Viviana Parisi, i criminologi: “Probabili errori, ma serve cautela”  

Viviana Parisi, i criminologi: Probabili errori, ma serve cautela

Pubblicato il: 28/08/2020 20:22

Errori e leggerezze nelle ricerche e una sottovalutazione della patologia mentale di Viviana Parisi, che potrebbe averla portata a temere che le potessero sottrarre il figlio. Con un invito comunque alla cautela nella formulazione di ipotesi sulla morte della donna e del piccolo Gioele, che ancora, in assenza di dati concreti che verranno fuori dall’autopsia sui corpi di madre e figlio, sono assolutamente premature. E’ quanto emerge dalle riflessioni di un gruppo di criminologi, interpellati dall’Adnkronos sul giallo di Caronia.

A ritenere centrale il tema dei problemi psichici e mentali di Viviana è Franco Bruno. “L’idea che mi sono fatto io è che si tratta di una situazione patologica mentale che non è stata adeguatamente diagnosticata, ed è un problema che riguarda sia i medici di quella zona sia un po’ la generica sottovalutazione dei rischi della malattia mentale, per cui a una donna che manifesta una situazione di questo genere viene attribuito stato depressivo semplice”, spiega. Mentre invece si tratta uno stato che può denunciare “i sintomi di una psicosi, di una malattia grave”, che in questo caso si è manifestata con un “delirio persecutorio”.

La donna, è la sua lettura, “aveva paura di ciò che sarebbe potuto capitare a lei e soprattutto al bambino. E’ scappata, cercava di sottrarsi a questa angoscia terribile quando a un certo punto, entrando nella galleria, ha avuto un incidente. Quell’incidente deve esser stato la chiave che ha fatto esplodere la situazione“. Dunque, sostiene Bruno, “per evitare danni a se stessa e al bambino, probabilmente ha ucciso il bambino buttandosi poi dal traliccio”.

Anche per Vincenzo Mastronardi non è escluso che Viviana “temesse che l’eventualità che avrebbero potuto toglierle il figlio per la sua malattia mentale”. Una circostanza per la quale, ipotizza, “basterebbe una frase detta in modo pseudo-terapeutico dai medici che gli avevano somministrato i farmaci a Barcellona Pozzo di Gotto dove era andata a farsi curare, anche solo un ‘Mi raccomando, si curi altrimenti potrebbero portarle via il bambino'”.

Nel suo tentativo di comporre il puzzle di una vicenda complessa e intricata, Mastronardi fa tre ipotesi. La prima è che il bimbo “sia stato ucciso dalla propria madre per ragioni di psicosi, paranoia o magari per una inidonea gestione dei farmaci che gli erano stati dati e che non si è capito ancora se abbia continuato a prenderli o ne abbia presi troppi”. La seconda ipotesi è che Gioele, “spaventato dopo l’incidente e dal comportamento della madre” possa esserle “sfuggito correndo”, e lei “dopo averlo chiamato, ha cercato di arrampicarsi in una zona alta”. Terza ipotesi infine, “che la madre abbia per un suo scompenso corso verso una direzione qualunque, lontano dagli esseri umani considerati come nocivi. Il bambino è scappato con lei e quando ha provato a rintracciarlo, sono stati aggrediti da un branco di animali”.

A denunciare “errori evidenti nelle ricerche” che “hanno compromesso la verità” è Marino D’Amore, criminologo e docente all’università Niccolò Cusano “Non è possibile che il corpo della madre venga ritrovato così in ritardo con le nuove tecnologie e che quello del figlio a così tanta distanza di tempo, nonostante l’area, una volta inquadrata, fosse abbastanza circoscritta”, spiega, ricordando che “sono emersi video che sottolineano questa superficialità nelle ricerche” L’eccessivo tempo trascorso “ha causato notevoli difficoltà nella ricostruzione della vicenda, non avendo a disposizione materiale per gli esami autoptici, considerata la condizione dei corpi, per troppi giorni in balia di animali selvatici e agenti esterni””.

“Non credo più alla sindrome di Medea, al fatto che lei abbia ucciso il figlio per far dispetto magari al marito. Ma restano tanti punti interrogativi”, sottolinea D’Amore. A suo giudizio, “con tutti i dubbi del caso, sembra essere più chiara la causa della morte che la dinamica che ha portato poi a quell’epilogo e credo purtroppo che, alla luce di questi ritardi e di questa superficialità, la dinamica verrà ricostruita molto difficilmente”. Una circostanza che porta il criminologo a essere molto pessimista sugli esiti. “Non vedo soluzione per gli inquirenti. Non ci sarà mai la certezza, è possibile fare delle ipotesi credibili ma da qui a dare una tesi definitiva sulla dinamica è dura”.

Infine un invito alla cautela arriva da Flaminia Bolzan che parla di commenti “precoci”. “Ragionare ora su ipotesi in assenza dei dati concreti che emergeranno dall’esame autoptico e da tutta la parte scientifica dell’investigazione è pregiudizievole e deontologicamente molto scorretto”. Da tecnici, osserva, “dobbiamo ragionare sulle metodologie utilizzate nelle indagini, la valutazione delle diagnosi che ci sono stati, la presenza o assenza di tracce biologiche riconducibili a tracce ematiche all’interno dell’auto, e dopo possiamo correlare questi dati. In assenza di certezze rispetto a queste evidenze, ogni giorno se ne dice una”. “Non è corretto per noi professionisti fare un ragionamento di questo genere – conclude – perché sminuisce anche l’importanza degli accertamenti tecnici che si stanno svolgendo”.