A Casa Coniugi di Milano 55 decessi su 200 ospiti, familiari raccontano il dramma 

A Casa Coniugi di Milano 55 decessi su 200 ospiti, familiari raccontano il dramma

(Fotogramma)

Pubblicato il: 11/04/2020 19:14

di Federica Mochi

I numeri, potenziali, fanno spavento: 55 decessi su 200 pazienti alla Rsa Casa per Coniugi di Milano. Numeri che non hanno tutti il marchio certificato del covid-19 (per la direzione sono 21 sospetti covid e 3 accertati covid) ma fanno lo stesso gridare allo scandalo i parenti dei morti, numeri e accuse che la direzione respinge al mittente assicurando d’aver fatto tutto il possibile, e anche di più, per arginare un virus che in pochi giorni ha colpito ovunque dentro la struttura sanitaria. E’ un botta e risposta durissimo quello tra i familiari e i vertici della Rsa milanese. Cominciamo con le accuse dei parenti delle vittime, a seguire le risposte, le smentite e le spiegazioni della direzione.

Partiamo con Marina (nome di fantasia, ci chiede di mantenere pubblicamente l’anonimato), 53 anni, il primo aprile ha perso il papà. “L’ultima volta che ho sentito mio padre era tranquillo, mi ha chiesto quando sarei andata a trovarlo, gli ho risposto ‘dai che il 3 aprile sarò lì e ti metto a posto io, non ti preoccupare, ti faccio anche la barba’. L’ho chiamato l’indomani, mi ha detto ‘Va tutto bene, non ti preoccupare, mi tengono a letto’. Ma poi, due giorni dopo mi chiamano dall’Rsa dicendo che si era aggravato. Mi concedono di andare in struttura. Il 3 aprile sono andata a prenderlo per seppellirlo. Me lo hanno riconsegnato in una bara”. “La situazione non era come ce la raccontavano”. Siamo in via dei Cinquecento 19, quartiere Corvetto. Assieme alla struttura di fronte, la Virgilio Ferrari, la Casa per Coniugi è gestita dalla cooperativa Proges di Parma, ed entrambe sono sotto la direzione della dottoressa Claudia Zerletti. E’ in queste due strutture che si conta un alto numero di anziani deceduti a Milano, come raccontano molti dei parenti con i quali l’Adnkronos ha avuto modo di parlare. Alla Casa per Coniugi, ad esempio, molti sono morti in una manciata di settimane. I numeri sono da capogiro ma restano una goccia nell’oceano se confrontati con quanto sta accedendo in tutta la Regione Lombardia, dove nelle case di riposo si contano oltre 1.800 morti, con lo tsunami coronavirus che ha travolto centinaia di anziani.

A detta della signora Marina “chi mi ha accolto per dirmi che papà era morto era senza guanti, senza mascherina, col camice aperto. Quando gliel’ho fatto notare se ne è andata senza darmi spiegazioni. Nella struttura dicevano che andava tutto benissimo, che i nuclei (i diversi reparti, ndr) erano blindati e che non dovevamo preoccuparci perché i nostri cari erano nelle loro mani. Ma quando sono andata a trovare mio padre i nuclei erano tutti aperti, nessuno aveva i dpi. C’erano infermieri con indosso i camici dei parrucchieri. Ieri sono andata a ritirare gli effetti personali di papà e la porta antipanico era aperta, entravano e uscivano operatori, nessuno aveva guanti o mascherine”.

Dalla direzione, sottolinea Marina, nessuno è ancora stato in grado di dirle perché suo padre è morto. “Quando gliel’ho chiesto mi hanno risposto ‘aveva tante patologie’, sì ma quali? Non gli hanno fatto il tampone post mortem. Non è vero che erano super protetti e tutelati, che erano in una bolla di sapone. Ora vogliamo dare battaglia legale se possibile, non voglio denaro ma che venga fatta giustizia”.

