Covid, virologo Perno: “Arrivato ad Alzano prima che a Codogno” 

Covid, virologo Perno: Arrivato ad Alzano prima che a Codogno

(Fotogramma)

Pubblicato il: 10/07/2020 12:37

“Il punto nodale che emerge dalla nostra ricerca è che abbiamo evidenza chiara del virus Sars-CoV-2 presente in Lombardia in più punti alla metà di gennaio, il che non esclude che fosse presente un pochino prima, ma non dopo”. E’ l’analisi del virologo Carlo Federico Perno, già direttore della Medicina di laboratorio dell’ospedale Niguarda di Milano, responsabile scientifico dello studio condotto con il Policlinico San Matteo di Pavia e promosso da Fondazione Cariplo.

Dal lavoro – presentato oggi nel capoluogo lombardo – emerge anche un altro aspetto e cioè che “l’evidenza di Lodi”, la scoperta del virus sul cosiddetto paziente 1, “è tardiva. In realtà il virus già c’era e non solo a Lodi. C’era anche ad Alzano, a Nembro e in varie altre parti della Lombardia”, prosegue Perno. Per la precisione, “quando a Codogno è stato trovato il virus, ad Alzano già c’era. Osserviamo 2 cluster, 2 ceppi per semplificare, che sono molto simili, ma diversi quanto basta per dire che uno ha infettato il centro nord e un altro ha infettato il sud. Codogno e Alzano-Nembro hanno camminato in parallelo come è successo in altre parti della Lombardia, ma ad Alzano-Nembro ha camminato più rapido“.

Quanto a una riflessione sull’istituzione delle zone rosse, tema caldo al centro anche di un’inchiesta a Bergamo, Perno ribadisce quello che emerge dal lavoro scientifico presentato oggi: “Quando a Codogno è stato trovato il virus, ad Alzano già c’era. Quindi la chiusura zona rossa sarebbe stata una chiusura con il virus già dentro, anche se fosse stata chiusa al momento di Codogno. Questo non significa che non si dovesse fare, sono valutazioni in cui non entro, ma sappiate che quando il virus è stato dimostrato a Codogno era già ad Alzano”.

Perno spiega quindi che il coronavirus Sars-CoV-2 “è sempre quello, non è diventato più buono. E’ il virus più infettivo che abbia mai visto e sembra fatto per restare, da un punto di vista biologico. Dati alla mano, la nostra ricerca mostra che la sua variabilità è scarsa. Quindi questo ci fa pensare che il virus abbia mantenuto la sua infettività e patogenicità e non è vero che ha perso potenza. Ha perso potenza la malattia, questo sì, ma non il virus”.

Le differenze tra i ceppi virali, analizzate nello studio sul Sars-CoV-2 in Lombardia, sono di numero limitato: appena 7 mutazioni nucleotidiche su un totale di circa 30.000 basi di genoma virale. “Il lavoro produce evidenze che ci aiutano a pensare che il vaccino possa esser efficace se ben fatto – osserva Perno – Finora nessuno dei 150 candidati vaccini ha mostrato efficacia piena. Ma questo virus, al contrario dei cugini Sars e Mers, virus ‘cugini’, sembra fatto per restare e non per andare via, biologicamente parlando. Quindi un vaccino efficace è cruciale”.