Borsellino quater, attesa per oggi la sentenza 

Borsellino quater, attesa per oggi la sentenza

(Foto Fotogramma)

Pubblicato il: 15/11/2019 06:50

di Elvira Terranova

La “ricerca della verità” sulle stragi mafiose del 1992 “non si è mai fermata”, nonostante siano trascorsi 27 anni. Perché gli italiani, “anche quelli nati dopo il 1992” hanno “tutto il diritto di avere risposte su quanto accadde quella domenica”, del 19 luglio 1992 in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. E “lo sviluppo delle indagini sta via via delineando altre strade che, se doverosamente riscontrate, possono far individuare altri soggetti”, anche esterni a Cosa nostra. Era iniziata con queste parole, lo scorso 17 settembre, la requisitoria fiume di Lia Sava, il procuratore generale di Caltanissetta al processo d’appello del cosiddetto ‘Borsellino quater’. L’ennesimo processo sulla strage di via D’Amelio che vede alla sbarra i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino e i tre falsi pentiti Calogero Pulci, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino. In primo grado Madonia e Tutino vennero condannati all’ergastolo, mentre Andriotta e Pulci a dieci anni di reclusione per calunnia. Reato prescritto per l’ex pentito Scarantino. Alla fine della requisitoria, l’accusa ha chiesto la conferma delle pene di primo grado per tutti gli imputati.

Per i giudici di primo grado si trattò di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, come scrisse il presidente della Corte d’assise, Antonio Balsamo, nelle motivazioni lunghe 1.856 pagine, dodici capitoli, un lavoro minuzioso di ricostruzione che ha rappresentato una tappa fondamentale nel difficile percorso di ricerca della verità.

L’agenda rossa di Borsellino, un mistero che dura da 27 anni

Adesso la Procura generale ribadisce che “i congiunti di tutti gli uomini della scorta”, i “servitori dello Stato che sono stati trucidati in via D’Amelio” hanno il “diritto di sapere e di comprendere fino in fondo, come e perché si giunse alla stagione delle stragi, anche al fine di cercare di lenire un dolore mai sopito, ma che addirittura si amplifica di fronte agli assordanti silenzi sia all’interno di Cosa nostra che all’interno di altri e più differenti contesti”. E aveva aggiunto: “I magistrati devono continuare a raccogliere prove certe di responsabilità penali che consentano di addivenire a sentenze definitive di condanna per tutti coloro, anche in ipotesi, esterni a Cosa nostra, che possono avere concorso, a qualunque titolo, e per qualsivoglia scopo, alla realizzazione della strage di via D’Amelio e che, successivamente ai tragici eventi, possono avere mosso i fili, in maniera da determinare il colossale depistaggio delle relative indagini”.

Anche il processo sulla trattativa tra Stato e mafia, giunto in appello a Palermo, e che lunedì scorso ha visto sedersi sul pretorio l’ex premier Silvio Berlusconi, che si è avvalso della facoltà di non rispondere, entra nel processo d’appello del Borsellino quater. “A parere di questo ufficio, ed in attesa dell’esito definitivo del processo ‘trattativa’, se sarà provato in maniera inconfutabile che l’accelerazione dell’uccisione del giudice Paolo Borsellino è stata determinata anche dalla sua opposizione ad accordi fra elementi deviati dello Stato e Cosa nostra, avremo, quale conseguenza immediata e diretta, altri elementi utili ed importanti al fine di comporre lo scenario di quella tragica stagione stragista. Da un lato la cosiddetta trattativa e le concomitanti singolari vicende relative al rapporto mafia-appalti, possono aver contribuito, anche senza interferenze fra loro, ad indurre Salvatore Riina alla più rapida eliminazione di Borsellino”.

Tocca dunque ai giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta l’arduo compito di acquisire, a distanza di numerosi anni, “ulteriori elementi per la ricostruzione completa della dinamica della strage di via d’Amelio”, che “presenta ancora oggi diversi punti drammaticamente irrisolti”, come ha sempre detto l’accusa. “I cittadini, anche i più giovani, quelli che nel 1992 non erano nemmeno nati” hanno “il diritto di interrogarsi e di discutere, in ogni sede, in ordine a quel tragico capitolo della nostra storia, chiedendo a gran voce risposte chiare e e coerenti”, ha sempre ripetuto il pg Lia Sava.

