Il video in time lapse del camionista al lavoro in quarantena 

di Silvia Mancinelli

“Ho 35 anni e da dieci sono un camionista. Un lavoro complicato che si fa solo per passione, ma che oggi è diventato ancora più difficile. I disagi con la quarantena si sono moltiplicati, non si trova da mangiare, ci trattano peggio delle bestie. Ad oggi nelle aziende dove fai carico succede anche che ti neghino il bagno, ti dicono addirittura che non c’è. Se capiscono poi che vieni da Fondi, zona rossa, è ancora peggio. Ti trattano come un lebbroso”. Alessandro Marrone è uno dei tanti autotrasportatori al lavoro in Italia. Tra le strade deserte in tempo di quarantena, racconta all’Adnkronos il suo lavoro in prima linea, non tutelato, solo tra i pericoli e la paura.

Ieri è partito dal Mof della zona rossa di Fondi con un carico di frutta e verdura diretto a un altro mercato ortofrutticolo, quello della Liguria. Milleduecento chilometri, andata e ritorno, nella desolante solitudine della quarantena, caffè e panini consumati fuori dagli autogrill e bagni negati per la paura. Nel video che ha girato per noi in time lapse sono racchiusi venti minuti di autostrada semi deserta, “una scena rara per un tratto solitamente congestionato come quello Fiumicino-Civitavecchia” dice. “La mancanza del traffico è l’unica nota positiva di questo periodo, anche se espone ad altri e forse più temibili rischi – spiega – la gente inizia ad aver fame, noi viaggiamo soli, spesso passano tre, quattro ore senza incrociare nemmeno una macchina e gli assalti a un camion carico di prodotti alimentari non sono da escludere”.

Ma non è tutto. “Da 20 giorni a questa parte si rientra sempre senza carico, gran parte delle aziende del nord Italia sono chiuse – aggiunge Alessandro – e hanno bloccato i pagamenti. Se facciamo sempre viaggi di ritorno a vuoto la mia azienda quanto può durare?”. E’ la paura del contagio a rendere “scivoloso” l’asfalto finalmente non trafficato degli autotrasportatori. In prima linea, al lavoro tra una regione e l’altra mentre tutto il resto del Paese è chiuso in casa, si sentono bistrattati quando non trascurati.

“Gli autogrill ora sono aperti – racconta Alessandro – ma puoi entrarci il tempo di acquistare un panino, se lo trovi, da consumare all’esterno appoggiandoti in un posto di fortuna mai pulito. Al bagno si entra con la fila due persone alla volta, i ristoranti sono chiusi, ce n’è qualcuno che fa servizio da asporto per noi camionisti ma sono arrivati a costare cifre esorbitanti. Ci si arrangia come si può, per carità, ma per uno che viaggia tutti i giorni, notte compresa, il pasto diventa un momento fondamentale per staccare. Hai proprio bisogno di mangiare seduto a tavola, invece ingoi il panino dentro la cabina del camion, buttato lì come una bestia. Vedo gente che ora si organizza con l’attrezzatura da campeggio, scene che un tempo si vedevano solo tra chi veniva dall’estero. Insomma, diventa uno stress anche mangiare. E a destinazione, se non ti conoscono, ti trattano pure male. Nelle grandi aziende dove si carica nemmeno puoi scendere dal camion, se sei sotto la rampa di carico due ore per caricare e hai l’esigenza di andare in bagno non puoi nemmeno scendere”.

Da qui lo sfogo: “Noi siamo una categoria a rischio, eppure per noi non ci sono le mascherine. La mia azienda ha fatto richieste su richieste senza mai ricevere risposta. Ne abbiamo di artigianali che laviamo in continuazione, ci dobbiamo arrangiare, non siamo tutelati per niente. Ma un controllo per noi, che siamo a contatto con tutte queste persone, chi ce lo fa? Nessuno. Siamo carne da macello. Paradossalmente per noi camionisti il punto più sicuro è proprio il Mof, dove all’ingresso i ragazzi dell’Esercito ci controllano col termoscanner. La rabbia monta in questi casi e viene da dire: ‘Oh, se la gente sta mangiando è perché noi portiamo il cibo da un capo all’altro del Paese. Non ci sto ad esser trattato male, meritiamo rispetto”.