Tra gli anziani che si trovano attualmente nella Casa per Coniugi c’è poi la mamma di Giovanna: “Sta bene per fortuna, ha 92 anni – racconta Giovanna – è lucida e ha il suo telefonino con sé. La sento ogni giorno ma ogni mattina mi chiedo se mi risponderà ancora. E’ preoccupata, sta chiusa in camera da sola ma sente di essere forte e che ce la farà. Credo che sia partito dagli operatori sanitari che non sapevano di essere malati – afferma -. Molti operatori si sono ammalati, molti sono positivi e si curano da casa. All’inizio non c’erano guanti e camici”. Critiche alla dirigenza: “Tutti abbiamo tentato di parlare e far arrivare ogni tipo di allarme, soprattutto all’inizio, ma siamo stati minacciati di non mettere troppo le mani in questa storia. Ci dicevano che stavano facendo il massimo e lavoravano h24 ma ancora oggi non sappiamo esattamente cosa stia accadendo lì dentro”.

La Regione Lombardia ha istituito una commissione di inchiesta sulle Rsa e il comune di Milano ha nominato l’ex magistrato Gherardo Colombo: “La Regione e tutti gli organi avrebbero dovuto pensarci prima ma siamo soddisfatti perché ora il bubbone è scoppiato – osserva Giovanna -. Abbiamo scritto a Gallera, al sindaco Sala, all’assessore alle Politiche sociali, nessuno ci ha risposto. L’unico che lo ha fatto è stato il parlamentare europeo Pierfrancesco Majorino. Ieri ci ha confermato di aver scritto al Prefetto e al governatore, ne siamo molto contenti. Dobbiamo salvare quelle poche anime che stanno ancora lì e stanno bene”.

A pagare il prezzo più alto, nella Rsa di Corvetto è stata sicuramente Elisabetta che ha perso entrambi i genitori di 93 anni. “Condividevano la stanza – spiega -. Dopo una settimana dal primo caso accertato nella struttura, mia madre ha iniziato ad avere un po’ di febbre altalenante e venerdì 27 marzo è deceduta. Mio padre è rimasto sempre in camera con mia madre e se ne è andato dopo qualche giorno. Per i dirigenti si tratta di due sospetti Covid ma certezze non ne hanno – sottolinea Elisabetta – mi hanno detto che non avendo fatto i tamponi non possono classificarli come positivi al coronavirus’”. Quando i genitori si sono ammalati, Elisabetta ha avuto il permesso di andare nella struttura: “Lì dentro ho visto cose assurde – dice – i sistemi di protezioni erano inesistenti, ospiti che avrebbero dovuto restare nelle loro camere giravano indisturbati, le porte erano tutte aperte. Ci hanno raccontato barzellette”. I due feretri sono stati portati vicino Torino per la cremazione perché a Lambrate, dove vive Elisabetta, non c’è posto. “Quando è morta mia madre c’è stato un episodio gravissimo per il quale ho scritto una mail di fuoco alla direttrice – racconta Elisabetta – è stata scambiata la salma di mia madre con quella di un’altra ospite che era morta a poche ore di distanza. Le salme erano nella stessa camera ardente e hanno fatto confusione è inaccettabile”.

La direzione delle due strutture, raggiunta dall’Adnkronos, rimarca la correttezza dell’azienda. “Smentiamo categoricamente ogni tipo di accusa – sottolineano – tutti gli ospiti sintomatici vengono isolati a padiglioni o a piani, quelli che giravano evidentemente potevano farlo. Dalla prima delibera del 3 marzo scorso abbiamo adottato tutte le delibere che ci sono state indicate dalla Regione, isolando i sintomatici. I tamponi fino ad oggi non sono stati fatti dall’Ats e, tranne per chi ha avuto tampone in ospedale, parliamo ancora di sintomatici”.

