Nagorno, Raffaelli: “Armenia ha perso, sbagliò a non negoziare”  

Nagorno, Raffaelli: Armenia ha perso, sbagliò a non negoziare

(Afp)

Pubblicato il: 11/11/2020 18:48

L’Armenia avrebbe fatto meglio a negoziare in passato, ora ha perso e potrà ottenere solo di meno. A dirlo all’Adnkronos è l’ex sottosegretario agli Esteri Mario Raffaeli, che fra il 1992 e il 1993 è stato presidente della conferenza di pace di Minsk per risolvere il conflitto nel Nagorno Karabakh, proponendo una soluzione sul modello dell’Alto Adige per questo territorio conteso fra Armenia e Azerbaigian. Se allora prevalse militarmente l’Armenia, imponendo uno status quo a lei favorevole, adesso la situazione è “ribaltata” e il cessate il fuoco in Nagorno Karabakh “fotografa la vittoria militare del’Azerbaigian” con la Russia che è intervenuta “nel momento in cui le sorti del conflitto erano decise”.

“Ora – spiega Raffaelli – è successo un po’ al contrario, in maniera speculare, quello che successe nel 92-93. Allora noi negoziavamo delle tregue, che venivano poi messe in discussione da successive conquiste territoriali della parte armena, che era più forte militarmente, in un quadro geopolitico diverso da quello attuale. Questo si è ripetuto diverse volte fino a quando gli armeni hanno controllato tutto il Nagorno e i sette distretti circostanti. A quel punto ci fu un cessate il fuoco che è durato, con delle scaramucce, per 25 anni”.

“Gli azeri – rimarca Raffaelli – si sono adesso comportati allo stesso modo. Ci sono stati questi tre cessate il fuoco fasulli, che sono stati dichiarati ma non rispettati. Nel frattempo le truppe azere, più forti di quelle armene, con aiuti da Turchia e Israele e in un quadro geopolitico mutato, hanno usato la stessa tecnica, quella del fatto compiuto. Su questo quadro è intervenuta la Russia, d’accordo con la Turchia, e ha fermato l’azione militare facendo in modo che gli azeri non arrivassero a Stepanekert”, la ‘capitale’ del Nagorno.

“Nel 1992 – ricorda Raffaelli – la guerra arrivò ad una svolta quando gli armeni conquistarono Shusha. Ora è successa la stessa cosa, perché Shusha è in una posizione militarmente strategica, elevata e a pochi chilometri da Stepanekert”.

Il cessate il fuoco segna il cambio totale nella bilancia del potere fra Armenia e Azerbaigian”. “Questo dimostra quanto sarebbe stato saggio per gli armeni fare il negoziato, invece di essere tetragoni e chiusi ad ogni concessione come hanno fatto in questi ultimi anni”, nota Raffaelli. Allora “avrebbero ottenuto molto di più di quanto forse riceveranno adesso. Avrebbero potuto ottenere una completa autonomia con garanzie internazionali”, mentre ora il Nagorno, enclave a maggioranza armena in Azerbagian, “rimane una sorta di protettorato russo, sono i russi che garantiscono la loro sopravvivenza”.

“Questa è una sconfitta vera subita dall’Armenia”, in un quadro geopolitico mutato, con l’Azerbaigian che in 25 anni è cresciuto militarmente ed economicamente. Con gli scontri che c’erano stati nel 2016, “c’era stato un chiaro segnale di questa situazione”, gli azeri avevano dimostrato “una certa superiorità militare”, avevano occupato alcune punti strategici e avevano chiesto più volte di aprire “un negoziato serio”, chiedevano la restituzione dei sette distretti ed erano pronti a riconoscere uno status provvisorio al Nagorno.

Adesso gli armeni dovranno restituire i sette distretti che avevano occupato attorno al Nagorno, mentre gli azeri mantengono il controllo della parte di Nagorno già conquistata, a partire da Shusha, “che ha valore culturale e storico grandissimo per entrambe le parti”. Storicamente era una culla della cultura e la religione armena, poi in tempi recenti è stato un centro importante culturalmente per l’Azerbaigian, unica città del Nagorno a maggioranza azera all’epoca dello scontro del 92- 93.

Un’altra questione “importante e delicata da trattare”, ricorda Raffaelli, è la decisione del ritorno dei profughi azeri fuggiti in passato, mentre non è chiaro “cosa potrà accadere degli armeni che hanno ora abbandonato il Nagorno, se potranno tornare”. Infine “non si capisce” quale sarà il futuro status della parte del Nagorno rimasta fuori da controllo azero, che verrà controllata dalle forze di pace russe. Il cessate il fuoco “durerà per cinque anni rinnovati per altri cinque, si prevede che ci sarà un periodo di trattativa per lo statuto finale del Nagorno”. “E’ una situazione di fatto congelata che vede la chiara superiorità dell’Azerbaigian, un ruolo importante dei russi, per un periodo non prevedibile ma certamente lungo sarà cosi. Nel frattempo si spera che maturi un negoziato diplomatico che possa portare ad una situazione soddisfacente per tutti non solo per gli azeri”.

Oltre al’Armenia, sul fronte dei perdenti ci sono gli europei, “che non hanno avuto un minimo ruolo in questa vicenda”. L’Europa, nota Raffaelli, potrebbe ritrovare un ruolo nella ricostruzione e la ricerca “di una soluzione politica che stabilizzi la situazione”.

Fra i vincitori c’è la Russia che manda i suoi peackeepers sul terreno, ma “anche la Turchia ottiene molto”. E’ vero che Ankara non manda nessuno sul terreno, ma secondo Raffaelli è un’ ipotesi “che non sarebbe realistica”, e le discussioni in merito fra Mosca e Ankara “non sono un problema tale da mettere in crisi gli equilibri che sono stati raggiunti”. La Turchia comunque “ha avuto un ruolo fondamentale di supporto militare politico e diplomatico dell’Azerbaigian in un teatro dove si gioca la competizione con la Russia”. Inoltre l’accordo comprende l’apertura un corridoio, controllato dalla polizia di frontiera russa, per collegare all’Azerbaigian il Nakhichevan, enclave azera in Armenia. E questo , ricorda Raffaelli, “vuol dire collegare anche la Turchia con l’Azerbaigian”, perché il Nakhichevan confina con la Turchia.

“Dall’altra parte la Russia ha dimostrato in questa vicenda che pur essendo alleata storica dell’Armenia non voleva rompere con l’Azerbaigian, con cui ha rapporti commerciali e economici importanti”. La vicenda del Nagorno , nota Raffaelli, “è un ennesimo esempio del fatto che Russia e Turchia giocano una partita prevalente, alternando competizione a collaborazione. E’ successo in Libia, è successo in Siria, è successo nel sud del Caucaso”. “Forse gli armeni si aspettavano un maggior impegno russo, ma non poteva essere per tante ragioni, compreso il fatto che il premier armeno Nikol Pashinyan non è visto con grande favore dai russi”.