Sisci: “Rischio che virus rallenti Paese dopo guerra dazi con Usa’  

Sisci: Rischio che virus rallenti Paese dopo guerra dazi con Usa'

(Afp)

Pubblicato il: 25/01/2020 15:50

La pandemia provocata dal nuovo coronavirus simile alla Sars rischia di avere “un impatto in tutto il Paese, abbiamo una zona di 30/40 milioni di abitanti sotto quarantena, tutta la mobilità della Cina è stata rallentata, se abbiamo un contagio in 29 delle 30 province, tutta la Cina rallenta“. Il professore Francesco Sisci, esperto italiano di Cina, autore di numerosi libri di politica internazionale e di molti saggi sulla Cina, spiega all’Adnkronos come per il gigante cinese le conseguenze, dal punto di vista economico, dell’emergenza potranno essere nell’immediato senz’altro negativi. Ma in un secondo momento la crisi “se usata bene, può diventare un’occasione di rinascita per fare grandi cambiamenti sistemici”.

Anche perché questa nuova crisi arriva “in un anno in cui il sistema cinese ha subito quattro attacchi, ciascuno dei quali avrebbe tagliato le gambe ad un altro Paese“, continua Sisci, ricordando “l’epocale” guerra commerciale con gli Usa, la peste suina che ha portato alla distruzione “della metà dei maiali” nel Paese e il problema di Hong Kong, dove con le proteste è venuto meno il funzionamento efficace della “camera di scambio tra economia cinese ‘chiusa’ e quella mondiale ‘aperta’ “.

“Ed infine con questa epidemia – sottolinea Sisci, che collabora con il think tank inglese Center for Policy Studies ed è Senior Fellow del Gatestone Institute, presieduto da John Bolton – per il Paese saranno cruciali i prossimi mesi per vedere come affronterà questo problema ma anche la catena di problemi che si sono accumulati”. Anche perché sulla distanza l’impatto della pandemia potrebbe essere “duplice: ricordiamo che le pestilenze hanno distrutto imperi, d’altro canto il Rinascimento è nato dopo la peste del 1300, se l’emergenza viene usata bene il Paese può avere un rilancio”.

Ricostruendo il rapidissimo sviluppo di questa epidemia, Sisci, già corrispondente da Pechino per testate italiane e straniere, frequente commentatore politico alla tv cinese e alla Phoenix Tv di Hong Kong, ricorda poi come, rispetto alla Sars del 2003, da Pechino ci sia stata “una risposta abbastanza rapida:” non sono in grado di dire se sufficientemente tempestiva o meno, però di certo vediamo che la Cina è entrata a pieno regime nell’allarme abbastanza rapidamente mentre nel periodo della Sars la reazione era stata molto più lenta, imprecisa, confusa”.

Lo stesso emergere poi di questo coronavirus – collegato a un “mercato delle carni spesso non controllato, con animali selvatici ed allevati in piccoli allevamenti che non riescono ad essere supervisionati e che diventano ossessivamente focolaio di qualunque cosa” – evidenzia la necessità di cambiamenti sistemici, lo sviluppo di un’agricoltura moderna, che il gigante cinese non sembra al momento in condizione di affrontare.

La Cina avrebbe bisogno di un’agricoltura moderna, ma questo significherebbe concentrare la terra, con l’espulsione dalle campagne” di centinaia di milioni di contadini, spiega Sisci, che ricorda come negli ultimi 40 anni in Cina vi sia stata già “un’enorme riduzione della popolazione agricola”, passata dal 90 al 40% del totale.

Per andare oltre, per spostare altri 300/400 milioni di contadini dalle campagne verso le città, la Cina dovrebbe avere “un sistema di sicurezza sociale che non ha”. La potenza economica cinese si “trova tra due sedie, non è seduta come un Paese sviluppato, né come un Paese non sviluppato, ha dimensioni gigantesche ed ha i danni dell’uno e dell’altro mondo”, aggiunge Sisci che spiega come il sistema agricolo attuale sostituisca gli ammortizzatori sociali che mancano nel Paese.

“Oggi milioni di cinesi vanno a lavorare in città – continua Sisci – ma conservano la terra così quando perdono il lavoro in città tornano in campagna e zappano la terra. Una attività non ad altissima produttiva che però è una valvola di compensazione: nel momento in cui io non ho lavoro in città torno in campagna e zappo la terra e quindi ho due vantaggi: non resto in città e divento un disoccupato, un proletario arrabbiato, e comunque ho uno strumento per sostenermi”.