Elezioni Usa, risultati smentiscono ancora sondaggi 

Elezioni Usa, risultati smentiscono ancora sondaggi

(Afp)

Pubblicato il: 04/11/2020 14:44

Comunque vada a finire la sfida per la Casa Bianca, anche il 2020 segna un altro annus horribilis per i sondaggisti. Come quattro anni fa, quando gli americani andarono a dormire convinti dai sondaggi della vittoria di Hillary Clinton e poi scoprirono al risveglio che Donald Trump era stato eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti, anche quest’anno il risveglio rischia di essere molto brusco per gli elettori di fede democratica.

Decine di istituti – e le testate giornalistiche che hanno loro commissionato le rilevazioni – da mesi assegnavano a Joe Biden un vantaggio tale da considerare l’Election Day poco più di una formalità. Perfino secondo i sondaggi realizzati poco prima del voto, gli istituti più noti davano al candidato democratico un vantaggio di 10 punti a livello nazionale e margini meno ampi, ma comunque confortanti, in tutti i cosiddetti ‘swing states’. Previsioni che sono evaporate nel giorno delle elezioni, come dimostra il serrato testa a testa Biden-Trump.

Tra i sondaggi più inaccurati è da segnalare quello Abc-Washington Post, che assegnava a Biden un vantaggio di ben 17 punti in Wisconsin, uno stato dove al momento i voti reali vedono un 49.4 % per Biden e il 49.1 % per Trump. Un sondaggio Quinnipac dava a Biden un margine di 5 punti su Trump in Florida e un vantaggio di 4 punti in Ohio. Alla fine, i due stati sono stati vinti da Trump, con uno scarto rispettivamente del 3 e dell’8 per cento.

Come nel 2016, Trump sembra avere tratto vantaggio (e i sondaggisti tratti in inganno) dai cosiddetti elettori ‘timidi’, che si sono presentati ai seggi nell’Election Day, ma che si sono rifiutati di dichiarare in anticipo il proprio voto per il candidato repubblicano.

Il fenomeno è stato spiegato da Steve Hilton, analista politico di Fox News. “E’ stata questa incessante campagna d’odio verso il presidente Trump e la convinzione che per Biden sarebbe stata una passeggiata. A causa dell’incredibile livello d’odio che è stato indirizzato verso Trump e i sui sostenitori da quasi tutti i media, abbiamo avuto una situazione nella quale le persone non volevano dire ai sondaggisti per chi avrebbero votato, perché era socialmente imbarazzante ammetterlo”, ha sintetizzato Hilton.

E del resto, basta scorrere l’impietoso elenco delle rilevazioni fatte prima del voto, per trovare conferme nella teoria di Hilton. Per Economist-YouGov, Biden era accreditato del 53%, contro il 43% di Trump; per Ibd-Tipp, le percentuali erano 53% e 46%; per Reuters Ipsos, 52% e 45%; per Usc Dornsfire, 54% e 43%; per Cnbc-Change Research, 52% e 42%; per Quinnipiac, 50% e 39%; per Rasmussen Reports, 48% e 47%.

Arie Kapteyn, sondaggista che nel 2016 indovinò la vittoria di Trump, alla vigilia dell’Election Day aveva detto chiaramente a Politico che gli elettori ‘timidi’ di Trump sarebbero stati la vera sorpresa delle elezioni. “In generale, e sicuramente al telefono, la gente è ancora un po’ esistante nel dire che vota per Trump”, aveva spiegato.

Robert Cahaly, sondaggista del Trafalgar Group, altro istituto che aveva previsto la vittoria di Trump quattro anni fa, aveva anch’egli sottolineato che “nel 2016, la cosa peggiore che si poteva dire di un elettore di Trump era che si tattava di una persona ‘deplorevole’. Nel 2020 è una faccenda completamente diversa. Questa volta è peggio, molto peggio. Quest’anno puoi essere punito perché esprimi un’opinione al di fuori del mainstream. Mai vista una cosa del genere nella storia moderna”.

A lanciare il campanello d’allarme – e a gettare nello sconforto i democratici – era stato ieri RealClearPolitics, il sito aggregatore di sondaggi, che a urne già aperte aveva indicato come il vantaggio di Joe Biden in quattro stati chiave, Iowa, Georgia, North Carolina e Ohio, si era assottigliato, fino a sparire. RealClearPolitics assegnava ancora a Biden un vantaggio di 7,2 punti percentuali a livello nazionale, con un vantaggio dello 0,09 per cento in Arizona (vinta) e Florida (persa) e dell’1,2 per cento in Pennsylvania, dove ancora si combatte voto su voto. (di Marco Liconti)