Russiagate, le anticipazioni del rapporto Horowitz 

Russiagate, le anticipazioni del rapporto Horowitz

(Afp)

Pubblicato il: 23/11/2019 16:23

di Marco Liconti

In attesa del 9 dicembre, data della pubblicazione, sulla stampa Usa compaiono alcune anticipazioni sul contenuto del Rapporto sull’indagine condotta dall’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, sugli eventuali abusi compiuti ai danni della campagna elettorale di Donald Trump. Secondo quanto scrive il New York Times, che non ha avuto accesso alla bozza del documento, ma ne ha discusso parte del contenuto con persone che ne sono a conoscenza, dal rapporto emergerebbe che Joseph Mifsud, l’enigmatico professore maltese della Link Campus University, non era un informatore dell’Fbi.

Come è noto, secondo quanto riportato nel Rapporto del procuratore speciale Robert Mueller, che ha indagato sui presunti legami tra la campagna Trump e la Russia, sarebbe stato proprio Mifsud che dopo un primo incontro a Roma nella sede della Link a metà marzo 2016, offrì all’allora consulente della campagna Trump George Papadopoulos, materiale “sporco” su Hillary Clinton, sotto forma di migliaia di email hackerate, in possesso del governo russo. Fu quella la ‘scintilla’ che fece partire la prima indagine Fbi su Trump, in seguito accorpata a quella di Mueller.

Come accertato, Mifsud venne interrogato dall’Fbi nel febbraio del 2017, mentre si trovava a Washington per una conferenza organizzata dal Dipartimento di Stato. Recentemente è stata resa pubblica sul web anche una email nelle quale Mifsud, si presume dopo l’interrogatorio, scrive a un non precisato funzionario dell’Fbi (il nome è coperto da omissis), per approfondire la sua testimonianza e negare di aver mai discusso con Papadopoulos di email hackerate.

Secondo la contro narrativa sul Russiagate sostenuta dai Repubblicani, Mifsud non era un “agente russo”, ma in realtà un uomo manovrato da Fbi, Cia e servizi di intelligence occidentali, per svolgere il ruolo di ‘agente provocatore’ e creare il pretesto per mettere sotto inchiesta Donald Trump. Sul ruolo del professore maltese, scomparso misteriosamente alla fine di ottobre 2018, si sta concentrando anche l’altra contro-indagine sul Russiagate, quella penale condotta dal procuratore John Durham su incarico del ministro della Giustizia William Barr, che punta a fare luce anche sull’eventuale partecipazione al complotto anti Trump di governi stranieri dell’epoca. Barr e Durham sono stati in visita a Roma il 15 agosto e il 27 settembre per incontrare i vertici dell’intelligence italiana, che hanno negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda.

Secondo le anticipazioni del New York Times, alle quali hanno fatto seguito anche quelle del Washington Post, il Rapporto Horowitz conterrà dure critiche all’operato dei funzionari dell’Fbi coinvolti nelle prime fasi dell’inchiesta sui presunti legami Trump-Russia, ma assolverà gli alti vertici del Bureau dall’accusa di abuso di potere. In particolare, sembrerebbero non esserci elementi a sostegno della tesi che l’allora direttore dell’Fbi James Comey, il vice direttore Andrew McCabe (che per un breve periodo guidò il Bureau dopo il licenziamento di Comey da parte di Trump) e l’ex agente speciale Peter Strzok (il funzionario che avviò l’indagine su Trump, poi licenziato per negligenza) siano stati mossi da pregiudizio politico.

Secondo fonti che hanno avuto accesso alla bozza del documento, gli investigatori dell’ispettore generale Horowitz hanno comunque scoperto una serie di errori, alterazioni ed omissioni nei documenti relativi alle intercettazioni a carico di Carter Page, un ex consulente della campagna presidenziale di Donald Trump.

