Coronavirus diventa brand, fioccano richieste per marchi Covid-19 

Coronavirus diventa brand, fioccano richieste per marchi Covid-19

(Afp)

Pubblicato il: 09/04/2020 15:10

“Berreste un bicchiere di Covid annata ’19? Mangereste un biscotto Coronavirus”. Se lo chiede il pubblicitario Luciano Nardi, alla notizia che da una ricerca informale a livello internazionale sulle banche dati pubbliche, sono emersi più di 60 marchi depositati da febbraio rivendicanti la dicitura ‘Coronavirus’, ‘Covid-19’ o simili.

In Italia risultano tre casi: il deposito denominativo, ovvero solo del nome ‘Coronavirus’ effettuato da un imprenditore cinese e il deposito figurativo, risalente allo scorso 23 marzo, che raffigura il simbolo della corona con all’interno la scritta virus effettuato da un studio di architettura. Ma soprattutto singolare è la richiesta di deposito per il marchio ‘Coronavirus Wines‘, sempre proveniente dall’Italia.

“Un marchio per essere registrato validamente, deve essere in possesso dei requisiti della novità, capacità distintiva e liceità”, spiega Rosa Mosca esperta di proprietà intellettuale di Rödl & Partner, colosso della consulenza legale internazionale presente in 50 paesi tra cui l’Italia. “Nel caso di specie – sottolinea la Mosca – non si ritiene che il marchio ‘Coronavirus’ sia nuovo e distintivo, rappresentando esso il nome scientifico di una patologia ed essendo diventato in tempi rapidissimo una dicitura ormai di uso comune”.

Ad oggi nessuno di questi marchi è ancora registrato. E comunque ‘brandizzare’ un prodotto col nome o con un logo Coronavirus sarebbe una buona mossa in termini di marketing o comunicazione? “Non so le motivazioni che hanno indotto questi imprenditori a chiedere la registrazione del marchio Coronavirus – risponde Nardi – ma posso dire che in termini di marketing queste cose non funzionano per vendere i prodotti. Mettere in commercio un brand che possa richiamare alla mente una cosa negativa che ha portato migliaia di morti nel mondo, per quanto mediatico possa essere, non è una buona idea. L’equazione virus uguale malattia, infatti, è la prima immagine che viene in mente ai consumatori, che poi automaticamente la trasferiscono sul prodotto stesso – continua il pubblicitario – Voi mangereste mai un biscotto Coronavirus? O magari berreste un bicchiere di vino Covid annata ‘19’? Per assurdo, nemmeno come titolo per un videogame violento potrebbe essere adatto”.