“L’Italia, dunque, ha estremo bisogno di conoscere ogni frammento del contesto, delle causali, degli autori delle stragi e ciò non solo al fine di meglio comprendere cosa accadde davvero in quegli anni, allorché venne sferrato il più violento degli attacchi alla nostra democrazia”. E domani, con la nuova sentenza d’appello, si arriverà a un altro punto fermo, in attesa della decisione della Corte di Cassazione.

“Si sta cercando di battere ogni pista percorribile per far luce su alcune zone d’ombra”, per i magistrati dell’accusa. E i pentiti? Che ruolo hanno in tutta questa vicenda? Lia Sava si è augurata più volte che qualche pentito o “qualche irriducibile di Cosa nostra” o di “altre organizzazioni criminali di stampo mafioso” finalmente avverta “oltre che l’obbligo giuridico anche l’imperativo morale di riferire in merito agli spaventevoli buchi neri della strage di via D’Amelio” per “raggiungere la verità piena sulla vicenda”.

Nel processo si è anche parlato del ruolo che potrebbero avere avuto “i servizi segreti deviati, o la massoneria”, oppure gli “imprenditori collusi”. Per l’accusa “appare significativo che sia il contesto della cosiddetta trattativa che il contesto del rapporto ‘Mafia e appalti’ possono essere ricondotti, almeno in astratto, proprio a quegli ambienti malsani (servizi segreti deviati, massoneria, imprenditori collusi a vario titolo con Cosa nostra e con altre organizzazioni di stampo mafioso) nei cui ambiti vennero svolti, secondo la dettagliata ricostruzione logica del capo mandamento di Caccamo Antonino Giuffrè, i ‘sondaggi’ preliminari in vista dell’eliminazione dei giudici Falcone e Borsellino”, aveva detto Lia Sava in requisitoria. Che ruolo avrebbero svolto i “soggetti esterni al sodalizio mafioso”, che “ben potrebbero aver agito prima della strage di via D’Amelio, concorrendo alla relativa esecuzione e determinandone l’accelerazione, e dopo la strage, a realizzare il colossale depistaggio evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, non possono, comunque, scalfire la validità ed efficacia delle argomentazioni logico-giuridiche utilizzate nella sentenza impugnata per ricostruire il profilo di responsabilità in relazione a ciascuno degli imputati di questo processo”, come ha sempre detto l’accusa.

La “ricostruzione ‘corale’, armonica, offerta a suo tempo dagli ex collaboratori di giustizia nell’ambito dei processi Borsellino Uno e bis era intrisa di menzogne e di dichiarazioni fuorvianti, in particolare quelle dei collaboratori di giustizia che rivestono in questo processo la qualità di imputati del reato di calunnia, i quali, a fronte delle nuove evidenze probatorie, hanno dovuto, loro malgrado ammettere, di avere dichiarato il falso”, per l’accusa.

La sentenza di morte per Paolo Borsellino sarebbe stata emessa dal boss mafioso Totò Riina, nel corso della riunione per gli auguri di Natale, nel dicembre del ’91. Nessuno dei capi mandamento si oppose. Avallarono quella decisione. “Gli italiani – aveva detto il Pg Carlo Lenzi durante la requisitoria- dovevano capire con chi avevano a che fare”.

E i falsi collaboratori, Francesco Andriotta, Calogero Pulci e Vincenzo Scarantino, che ruolo hanno avuto? “Andriotta e Pulci hanno reso gravissime dichiarazioni mendaci da cui sono discese pesantissime condanne. Andriotta ha ammesso di non sapere nulla e di aver barattato la sua libertà con quella degli altri”, hanno sempre detto i rappresentanti dell’accusa.

Il ruolo di Andriotta sarebbe stato quello di convincere Scarantino a collaborare. Mentre Scarantino? Che inizò a collaborare nel 1994, per poi ritrattare, e poi ritrattare a ritrattazione, con le sue dichiarazioni fece condannare degli innocenti. Domani si attende l’ennesima sentenza per aggiungere un altro tassello a una vicenda che, a 27 anni di distanza, è ancora piena di misteri. La sentenza d’appello, è l’auspicio dell’accusa, “dovrà condurre alla completa verità sulla stagione stragista degli anni 1992-1993; approdo indispensabile per chiudere i conti con alcuni nebulosi ed inquietanti aspetti della storia dell’ultimo quarto di secolo del nostro Paese”.