“Rischio basso”, così l’Europa due giorni prima di Codogno 

Rischio basso, così l'Europa due giorni prima di Codogno

(Fotogramma)

Pubblicato il: 19/05/2020 12:20

L’hanno visto arrivare, ma pensavano che avrebbe investito l’Europa più avanti. Gli esperti che compongono l’Advisory Forum, il comitato dei consulenti scientifici, dell’Ecdc, lo European Center for Disease Control and Prevention, si sono riuniti a Stoccolma il 18 e 19 febbraio, a una manciata di ore dalla scoperta del presunto ‘paziente uno’, il 38enne trovato positivo al coronavirus Sars-Cov-2 a Codogno, nel Lodigiano. Dal verbale di quella riunione, di cui dà conto oggi El Paìs in chiave spagnola e di cui l’Adnkronos ha copia, emerge un quadro che, letto con il senno di poi, può portare a gettare la croce sugli esperti. Ma vale sempre l’avvertenza che nessuno è in grado di predire il futuro.

Caveat a parte, a meno di 48 ore dalla diagnosi di Codogno, arrivata grazie all’intuizione di un’anestesista, gli esperti dell’Ecdc consideravano “basso” il rischio rappresentato dalla Covid-19 per i sistemi sanitari europei. O meglio, per gli esperti dell’Ecdc il 18 febbraio 2020, “la valutazione del rischio” per i servizi sanitari “è bassa per le prossime 2-4 settimane”, valutazione basata sul fatto che “l’influenza raggiungerà il picco nelle prossime settimane e che la trasmissione della Covid-19 inizierà successivamente”. Quindi, l’Ecdc ha visto arrivare la malattia che di lì a poco avrebbe messo a dura prova i sistemi sanitari occidentali.

Non aveva però visto, ma non era il solo, la ‘bomba atomica’ che stava per scoppiare in Val Padana e che avrebbe messo a durissima prova i servizi sanitari italiani. In quel momento, due Paesi europei avevano registrato una circolazione locale del virus, Francia e Germania. Nel giro di tavolo degli esperti nazionali, il rappresentante francese riferisce di 12 casi confermati, tra cui un morto, mentre la Germania riporta sul ‘cluster’ di Monaco di Baviera, sospettato di essere all’origine dell’esplosione di Covid-19 che sarebbe stata appurata di lì a poco nel Lodigiano. Cluster epidemico provocato “dalla visita di una persona proveniente dalla Cina in una grande società che fornisce componenti per l’automotive, tra il 19 e il 23 gennaio”. Il caso era poi stato diagnosticato al ritorno di questa persona in Cina, il 26 gennaio.

Il cluster, riferiva il rappresentante tedesco, è stato subito circoscritto (forse non abbastanza), identificando “tutti i contatti”, con il coinvolgimento di “oltre 20 autorità sanitarie locali”. L’Italia, rappresentata da Silvia Declich dell’Istituto Superiore di Sanità, riferiva che “tutti i voli dalla Cina sono stati fermati a fine gennaio” e che “è stato dichiarato lo stato di emergenza. Tutti i contatti dei tre casi positivi sono stati messi in quarantena, come tutte le 56 rimpatriate dalla Cina. Sono state diffuse informazioni sui social media (Facebook) per tentare di prevenire fake news”.

Il verbale registra altri due interventi della rappresentante italiana, primo ricercatore dell’Iss. Laureata alla Sapienza di Roma, un master in epidemiologia a Ottawa, in Canada, ha coordinato tra l’altro progetti sull’Aids e su Ebola in Uganda. Nel giro di tavolo sul ‘risk assessment’, cioè la valutazione del rischio, Silvia Declich “si è interrogata sulla possibilità che i casi asintomatici possano trasmettere la malattia e se debbano essere posti in quarantena”. Il ruolo degli asintomatici nella trasmissione della Covid-19, la malattia provocata dal coronavirus Sars-Cov-2, si è rivelato poi un punto chiave nella gestione sanitaria della pandemia.

Più avanti, nella discussione sulle priorità che l’Ecdc dovrebbe avere nel sostenere gli Stati membri rispetto alla “situazione di emergenza” connessa alla Covid-19, la Declich sottolinea che “più dati divengono disponibili, più le classificazioni cambieranno e questo avverrà molto velocemente, con un impatto significativo”. “Tentare di differenziare le aree a scopo di sorveglianza e dell’effettuazione di test creerebbe solo maggiore confusione – ha aggiunto la Declich, secondo il riassunto fornito dal verbale – ha suggerito di aderire alle linee guida dell’Oms riguardo alle aree colpite”.

La discussione tra gli esperti, che siedono in un organo consultivo e quindi non prendono decisioni, ma si confrontano, verte su parecchi punti. Il documento riassume due giorni di lavori, per un totale di 130 interventi, non tutti sulla Covid-19, che comunque occupa una parte consistente dei lavori. Tra i tanti, saltano agli occhi due interventi. Il rappresentante tedesco, Osamah Hamouda, “ha detto che stava diventando ovvio che il concetto di ‘contenimento’ non funziona e che non aiuta, dato che le malattie non rispettano i confini. Quindi, invece di discutere i rischi, è necessario discutere di raccomandazioni e di quali consigli dare. Tutte le altre questioni sono irrilevanti, al momento”.

Il delegato francese, Bruno Coignard, spiega che la Francia ha fatto un’analisi per scenari. Risultato, “il quarto scenario, che comprende una trasmissione diffusa, la quale ha un impatto diffuso e importante sul sistema sanitario, è ritenuto il più probabile”. Aveva ragione, come l’Italia prima, e l’intera Europa poi, avrebbero sperimentato sulla propria pelle di lì a poco.