Wojtyla, il gendarme che bloccò Agca: “Così salvai il Papa”  

Wojtila, il gendarme che bloccò Agca: Così salvai il Papa

Pubblicato il: 17/05/2020 17:39

di Silvia Mancinelli

“A 18 anni ho giurato, da gendarme pontificio, di dare la vita per il Papa e da giuramenti di quel tipo non se ne esce, valgono per sempre. E così, il 13 maggio 1981 ero in Vaticano per caso, ormai da dieci anni in pensione. Mi trovavo lì perché avevo accompagnato una coppia di amici che aveva il desiderio di vedere Papa Giovanni Paolo II in occasione dei 25 anni di matrimonio. Quando ho sentito gli spari in piazza, ho subito capito che avevano sparato al Papa. Alì Agca veniva avanti, eravamo quasi vestiti uguali, un tono più leggero io, uno più scuro lui, Franco Ghezzi (l’aiutante di camera di Paolo VI, ndr) che era lì me lo ha indicato ma io già lo avevo visto farsi largo tra la folla con la pistola, non potevo sbagliarmi. Mentre la gente si scansava terrorizzata per farlo passare, io gli sono andato incontro e a un metro da me ha gettato la pistola a terra. C’era già chi lo aspettava al colonnato, gli ho tagliato la strada, l’ho preso e cercavo di portarlo dentro al portone di bronzo. Poi è arrivato un giovanissimo carabiniere a darmi una mano e un gendarme, poliziotti e quando la gente ha capito lo volevano linciare. Abbiamo preso calci e pugni per difenderlo“. Ermenegildo Santarossa, 83 anni, ex gendarme vaticano, ricorda così per la prima volta all’Adnkronos quando bloccò Alì Agca un istante dopo l’attentato a Papa Giovanni Paolo II.

“Il giorno dopo i fatti si presentò la tv americana con tanti soldi chiedendomi una intervista ma ho sempre rifiutato. C’è una suora che ancora oggi racconta di aver disarmato l’attentatore, ma non mi interessa, non ho mai telefonato a nessuno per spiegare come sono andate davvero le cose, ci sono i documenti, le foto, le testimonianze. E’ la prima volta che racconto come andò quel giorno, e va bene così – dice – Dal Vaticano non ho mai ricevuto un ringraziamento ufficiale, arrivato invece dallo Stato Italiano che, per quel fatto, mi ha nominato Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Ci penso sempre a quello che è successo quel giorno, ma non ho avuto un attimo di paura, ero abituato, una volta mi è rimasto storto il dito della mano sinistra per salvare Paolo VI da un fedele peruviano troppo focoso che aveva scavalcato le transenne per toccare il Papa. Un po’ come accaduto recentemente a Bergoglio con la donna cinese, solo che lui mi fece una mossa di karate mentre lo bloccavo”.

Di Giovanni Paolo II, che oggi avrebbe compiuto 100 anni ricorda: “Ci conoscevamo da quando lui era ancora vescovo e veniva al concilio con il patriarca Wyszinski perché io ero uno dei cinque della sicurezza. Aveva un carisma particolare, d’altronde è quello che ha fatto cadere il comunismo. La Polonia è sempre stato il baluardo del cattolicesimo e Dio, si sa, manda il freddo secondo i panni: ha pensato bene di far eleggere un Papa che era esempio per tutti, operaio, minatore, è stato in guerra. Il giorno dell’attentato, dopo che abbiamo portato Agca nella guardiola dell’ispettorato sotto al colonnato, ho chiamato mia moglie per dirle di accendere la televisione, per vedere cosa era successo. Non mi ha chiesto nulla, se stessi bene, ha detto solo che ero un matto, che avrebbe potuto ammazzarmi. E’ stato un miracolo quel giorno, quella pistola con quelle pallottole non si inceppa mai: sono partiti invece solo due colpi, è stata proprio la Madonna che lo ha salvato”.

“Alì Agca – ricorda ancora Santarossa – era un assassino di professione, chissà quanti soldi gli avevano dato per quell’attentato al Papa. Non ha nemmeno reagito, quando l’ho afferrato forte in vita ha ripetuto tre volte ‘Non ho fatto niente’. La Madonna mi ha fatto trovare lì perché lui sarebbe fuggito, aveva chi lo aspettava all’edicola e il complice in mezzo alla folla. Il giorno dopo feci una relazione di 6 pagine scendendo nel dettaglio. Nessuno mi ha mai ringraziato ufficialmente – aggiunge l’ex gendarme – solo anni dopo ho ricevuto l’onoreficenza dal Quirinale ma dal Vaticano non mi hanno mai scritto grazie nemmeno su un pezzetto di carta. I polacchi sì, loro ancora oggi vengono nel negozio di mio figlio, di numismatica e filatelia del Vaticano, vogliono farsi la foto con me, baciarmi, battono le mani. Con Papa Giovanni Paolo II ci siamo incontrati dopo molti anni, lui lo sapeva, mi conosceva e in due minuti abbiamo ricordato l’avvenimento. Oggi passo il tempo al negozio di mio figlio, passano vescovi, cardinali, andiamo a prendere l’aperitivo, parliamo un po’ e passo il tempo così”.