Caso Zangrillo, Richeldi: “Dichiarazioni a effetto vanno evitate” 

Caso Zangrillo, Richeldi: Dichiarazioni a effetto vanno evitate

Afp

Pubblicato il: 01/06/2020 09:58

“Questa è una situazione talmente drammatica e nuova che io credo che le dichiarazioni ad effetto andrebbero evitate perché non sappiamo che effetti potrebbero avere”. Così Luca Richeldi, componente del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile, ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, presidente società italiana pneumologia, ospite di 24 Mattino su Radio 24. “Quello che ha detto il professor Zangrillo è una cosa che è nei numeri e nei dati ormai da settimane – continua – con questo ‘clinicamente non esiste più’ ha fotografato una situazione che è nei fatti da molte settimane ed è quello che si voleva ottenere con le misure di distanziamento, così drastiche e prolungate, che abbiamo avuto. Ma questa frase, estrapolata dal contesto clinico e tecnico, può dire alla persona che non ha queste capacità di interpretazione, che il virus non esiste più, e questo è rischioso”. Per Richeldi, “trovandoci con un virus così nuovo e in una situazione così delicata, andare a rischiare per una frase mi sembra una mancanza di cautela”.

La ‘riduzione della carica virale’ è una cosa della quale io non sono a conoscenza e non credo che sia mai stata dimostrata né pubblicata. Quello che vedo – continua Richeldi – è una coincidenza temporale tra le misure di lockdown e la riduzione del numero dei casi che è da imputare alla riduzione della circolazione del virus, questo mi convince e non sarebbe accaduto senza quelle misure di lockdown perché vediamo che in altri Paesi, in cui quelle misure non ci sono state, la situazione è completamente diversa”.

“Questo non è un comportamento del virus spontaneo e autonomo – spiega – ma è l’effetto delle misure di lockdown a seguito delle quali si è ridotta la carica infettante e si sono ridotte le forme cliniche. Il problema è che le circolazioni virali sono dinamiche, cioè crescono o diminuiscono in relazione a svariate situazioni ambientali”.

“La questione del passaporto sanitario è, secondo me, proprio mal posta dal punto di vista semantico. Il passaporto sanitario si utilizza per le vaccinazioni, un concetto completamente diverso che non c’entra niente con la sierologia e con i tamponi. E’ un discorso che secondo me sarebbe proprio da abbandonare completamente perché non ha senso”, continua il componente del Cts, che aggiunge: “Nessuno di noi ha ancora mai visto la App Immuni ma sappiamo che ha lo scopo di dare un contributo al tracciamento dei contatti soprattutto in una fase in cui i casi sono più sporadici. Non ho dubbi che tecnicamente la App funzionerà, questo credo che dobbiamo darlo per scontato perché sono settimane che ci stanno lavorando. Quello che non sappiamo e che rappresenta un punto di domanda è quante persone la utilizzeranno, essendo su base volontaria. Ma d’altra parte non c’era alternativa, non si poteva rendere obbligatoria”.

Riaprire la Lombardia è stato giusto? “Io credo di sì – spiega ancora -, i dati dell’Iss vanno in quella direzione, stante sempre il fatto che noi abbiamo uno stato di emergenza che dura fino almeno al 31 luglio ed è sempre possibile tornare indietro”.

“Non credo che, con i dati che abbiamo, una settimana in più o in meno faccia la differenza. La differenza la fa un sistema di tracciamento e sorveglianza efficace e affidabile e mi sembra che quello messo in piedi dall’Iss e dal ministero della Salute lo sia, può darsi che non sia accurato al 100% ma la fotografia delle regioni che abbiamo in questo momento racconta la verità e quello è il dato più importante, quello che consentirebbe al governo eventualmente anche di tornare sui propri passi”.