Tra questi errori ed omissioni, quelli compiuti da Kevin Clinesmith, ex legale dell’Fbi, che alterò il contenuto di un’email che i funzionari del Bureau utilizzarono per preparare la richiesta di proroga delle intercettazioni su Page, da sottoporre al tribunale segreto che autorizzò la sorveglianza elettronica sul consulente della campagna. Horowitz ha inoltrato l’incartamento su Clinesmith al procuratore John Durham, per un’eventuale incriminazione.

Nella sua indagine interna, Horowitz ha identificato Clinesmith, che ha abbandonato l’indagine sul Russiagate nel febbraio del 2018, come uno dei funzionari dell’Fbi che avevano espresso pesanti giudizi negativi su Trump in una serie di sms (tra questi c’era anche l’agente speciale Strzok). Clinesmith si è dimesso dal Bureau due mesi fa, dopo essere stato interrogato da Horowitz.

Sempre secondo le anticipazioni, che potranno essere verificate solo quando il Rapporto Horowitz sarà effettivamente pubblicato, le intercettazioni elettroniche nei confronti della campagna Trump furono legali. Si tratta di una questione che è stata duramente contestata dai repubblicani e dallo stesso presidente Usa. Stando a quanto era finora emerso, l’Fbi per ottenere l’autorizzazione ad usare gli strumenti particolarmente invasivi consentiti dal Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa), aveva presentato al tribunale speciale come prove di possibili collusioni tra Trump e la Russia, informazioni non verificate o poco attendibili.

Le informazioni erano contenute nel famoso dossier anti-Trump preparato dall’ex agente segreto britannico, Christopher Steele. Era poi emerso che il dossier era stato finanziato dai Democratici. Secondo quanto scrive il New York Times, citando fonti a conoscenza della bozza del Rapporto Horowitz, nessuna particolare informazione proveniente dalla Cia o dal dossier Steele è stata usata per aprire l’indagine contro Trump. E tuttavia, il nome di Steele sarebbe comparso nelle richieste di autorizzazione alle intercettazioni sulla campagna Trump presentate al tribunale Fisa, come ex informatore dell’Fbi.

Ce n’è abbastanza – ma tutto dovrà essere verificato alla luce del documento finale – per continuare ad alimentare il dibattito sul Russiagate e le sue origini, che vede schierati su fronti contrapposti Democratici e Repubblicani. Entrambi, potranno trovare nel Rapporto elementi a sostegno delle proprie tesi. Da un lato, quello democratico, la conferma della legittimità dell’indagine sul Russiagate, che si è poi comunque conclusa senza trovare un collegamento diretto tra Trump e Mosca per danneggiare la Clinton. Dall’altro lato, quello repubblicano, la conferma invece che l’Fbi dell’epoca agì nei confronti di Trump per pregiudizio politico, abbandonando il suo ruolo super partes.

Venerdì, in un lungo collegamento telefonico con la trasmissione tv Fox & Friends, Trump è sembrato assegnare al Rapporto Horowitz un ruolo fondamentale per uscire dall’angolo nel quale è stato messo con l’inchiesta per impeachment in corso alla Camera dei Rappresentanti. Avrà una portata “storica”, ha detto il presidente, convinto che il Rapporto “svelerà il più grande scandalo nostra storia”. Ma ancora “più importante”, ha aggiunto, sarà quello che “a breve” verrà presentato dal procuratore John Durham, sulla genesi dell’intera indagine anti-Trump e il presunto ruolo, oltre che dell’Fbi, anche della Cia e di altri servizi di intelligence.

Come è emerso in queste settimane, Durham ha acquisito ben due registrazioni audio collegate a Joseph Mifsud. La prima, con annessa trascrizione, una lunga deposizione fatta dal professore maltese nel maggio del 2018 nello studio di Zurigo del suo legale, Stephan Roh. La seconda, un vocale fatto arrivare qualche giorno fa da un servizio di email anonimo alle redazioni dell’Adnkronos e del Corriere della Sera. In quest’ultima registrazione, una voce che sostiene di essere “Joseph Mifsud” fa una serie di dichiarazioni, tra le quali, quella di non essere mai stato un “infiltrato” e di non avere mai avuto “consapevolmente” rapporti con servizi di intelligence.