti fu fermata. Come accadde con Mani pulite”.