Covid può trasmettersi nel pancione, da studio italiano nuove prove 

Covid può trasmettersi nel pancione, da studio italiano nuove prove

(Fotogramma)

Pubblicato il: 01/09/2020 13:55

Sebbene sia un evento raro, il coronavirus Sars-CoV-2 si può trasmettere dalla mamma al bebè nel pancione, attraverso la placenta. A portare ulteriore prove della possibile ‘trasmissione verticale’ dell’infezione è uno studio italiano condotto da un team di ricercatori coordinato da Fabio Facchetti, direttore del Laboratorio di Anatomia patologica dell’università degli Studi di Brescia – Spedali Civili.

Nello studio, pubblicato sul numero di settembre della rivista ‘EBioMedicine’ del gruppo editoriale ‘The Lancet’, gli scienziati hanno esaminato la placenta di una giovane donna ricoverata alla 37esima settimana di gravidanza per la comparsa di febbre e altri sintomi ricollegabili a Covid-19. La donna, risultata poi positiva al virus, ha dato alla luce per parto indotto un neonato maschio che a 24 ore dalla nascita è risultato positivo, sviluppando polmonite con difficoltà respiratoria. Attraverso varie tecniche di indagine, i ricercatori hanno dimostrato la presenza di Sars-CoV-2 in diverse componenti della placenta, appartenenti sia alla madre (cellule infiammatorie nel sangue materno), che al feto.

Al lavoro hanno collaborato il Reparto di Virologia dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (Antonio Lavazza), la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’ateneo bresciano/Spedali Civili diretta da Enrico Sartori, l’Ifom di Milano (Stefano Casola) e l’Unità di immunologia oncologica dell’università di Palermo (Claudio Tripodo).

Per il lavoro è stata esaminata la proteina spike del virus dalla placenta di 101 donne che hanno partorito tra il 7 febbraio e il 15 maggio 2020 agli Spedali Civili di Brescia, tra cui 15 sono risultate positive al virus, 34 negative e 52 non valutabili o per mancanza di appositi criteri o per aver partorito prima della dichiarazione della pandemia.

Lo studio si è poi focalizzato sulla giovane mamma, il cui bebè è risultato positivo. In particolare gli autori hanno osservato le proteine virali spike e nucleocapside, così come l’Rna virale” del Sars-CoV-2, presenti “in abbondanza nelle cellule fetali che rivestono il villo coriale (sinciziotrofoblasto) e che sono a contatto diretto con il sangue materno”.

Questo dato è stato poi confermato dalla microscopia elettronica, che ha permesso di identificare particelle virali anche in cellule endoteliali dei capillari del villo e – “fatto mai osservato prima e prova definitiva della trasmissione verticale”, puntualizzano i ricercatori – in globuli bianchi fetali circolanti all’interno dei capillari.

“Gli effetti e le conseguenze del nuovo coronavirus sulle donne in gravidanza e sui neonati sono poco conosciuti, ma la crescente segnalazione di casi di madri affette da Covid-19, i cui neonati hanno presentato segni di infezione precoce dopo la nascita, hanno indicato che la trasmissione di Sars-CoV-2 da madre a figlio è un evento possibile – dichiara Facchetti – I risultati del nostro studio dimostrano per la prima volta che la trasmissione verticale dell’infezione è possibile, seppur rara, e che essa si verifica mediante il passaggio del virus da cellule circolanti materne ai villi coriali della placenta”.

“Un reperto del tutto inatteso è stato il riscontro di una reazione infiammatoria placentare limitatamente al versante materno, mentre, nonostante l’infezione, la componente fetale (villo coriale) ne è stata risparmiata, un fenomeno ‘protettivo’ che può essere dipeso dall’attivazione di molecole inibitorie dell’infiammazione osservata in diverse componenti del villo stesso. E’ ragionevole pensare che il ridotto danno dei villi abbia garantito un sufficiente scambio nutritizio tra madre e feto, limitando i danni del feto stesso”.

Sebbene sia noto che l’infezione da coronavirus colpisca prevalentemente i polmoni e che siano i meccanismi infiammatori scatenati i principali responsabili dei danni all’organo, nel caso della placenta, dicono invece gli autori, lo studio ha osservato come l’evoluzione clinica sia stata decisamente positiva, con una rapida guarigione sia della madre che del bimbo. Questo aspetto ha indotto i ricercatori a considerare che nel tessuto placentare la reazione infiammatoria possa avere delle caratteristiche peculiari, come di fatto è poi emerso dalle loro analisi.