Malabrocca, il non campione che divenne famoso arrivando ultimo  

Malabrocca, il non campione che divenne famoso arrivando ultimo

Il fumetto che celebra l’ultimo per antonomasia

Pubblicato il: 15/10/2019 17:01

(di Paolo Bellino) – Provateci voi, a diventare ciclisti famosi negli anni 40 senza chiamarvi Coppi o Bartali. Eppure di quell’epoca eroica e innocente, contadina e non certo professionista come oggi, c’è rimasto almeno un terzo nome, che galleggia nella memoria di molti, senza riguardo di generazione. Quel nome, anzi cognome, è Malabrocca, più un aggettivo ormai che un cognome, così popolare nell’Italia del dopoguerra che ispirò persino Gassman-Brancaleone quando doveva insultare Aquilante, il suo riottoso cavallo giallo (“malabestia!”, appunto: aneddoto raccontato a chi scrive da Monicelli in persona, ndr).

Luigi Malabrocca da Tortona, classe 1920, corridore professionista e gregario “a cottimo” dei giri d’Italia del dopoguerra, a partire da quello chiamato “della Rinascita” partito da Milano il 15 giugno 1946, resta nella storia del ciclismo per aver genialmente interpretato il suo onomatopeico cognome: arrivare, scientemente e con cura artigianale, ultimo. In questi nostri arrembanti quanto opulenti Anni ’20 la cosa appare incomprensibile: ma come, sei forte, hai vinto una novantina di gare in vita, sali sui monti bene e leggero, partecipi al giro d’Italia e non provi a vincere, almeno a piazzarti il più su possibile? Già.

Se per un verso è facile da capire superficialmente (in quegli anni dominati da due semidei come Coppi e Bartali per vincere un Giro bisognava solo sperare nella loro assenza), meno facile è oggi realizzare il vero perché Luisin Malabrocca, detto il Cinese per i suoi occhi a mandorla, pur avendo gambe, fiato e un qualche talento non provasse almeno a sgomitare verso la vetta della classifica.

La ragione principale per cui i ciclisti dell’epoca si sottoponessero a fatiche disumane su mezzi che adesso definiremmo pericolanti erano i premi: in soldi o altro, qualunque cosa perché si ponesse fine alla cronica indigenza che tutti sperimentavano. Si agguantavano premi essenzialmente in due modi: Buoni piazzamenti, se non vittorie, alla fine delle tappe, e i traguardi a premio nel corso della tappa. Malabrocca realizza già dal ’46 che non ce la fa a entrare nel gruppo di testa e si organizza, insieme al complice Ausenda, per ottenere i premi intermedi.

Con il consenso di Coppi di cui era amico fin da quando il campionissimo era un ragazzino che sembrava votato al fallimento nel ciclismo, ottenuto durante una conversazione serale in albergo, e in seguito quello di Bartali, i due usano lo stratagemma dell'”americana”, non ammesso dal regolamento ma tollerato se i due rais davano l’ok: uno tira avanti e l’altro segue a ruota, in vista del premio di traguardo il secondo, più riposato per essere stato in scia, agguanta la maglietta del compare e si spinge di forza avanti. In seguito il premio viene diviso.

Malabrocca, proprio a causa del suo cognome rarissimo (ce ne sono tre in Italia) ed evocativo, è già sulla bocca di tutti perché lo speaker del Giro, Carlo Proserpio, ne è affascinato e non perde occasione per nominarlo. In una tappa, per una serie di casi, arriva ultimo. In camera d’albergo si presenta un pastore con un agnello: “Sono l’ultimo di sei figli, so cosa vuol dire essere l’ultimo e non avere niente”, gli dice consegnando l’animale (vivo). In un’altra occasione da ultimo il Cinese aveva ricevuto bottiglie d’olio e soldi. Capisce l’antifona e da allora farà di tutto per arrivare ultimo. Per lui conieranno la Maglia nera, che oggi è una definizione quasi planetaria per “ultimo”: la leggenda è nata, e Luisin guadagna più da ultimo che da gregario di media classifica.

Innumerevoli sono gli episodi in cui s’ingegna per rallentare senza farsi scoprire, il più noto di tutti l’aneddoto del pozzo asciutto in cui si nascose e da cui fu cacciato dal contadino furente armato di forcone. In mezzo qualsiasi espediente: sosta in trattoria, sonnellino nel fienile (anche qui cacciato), furbizie del genere. Che ora sono diventate anche un fumetto, edito dalla milanese Renoir Comics, disegnato dal genovese Roberto Lauciello e prefato dalla nipote, Serena Malabrocca, clone femminile del nonno. E persino messe in scena in uno spettacolo teatrale ancora in corso di definizione, preparato in vista del centenario della nascita del (non) campione che visse e comprò casa arrivando ultimo.