Coronavirus: crematori ingolfati, bare all’aperto e loculi carenti, l’allarme delle agenzie funebri 

Coronavirus, crematori ingolfati, bare all'aperto e loculi carenti: l'allarme delle agenzie funebri

Pubblicato il: 30/11/2020 17:43

Loculi carenti, manufatti fatiscenti, camere mortuarie piene, forni ovunque sotto stress con tempi di cremazione biblici e file di cadaveri accantonati nelle bare all’aperto al romano cimitero Flaminio: è Giovanni Caciolli, segretario nazionale di Federcofit, Federazione del comparto funerario italiano, a descrivere un sistema in forte difficoltà “per ragioni storiche, dato che i cimiteri sono stati trattati negli ultimi 15 anni come luoghi su cui risparmiare a partire dal personale, che scarseggia. Tra le conseguenze, il riempimento delle sale mortuarie di cadaveri in attesa di funerale perché non si può concludere un servizio funebre oltre un certo orario”.

E poi le cremazioni: Caciolli ravvisa nei forni crematori di tutto il Paese la principale criticità attuale, esasperata dalle morti per covid e da una tendenza generale all’incremento della scelta cremazionista, “preferita dal 30% delle famiglie italiane contro il 10% di 20 anni fa. Un forno crema 7-8 cadaveri al giorno – spiega Caciolli – Se a Milano ci sono 5 camere di combustione, è evidente quante sono le cremazioni eseguibili“.

“Il forno non è uno strumento elastico. Dunque, su un numero attuale di circa 700 decessi in più al giorno rispetto alla media degli altri anni nel territorio nazionale, l’attività dei forni è certamente sotto stress. Ancora fortunatamente non ci sono criticità, a parte il caso di Roma. Ma la situazione -avverte- ovunque va tenuta sotto controllo”.

Per quanto riguarda la Capitale, “è una tragedia. Al cimitero Flaminio si arriva al punto che i cadaveri sono accatastati per giorni all’aperto, all’esterno del forno crematorio. Nessuna delle nostre richieste dallo scoppio della pandemia è stata accolta”, spiega all’Adnkronos Gianluca Fiori, segretario nazionale Assifur, Associazioni imprese funebri riunite. “Le attese per la cremazione sono di almeno venti giorni mentre in qualunque altro comune del Lazio il via libero è immediato. Sarebbe previsto da regolamento un risarcimento per ogni giorno di ritardo di 100 euro, ma i familiari non hanno mai ricevuto nulla. Ed adesso è entrata in vigore una nuova modalità di ricezione delle richieste che stabilisce che entro 5 giorni dal decesso va presentata la domanda” e, come si legge nella circolare, va “inderogabilmente rispettato il giorno prenotato per la fatturazione, pena la salma sarà inumata d’ufficio con successivo addebito dell’operazione”.

Le agenzie funebri sono poi “invitate a sottoscrivere una dichiarazione di riconoscimento della salma consegnata dentro un sacco chiuso senza fornirci gli strumenti per poterlo aprire in sicurezza. E la famiglia non può essere presente all’identificazione della salma per le norme covid. Operiamo dunque con documenti, che potrebbero anche essere fasulli ed io potrei anche avere riconosciuto migliaia di falsi”. I morti da covid “sono considerati decessi per malattia infettiva diffusiva come sono il colera, il vaiolo, l’ebola. I defunti non possono dunque essere preparati ed i feretri vanno chiusi velocemente e va evitato qualsiasi tipo di ossequio alla salma”.

In questo quadro generale, “quasi ovunque – aggiunge Fiori – non ci sono loculi nuovi ma solo retrocessi, che vengono pagati come fossero nuovi. I manufatti sono bui, sporchi. Sono disponibili soltanto le file basse che costano tra i 2mila e i 3 mila euro e per chi non può permettersi di spendere cifre elevate l’alternativa è mettere il proprio caro sottoterra”. Un ordito, secondo il segretario generale di Assifur, con un finale scritto: “I ‘cassamortari’ sono una categoria defunta”. (di Roberta Lanzara)