Baby sitter italiana uccisa in Svizzera, il figlio: “Notizia morte da giornali” 

Pubblicato il: 10/09/2020 20:04

Nessuno ci ha avvisati della morte di mia madre, lo abbiamo saputo casualmente: il titolare del ristorante dove svolgeva uno dei suoi due lavori ci ha mandato la notizia di un giornale per messaggio. Abbiamo chiesto a un cugino di verificare, poi abbiamo capito. Fa rabbia non avere avuto una chiamata dalle autorità svizzere né da quelle italiane: è una freddezza che non ci aspettavamo, una lontananza sconvolgente che fa male quanto la perdita”. Giuseppe Elia riesce a fatica a trovare le parole: è passata poco più di una settimana dalla morte di sua madre, Teresa Scavelli, la donna di 46 anni uccisa il 2 settembre a San Gallo, in Svizzera, da un giovane affetto da problemi psichici. Teresa è morta per salvare le due bambine che le erano state affidate dalla famiglia per la quale lavorava come baby sitter. Quel ragazzo voleva aggredirle, ma lei le ha messe in salvo e lui l’ha colpita più volte alla testa con una padella, fino a ucciderla.

Il legale della vittima: “Governo ci aiuti”

La donna ha donato la sua vita per quelle bambine, lei che era madre di tre ragazzi che ora sono sconvolti dal dolore. “Per i bambini – dice Giuseppe all’AdnKronos – visto il rapporto che c’era con loro, lei era una madre. Ma sono sicuro che mia madre lo avrebbe fatto per chiunque perché era sempre in difesa dei più deboli, impegnata a dare una mano a persone in difficoltà anche se lo era lei stessa”.

Da quattro anni Teresa lavorava in Svizzera: era tornata a San Gallo, dove i suoi genitori avevano vissuto per molto tempo. Di giorno era impiegata come governante e baby sitter in una famiglia, di sera in un ristorante. Sacrifici per aiutare i suoi figli, di 31, 28 e 24 anni, a costruirsi un futuro più sereno. “I sacrifici che ha fatto – continua Giuseppe – spostandosi prima dalla Calabria a Verona poi in Svizzera, avevano sempre un obiettivo: fare stare bene la sua famiglia. E’ sempre stata la sua forza. Voleva un futuro migliore per lei e per noi”.

“Com’è possibile che nessuno ti avvisi?”, si chiede il figlio di Teresa. “Se non avessimo avuto qualcuno, un parente o un conoscente lì a San Gallo, probabilmente non avremmo saputo niente. Quando siamo arrivati in Svizzera da Verona, dove viviamo, sono riuscito a parlare con il procuratore: mi ha spiegato che questo ragazzo aveva delle problematiche, che era già conosciuto dalla polizia, ma che non riuscivano a tenere dentro tutti. La mia rabbia dipende anche da questo: come possono esserci persone con quei problemi psichici non monitorate? Inoltre, non c’è stato alcun tipo di contatto con le autorità svizzere né italiane, non una parola di conforto. Anche per riportare la salma in Italia nessuno ci ha aiutato”.

L’avvocato della famiglia, Francesco Verri, ha rivolto un appello alle autorità svizzere, perché si facciano carico dei bisogni dei tre figli di Teresa, e al governo italiano, perché avvii un tavolo diplomatico per trovare un accordo. Poi al Capo dello Stato affinché riconosca a Teresa la medaglia d’oro al valor civile. Riconoscendo il gesto di una donna italiana morta all’estero per salvare la vita agli altri.

Giuseppe, i suoi fratelli e suo padre aspettano una chiamata intanto si fanno forza: “Cerchiamo di essere uniti – conclude Giuseppe – di mantenere tutti gli impegni che avevamo preso con nostra madre, di portarli avanti per lei. E’ il motore che ci fa andare avanti. Mia sorella sta seguendo il corso Oss che voleva fare, mio fratello dopo quattro anni di lavoro come panettiere si è iscritto a un corso per avere una qualifica superiore. Io continuerò a lavorare per la mia famiglia come ho sempre fatto, seguendo il suo esempio”.