Riina e il telefonino in carcere, la vice di Falcone: “Non ne ho ricordo” 

Riina e il telefonino in carcere, la vice di Falcone: Non ne ho ricordo

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Pubblicato il: 11/02/2020 16:07

Di Elvira Terranova

Torna il giallo del telefono cellulare in carcere del boss mafioso Totò Riina. Una circostanza, datata agosto 1993 ed emersa solo pochi mesi fa al processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia di Palermo, che adesso viene smentita dall’allora capo dell’Ufficio legislativo della Direzione generale degli Affari penali Liliana Ferraro, che lo corso 18 novembre è stata ascoltata nei locali della Dia di Roma dalla Procura generale di Palermo. I giudici della sentenza di primo grado criticarono pesantemente le “eclatanti dimenticanze”, ma anche la “deposizione sorprendente” dell’amica storica di Giovanni Falcone, Liliana Ferraro, che prese il posto del magistrato ucciso all’ufficio Affari penali del ministero della Giustizia.

Il verbale delle dichiarazioni di Liliana Ferraro, di cui l’Adnkronos è in possesso, è adesso agli atti del processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia. “Viene riferito che ci fu un momento in cui si seppe… vi era stata una segnalazione, un’informazione del Capo della Polizia riguardo al possibile possesso di un telefono cellulare di Riina al carcere di Rebibbia. Lei è mai venuta a conoscenza di?…”, chiede il pg Giuseppe Fici, che rappresenta l’accusa nel processo di secondo grado che si celebra davanti alla Corte d’assise d’appello di Palermo. “No, assolutamente. Non ho nessun ricordo di questo”, risponde Ferraro. “L’ho letto in questi giorni, l’ho letto su un giornale…”. E aggiunge: “Ho letto che l’ha detto il dottor Calabria al dibattimenti e che non l’aveva detto prima e che… Però io.. a me non.. che io ricordi…”.

Il giudice Andrea Calabria nel 1993 era in servizio al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Sentito al processo, lo scorso autunno, aveva parlato di una nota dei Servizi segreti. Calabria aveva riferito che al Dipartimento amministrazione penitenziaria “era giunta una segnalazione riservata del ministro dell’Interno con una nota del Capo della Polizia in cui si ipotizzava che Riina, con l’ausilio di alcuni agenti penitenziari, avesse a disposizione un telefonino per parlare con l’esterno. Di Maggio (Francesco ndr) non c’era e quella pratica era giunta in segreteria da qualche giorno. Io ed il consigliere Bucalo, che era il mio superiore nell’ufficio, decidemmo di trasferire Riina al Carcere di Firenze Sollicciano per procedere con gli accertamenti. Poi Di Maggio chiamò Bucalo (ex dirigente dell’ufficio, ndr) per revocare il provvedimento e Riina rimase a Rebibbia. Magari aveva ricevuto delle informazioni rassicuranti sul punto ma questo è quello che accadde”.

I sostituti Pg, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, che rappresentano l’accusa nel processo di appello di Palermo, dopo quella deposizione, fecero una serie di accertamenti per verificare la circostanza. “Abbiamo chiesto chiarimenti al Dap – aveva spiegato Fici in aula – Quanto detto da Calabria è in parte confermato nel punto in cui il 30 luglio del 1993 vi è un trasferimento da Roma a Firenze Solliciano, poi sospeso il 3 agosto successivo dal direttore. Ma la nota Sisde a cui fa riferimento Calabria è trasmessa in data 15 novembre 1993. In quella nota, che abbiamo recuperato si dice, tramite una fonte confidenziale, che Riina è stato visto in cella con un cellulare grazie alla collaborazione compiacente di quattro agenti di polizia penitenziaria, subito rimossi, senza che fosse fatta una segnalazione giudiziaria”.

Adesso le parole dell’allora capo dell’Ufficio legislativo della Direzione generale degli Affari penali smentiscono la circostanza. Il Pg la incalza e le chiede come sia possibile non ricordare un fatto così importante. “Diciamo che non è un fatto ordinario – dice il pg – Quindi è per questo che uno può immaginare…”. E Ferraro replica: “No, no… è sicuramente un fatto fuori dall’ordinario. Su questo, dal mio… per quella che era la mia conoscenza all’epoca e per quello che io avrei fatto all’epoca. Quindi, da questo… che sia fuori dall’ordinario, non ho… non c’è dubbio, però non ricordo di averlo saputo quando si è scoperto…”.

Come mai, dunque, a pochi giorni dalle stragi di Roma e Milano, fu disposto il trasferimento di Riina dal carcere della Capitale per poi essere revocato? Secondo quanto emerso dalle indagini della procura quei mesi sul fronte “detenzione Riina” erano stati particolarmente turbolenti. “Vi è una non comprensibile determinazione del Dap a mantenere Riina a Roma – aveva detto Fici in aula – Non risultano agli atti formali risposte o note trasmesse al capo della polizia”. “Sulla questione abbiamo trovato un appunto a mano per fascicolo, scritto da Di Maggio, in cui scrive ‘ho taciuto al Presidente della Commissione antimafia di soluzioni alternative perché ritenute a radice inadeguate e dal 20 settembre prossimo sarà impegnato a Palermo. E’ un appunto anomalo, riservato alla conoscenza dello stesso ufficio, in cui si fotografa una pressione esterna perché finisse lo scandalo della presenza di Riina a Rebibbia”.

