Massimo Bordin, un galantuomo del giornalismo: il ricordo di Gian Marco Chiocci 

Massimo Bordin, un galantuomo del giornalismo: il ricordo di Gian Marco Chiocci

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Pubblicato il: 17/04/2020 14:07

La tosse. E che tosse. Un colpo, due colpi, tre, quattro, fino a cinque, sei, sette rantolii nella sveglia e nel dormiveglia di tutti noi. “Eccoci, buongiorno agli ascoltatori di “stampa e regime”, la rassegna stampa di Radio Radicale…”. Come cambia la tosse da un anno all’altro. Il marchio di fabbrica della sintomatologia del terrore da covid-19 solo un anno fa era il segno di distintivo di un galantuomo del giornalismo che dopo averci fatto compagnia ogni mattina, per sempre toglieva il disturbo. Massimo Bordin, si chiamava. Ci ritroviamo a piangerlo ma ancor più a rimpiangerlo perché nessuno, più di lui, avrebbe raccontato con sarcasmo il virus dell’inettitudine ai tempi del contagio italico.

Quel timbro di famiglia che arrancava dai bronchi stanchi e incatramati ha segnato per lustri l’inizio della giornata politica, o della giornata e basta. Osservatore irriverente, laico, colto e curioso cultore della letteratura francese, garantista ma forse meglio dire antigiustizialista, sfrontato coi pistaroli e gli antimafiologi professionisti, petto in fuori per gli ultimi anche se i primi, ominicchi e quaquaraqua, si beavano nell’adularlo o nella di lui citazione. All’uditorio radiofonico Massimo, nel suo sontuoso equilibrismo, regalava educate rasoiate, distribuiva insufficienze impietose, riesumava fatti e misfatti archiviati chissà dove eppoi sputtanava i tuttologi del tweet che della politica sconoscono la preistoria, le basi congressuali, i tradimenti e le correnti, non sanno vizi e virtù di ministri e suggeritori, di portaborse e lacchè, dei boiardi, dei nani e del coté di ballerine, insomma dei passeggeri vari e avariati del Titanic tricolore dal dopoguerra all’avvento del Gerarca Minore.

Il nome di Bordin si lega alla storia, all’esperienza radicale, e perché no alle sigarette di quel fumantino di Marco Pannella, mitologico ospite domenicale col quale abbondavano gli scazzi e infine si sfiorò in diretta pure la rissa. Dell’emittente, Bordin fu direttore per quasi vent’anni (dal ’91 al 2010) per poi dimettersi poiché capì che un mondo, il suo mondo, stava morendo con lui. La rassegna stampa radicale continua ma non è più la stessa. Nessuno lo dice ma forse andrebbe spenta, a imperitura memoria, ritirata dal palinsesto come si fa con le maglie degli atleti unici e inimitabili, lasciando di buon’ora solo l’inno del partito, il Requiem in re minore di Mozart col sottofondo di quel colpo di tosse lì.

Gian Marco Chiocci, direttore Adnkronos