Covid, “mi credevo immune ed eccomi qui”: diario di un primario malato 

Covid, mi credevo immune ed eccomi qui: diario di un primario malato

Immagine di repertorio (Fotogramma)

Pubblicato il: 05/11/2020 13:23

“Mi ero salvato dalla prima ondata, ne avevo curati e gestiti 1.281, pensavo di essere immune e invece eccomi qui”. Primario internista “ricoverato nel reparto che dirigo, ormai reparto Covid” ancora una volta, così com’era stato “per tutto il periodo di emergenza da marzo a maggio”. Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell’Asst Ovest Milanese, descrive all’Adnkronos Salute l’esperienza che “per la legge del contrappasso” sta vivendo mentre il coronavirus è tornato a colpire duro: la testimonianza di un medico che un mattino si sveglia malato. Da camice a pigiama, diagnosi polmonite da Sars-Cov-2.

Mazzone, classe 1956, messinese con studi a Pavia, del ‘Civile’ di Legnano è un pilastro. La ‘vecchia guardia’ di un ospedale di provincia che in tante specialità ha contribuito a scrivere la storia della medicina. Nino ciclone di energia positiva, sguardo azzurro sempre pronto al sorriso, spiazza chi lo conosce raccontandosi con un filo di voce dal suo “letto con la finestra che fa intravedere il Pronto soccorso, la coda delle ambulanze e tante persone malate sicuramente più di me. Sono sfebbrato e sto meglio”, rassicura. Le cure funzionano perché adesso, rispetto a marzo, tante cose sul nemico invisibile sono state capite.

Malato ti ci scopri all’improvviso. “Il tampone l’avevo fatto 4 giorni prima ed era negativo. Lo facevo sempre per non rischiare di trasmettere l’infezione alle persone più care”, spiega Mazzone, però a un medico “di quelli di una volta” basta un attimo: “La febbre, la tosse, e quando dopo una notte così ti svegli, fai colazione e lo yogurt ti sembra calce, capisci che è arrivato. Chiamo il mio amico Paolo, infettivologo, e gli dico ‘stavolta ci siamo’. Lui mi dice ‘su, l’hai fatto 4 giorni fa ed era negativo’, ma io gli rispondo che per noi clinici di vecchio stampo i sintomi sono più importanti della tecnologia. Mi sorride, faccio il tampone ed eccomi qui. Ricoverato a fare il paziente e a gestire nello stesso tempo qualcosa per gli altri”.

Anche un dottore può avere paura. Dopo la diagnosi “mi viene in mente Roberto Stella, grande medico e amico, presidente dell’Ordine dei medici di Varese e della società scientifica Snamid: si era ammalato un venerdì dei primi di marzo e il martedì dopo non c’era più – ricorda Mazzone – il primo medico vittima di Covid”, quello che apre l”elenco dei caduti’ aggiornato online dalla Federazione nazionale Ordini dei medici. “Era stato un grande sostenitore nella mia elezione alla vicepresidenza Fism, la Federazione italiana delle società medico scientifiche”, e pensando a lui “conto i giorni per sapere se peggioro o no”.

Intanto “sono qui nella mia stanza di ricovero. Giustamente non si può uscire, ricevo tante telefonate e messaggi, cerco di tranquillizzare dicendo che sto bene ed effettivamente sto meglio”, ripete il medico. Quando il tempo sembra non voler passare “accendo la Tv, ma è inguardabile. Ognuno dice quello che vuole e poi ci sono i negazionisti: ma chi sono?”, si chiede l’uomo di scienza. “Vedo gente che dice che non è vero, che non esiste nessuna epidemia, ma io giro lo sguardo alla finestra e vedo le ambulanze che continuano a portare ammalati” in ospedale.

“Forse bisogna dire delle cose forti per risvegliare la coscienza civile di tutti”, osserva Mazzone. Per esempio “l’altra sera ho ammirato l’intensivista di Rivoli”, nel Torinese, “che offriva tour gratuiti dentro il reparto ai negazionisti per far vedere la sofferenza. E ho apprezzato molto il direttore della ‘Stampa’ Massimo Giannini che è riuscito a raccontare la sua esperienza” di paziente Covid, “la pronazione e la sofferenza. Penso che se esistono i negazionisti, i no vax, probabilmente la nostra scuola non è stata così efficace nell’insegnare a ognuno di noi che nell’interpretazione dei fatti ci vuole un ragionamento, e che serve fiducia in chi ha qualità, etica e competenza”.

“Questo è un Paese dove ci sono ancora i ‘guaritori'”, riflette l’internista, ma se c’è una lezione che la pandemia ci ha insegnato è il valore dei professionisti sanitari e di quello che fanno. “Quando si passa dall’altra parte si capisce molto di più di questa professione. Essere responsabile della salute di una persona vuol dire accontentare e guidare i suoi desideri le sue speranze, anche quando la prognosi non è favorevole”, riflette il primario che nemmeno dal letto smette di fare il suo mestiere.

“Sento bussare alla porta, aprono bardati, sono Lorenza grande internista e Arianna coordinatore infermieristico. Mi dicono ‘prof, il paziente D.A. con il casco Cpap sta male. Ha fatto la Tac e oltre alla polmonite ha la paralisi delle corde vocali, dobbiamo fare una tracheostomia d’urgenza, cosa ci consiglia per età e comorbidità?’. Rispondo che non ha importanza, se è consapevole procedete. L’intervento è stato fatto, D.A. respira bene e con il casco guarirà. Ha 82 anni, ma dobbiamo curare tutti sempre”. Mazzone il medico è fatto così: “Spero di guarire presto – dice – e di aiutare gli altri fin che posso”.