“Dovete perdonarmi, sono passato talmente tanti anni e quindi… – dice Liliana Ferraro al pg – però penso che lo ricorderei! Non lo so, ecco… non mi pare di averlo… no”. Il pg incalza ancora: “E’ una problematica che comunque riguarda la permanenza di Riina a Rebibbia con un… non dico contrasto, ma quasi… fra Ministero degli Interni e Ministero di Grazia e giustizia, all’epoca chiamato così. Lei ne ha memoria a riguardo?”. “No, assolutamente – ribadisce Liliana Ferraro – Non ricordo… C’era il Dap… Quindi io sono… diciamo, i miei interventi erano nel… sono stati nella notte della tragedia di Paolo Borsellino. Ma non cioè… non nell’immediato come… ma poi per il resto io restavo nell’ambito delle mie competenze e non ricordo”. E il pg insiste: “Non si può dire se era il numero due del Ministero e il direttore degli Affari penali…”. Ferraro replica: “Sicuramente avevo un ruolo di primo piano! Sicuramente la mia posizione era molto rigida nei confronti di… della… diciamo della parte dei vertici di Cosa nostra, che poi Riina era stato arrestato… quindi, tutto quello che riguardava questa parte qui”.

Non ricorda neppure se all’epoca c’erano stati “contrasti sulla permanenza di Riina in carcere”. “Non ne ho memoria, dottore – dice Ferraro. Non ne ho ricordo”. Nell’ultima udienza, l’avvocato Basilio Milio, che difende il generale Mario Mori con il collega Francesco Romito, ha sottolineato a questo proposito: “Vero è che Di Maggio, l’8 luglio 1993, sollecita Calabria a trovare una soluzione alternativa a Rebibbia per Riina. Quindi l’iniziativa parte da Di Maggio e non ha nulla a che vedere con nessuna segnalazione circa l’uso del telefonino (che, arrivata a novembre, fa riferimento al mese di agosto) né con il suicidio di Gioè, che sarebbe avvenuto 20 giorni dopo – dice il legale – Vero è che il trasferimento di Riina a Sollicciano viene disposto il 30.07.93, ma la decisione appare presa da prima perché Calabria, il 26.07.1993, con Fonogramma 35499 inviato a Sollicciano, chiede genericamente di “predisporre l’attivazione della sezione M”.

Il direttore di Sollicciano, Paolo Quattrone, risponde inviando il 27.07.1993 una comunicazione nella quale è scritto “si comunica che la sezione M è stata predisposta ad accogliere i soggetti che si riterrà di dover destinare” ed allega l’ordine di servizio previsto da Sollicciano per i detenuti allocati nella sezione M”.

E il difensore di Mori prosegue: “Vero è che il 29.07.93 si tiene la riunione con i vari funzionari del Ministero e alla presenza di Di Maggio che conviene con loro nel destinare Riina a Sollicciano. Ma vi era già stato l’incontro Mori-Di Maggio due giorni prima e Di Maggio è d’accordo per trasferire Riina a Sollicciano. Quindi non può mettersi in relazione l’incontro con Mori con il fatto che Di Maggio cambi idea perché la cambia a seguito di altri avvenimenti di cui dirò”. Poi sottolinea: “Calabria, il 30.07.1993 con Fonogramma 36073, manda a Quattrone l’ordine di servizio del DAP e specifico per il detenuto Riina. In questo momento iniziano i problemi a Sollicciano. Infatti se è vero che Quattrone trasmette degli ordini di servizio generali relativi alle procedure previste a Sollicciano per quei detenuti, è altrettanto vero ed innegabile altro”.

E spiega: “Che, nel marasma di carte reperite e depositate (si tratta di un deposito di circa 17000 pagine di cui circa 4000 inerenti a tale vicenda), è probabilmente sfuggito ai PG, come è assolutamente umano che sia, in questa gran mole di documenti – dice l’avvocato Milio -Calabria, nel provvedimento di trasferimento indica una serie di prescrizioni da soddisfare ed inerenti specificamente per un verso alla caratura di Riina e per altro alle sue condizioni di salute. A fronte delle quali Sollicciano non era attrezzato. Ed inizia il panico. Infatti agli atti vi sono tutti i Fax “Urgente” e “Urgentissimo” che Sollicciano manda al DAP appena gli piove questa “grana”. Dinnanzi a tutte queste richieste, indicative di una non idoneità dimostrata nelle stesse, Bucalo (Non Di Maggio) con Fonogramma 36456 del 3.08.1993 sospende il trasferimento “allo scopo di consentire idonea predisposizione apparati di sicurezza”.

E conclude: “Il PG si è stupito di questa dicitura che ha definito “laconica”. In realtà, agli atti raccolti dal PG vi è una bozza del Fonogramma trasmesso da Bucalo. Ed è una bozza perché vi sono le correzioni. In cosa consistono? Nel fatto che la dicitura ufficiale “allo scopo di consentire idonea predisposizione apparati di sicurezza” utilizzata nel Fonogramma trasmesso, ha sostituito quella più specifica che si trova nella bozza: “si dispone sospensione temporaneo trasferimento citato detenuto presso la Casa Circondariale di Sollicciano Firenze Sezione “M”, scopo consentire quella Direzione (cioè Sollicciano) ultimazione sistemazione logistica citata sezione nonché organizzazione personale Polizia Penitenziaria che sarà ivi destinato’. Queste le ragioni del mancato trasferimento, messe nero su bianco da Bucalo. Ragioni di sicurezza, appunto”.