‘Scompare’ cartella clinica donna morta, medici a processo 

'Scompare' cartella clinica donna morta, medici a processo

(Fotogramma)

Pubblicato il: 12/02/2020 18:59

Due medici del pronto soccorso dell’ospedale di Velletri sono finiti a processo, con le accuse di omicidio colposo, soppressione di atto pubblico e falso ideologico, per la morte di una donna di 71 anni, deceduta nel nosocomio il 24 luglio 2015. La donna è stata accompagnata al pronto soccorso dell’ospedale la sera del 22 luglio 2015 per un malore e dimessa il giorno successivo all’ora di pranzo, dopo una serie di accertamenti, con una diagnosi di crisi ipotensiva. Il giorno dopo le sue condizioni sono peggiorate tanto che i familiari hanno chiamato il 118 e la 71enne è stata trasportata di nuovo al pronto soccorso. Lì la signora è morta intorno all’ora di pranzo. A quel punto i familiari hanno sporto denuncia e la procura di Velletri ha aperto un’inchiesta sul caso.

Secondo i familiari della donna, assistiti dallo Studio Legale Sgromo sia in ambito civile che penale, i medici avrebbero sbagliato la diagnosi curandola per una patologia diversa da quella poi riscontrata dall’autopsia. Dall’esame autoptico è emerso che la donna sarebbe deceduta a causa di una “peritonite da perforazione di ulcerazione duodenale“, a cui si associava una gastroduodenite emorragica e una cardiopatia ischemica.

Secondo i familiari queste problematiche non sarebbero mai state rilevate nel corso della degenza all’ospedale di Velletri e i sanitari avrebbero infatti curato la signora per una presunta patologia di origine cerebrale. I due medici sono stati rinviati a giudizio il 4 luglio 2019 e il 15 gennaio scorso si è aperto il processo, la cui prossima udienza è prevista per il 24 giugno.

Secondo quanto si legge nel decreto che ha disposto il rinvio a giudizio i due medici ”in concorso tra loro e in cooperazione colposa” non ”eseguendo un’anamnesi accurata, non eseguendo una tac e un’ecografia addominale, non disponendo il ricovero” ne ”cagionavano per negligenza, imprudenza e imperizia” la morte. Inoltre a uno dei due l’accusa contesta di aver dimesso la signora ”il 23 luglio 2015 con la diagnosi errata di crisi ipotensiva”, mentre all’altro di non averle effettuato un’ecografia e di non aver richiesto una tac addominale.

In più secondo l’accusa i due medici avrebbero nascosto nell’armadietto di uno dei due la cartella clinica originale della donna relativa al ricovero, in cui erano contenuti gli esami eseguiti. I due medici, in qualità di pubblici ufficiali, si legge nel decreto, “occultavano un atto pubblico vero al fine di conseguire il vantaggio di impedire o comunque ritardare gli accertamenti in ordine alle loro responsabilità”.

Infine ai due medici si contesta di aver attestato falsamente il rifiuto della donna al ricovero in una diversa struttura: secondo i familiari della vittima, infatti, né la paziente né loro stessi sarebbero mai stati informati di questa possibilità.

“Siamo convinti dell’assoluta estraneità dei due medici, che sono straordinari professionisti e che come tutti gli altri medici lavorano in condizioni difficilissime per la comunità di Velletri”, sottolineano all’Adnkronos l’avvocato Gianfranco Annino e l’avvocato Renato Giugliano, difensori di fiducia degli imputati. “La stessa prima consulenza tecnica dei medici legali incaricati dal pm – aggiungono – aveva escluso ogni possibile omissione o responsabilità penale dei nostri assistiti. Poi il pm ha fatto fare un’altra valutazione, una consulenza sulla base delle carte, che ha ipotizzato una remota possibile omissione e sulla base di questo si è proceduto”.

Quanto alla presunta sparizione della cartella clinica, secondo gli avvocati dei due medici si è trattato solo di “un malinteso”. “Non c’è stato nessun occultamento – spiegano – anche perché l’originale è quella inserita nel sistema informatico che è immodificabile”. Infine anche rispetto all’accusa di aver attestato falsamente il rifiuto della donna al ricovero i legali sottolineano che non sia ”veritiero”. “Per quale motivo il medico avrebbe dovuto fare una cosa del genere dopo aver speso tempo a cercare un posto? Quale vantaggio ci sarebbe per il medico?”, si chiedono i difensori dei medici. “Siamo convinti che dimostreremo l’estraneità dei nostri assistiti soprattutto insistendo sulla consulenza dei medici legali della procura”, sottolineano.

Peraltro, gli avvocati Annino e Giugliano all’udienza del 15 gennaio scorso, davanti al Giudice Valentina Ribaudo, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale in riferimento all’articolo 83 cpp nella parte in cui non consente all’imputato di citare il responsabile civile (Asl) per l’eventuale risarcimento del danno, soprattutto in riferimento all’articolo 7 della Legge Gelli-Bianco secondo la quale “la struttura sanitaria … pubblica o privata” risponde per le condotte dolose o colpose dei propri medici. Su questa istanza, il Tribunale si è riservato la decisione rinviando all’udienza del 24 giugno.