Franca Valeri vittima di leggi razziali, si salvò con documenti falsi  

Franca Valeri vittima di leggi razziali, si salvò con documenti falsi

(Foto Fotogramma)

Pubblicato il: 09/08/2020 14:12

“Io mi sento ebrea. Anche se mia madre non lo era. Ma quando ci sono tragedie come le leggi razziali viene a rafforzarsi molto l’identità. E’ inevitabile”. Così Alma Franca Maria Norsa, vero nome dell’attrice Franca Valeri, raccontava della sua tragedia familiare e personale segnata dalle leggi razziali durante il regime fascista. “Papà era ebreo. Ricordo quando lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali e pianse. Fu il momento più brutto della mia vita”.

Suo padre era Luigi Norsa, di origini ebraiche, ingegnere alla Breda, appartenente a una famiglia borghese benestante; la madre Cecilia Valagotti era di fede cattolica.

Nel 1938 la promulgazioni delle leggi razziali costrinse Franca Valeri a lasciare la scuola. “Con la scuola mi ero premunita: ero rimasta a casa e feci due anni in uno. Ero al liceo Parini. Per depistare diedi l’esame al Manzoni. Non se ne accorsero. L’Italia ha sempre avuto le sue inefficienze”.

Nel 1943, a causa delle leggi razziali entrate in vigore cinque anni prima, la sua famiglia è costretta a dividersi. Il padre con il figlio maschio si rifugia in Svizzera, mentre Franca con la madre, grazie a documenti falsi, rimane in Lombardia. “Ci furono tanti italiani coraggiosi e ci furono tanti vigliacchi. Mi salvò un coraggioso: un impiegato del Comune di Milano, che mi procurò una carta di identità falsa. Ho avuto un momento in cui io non ero io. Mi nascosi dappertutto. In Brianza. Sopra Lecco. Poi a Milano, in via Mozart, in una casa bombardata. Sopra di noi viveva una ragazza, molto giovane e bella, che si era appena sposata. Un giorno rientrando vidi la porta socchiusa. D’istinto me ne andai. Dietro quella porta c’erano i tedeschi. Presero la sposina. Non è mai tornata”.

Il 29 aprile 1945, dopo la Liberazione, la futura attrice è tra le migliaia di milanesi che affollano piazza Loreto per vedere i corpi di Benito Mussolini, della sua amante Claretta Petacci e dei gerarchi fascisti appesi a testa in giù. “Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era morto davvero. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo”, ha detto l’attrice in una delle sue ultime interviste. “Per me la giovinezza incominciò il 25 aprile 1945: una giovinezza tardiva. Ma è stata bella. In quell’Italia tutto pareva possibile”, ha confidato al “Corriere della Sera” lo scorso 28 giugno.