Quanto alle denunce dei familiari dei deceduti su una presunta inadeguatezza e mancanza di dispositivi di protezione individuale la direzione spiega che “anche nei momenti di massima carenza sul territorio nazionale siamo sempre riusciti tramite i nostri canali più disparati a reperire sempre mascherine e camici nella quantità necessaria. Nelle situazioni in reparti non direttamente esposti a ospiti positivi, per breve tempo abbiamo utilizzato camici che ci erano stati donati da un’azienda, consapevoli del fatto che non siano destinati a uso ospedaliero. Li abbiamo usati in una situazione di assoluta emergenza. Ogni giorno tutta la struttura viene sanificata e tutte le procedure ricevute sono state sempre messe in atto”.

E così anche sullo scambio delle salme “siamo stati noi ad avvisare la signora e scusarci – spiega la direzione – dopo che da una procedura interna di controllo è emersa una momentanea disattenzione di qualcuno sulla quale stiamo facendo un’indagine interna. È emerso un momentaneo disguido da subito rilevato. Noi siamo sempre trasparenti con i familiari, quell’episodio momentaneo non avrebbe potuto produrre una conseguenza”.

Riguardo infine l’ipotesi avanzata da alcuni familiari che il contagio si sia diffuso all’interno della struttura per mezzo degli operatori sanitari, la direzione precisa inoltre che “i tamponi ad oggi, 11 aprile, non sono stati eseguiti su alcun operatore sanitario”. La procedura per effettuarli “è arrivata due giorni fa – sottolineano – quando noi chiediamo di effettuare tamponi da inizio marzo. La delibera regionale del 30 marzo scorso ha deciso di procedere ma noi ci eravamo già attivati autonomamente andando persino nelle farmacie a cercarli. Ci hanno risposto che non potevamo eseguirli, che potevano farlo solo le autorità sanitarie e fino ad oggi la disposizione era di eseguirli solo in ospedale. E infatti, gli unici casi che noi trattiamo come positivi sono gli ospiti che tornano indietro dagli ospedali”.

L’8 aprile è arrivata la delibera attuativa di Ats, “anche quella è restrittiva – rimarcano – perché per gli operatori ci chiedeva di indicare quali secondo noi avevano mostrato dei sintomi oppure, dalla prognosi della malattia, andavano indicate le persone sulle quali effettuare tamponi. Noi abbiamo fatto richiesta che tutto il personale e tutti gli ospiti facciano il tampone ma ad oggi il protocollo non contempla uno screening a tappeto”.

Sui mancati tamponi post mortem sugli ospiti deceduti, invece, “non spetta a noi farli – osserva la direzione – non sono di nostra competenza, la decisione è sanitaria, non siamo noi che disponiamo di farli o meno”. Nessun familiare, tra l’altro, ribadiscono “è mai stato minacciato, assolutamente. Da subito la direttrice ha mostrato massima disponibilità, ci siamo attivati per le videochiamate e ogni due giorni venivano diffuse informazioni via mail sui pazienti deceduti e su quelli malati. Abbiamo attivato inoltre uno sportello di consulenza di supporto psicologico per familiari e operatori, noi stiamo facendo tutto quello è in nostro potere fare. Abbiamo fatto di tutto e tanto di più”.

E infine sugli ospiti che girano spiega: “C’è una sottovalutazione della situazione concreta – precisano – noi abbiamo pazienti psichiatrici, malati di Alzheimer e non è sempre facile contenere per un mese le persone in una stanza. Le Rsa non sono degli ospedali ma luoghi che hanno una loro destinazione e un loro scopo ossia assistere e accudire persone estremamente fragili”.

Quanto ai numeri dei decessi, rispetto alle voci iniziali di 62 casi, la direzione sempre all’Adnkronos rettifica la cifra cristallizzandola in “55 morti da fine febbraio al 9 aprile 2020″ aggiungendo che a marzo di quest’anno si registrano 37 decessi di cui 13 morti per altre patologie, 21 sospetti covid e 3 accertati covid mentre nel marzo 2019 i decessi erano stati 11”.