Caso Regeni, 5 anni di indagini tra silenzi e depistaggi Egitto 

Caso Regeni, 5 anni di indagini tra silenzi e depistaggi Egitto

(Foto Fotogramma)

Pubblicato il: 10/12/2020 18:09

Sono passati quasi cinque anni dall’omicidio di Giulio Regeni, rapito, torturato e ucciso in Egitto. Cinque anni di indagini sulla morte del ricercatore friulano che la Procura di Roma ha portato avanti nonostante i depistaggi e le mancate risposte del Cairo alle richieste degli inquirenti italiani. c

Regeni, “seviziato per giorni fino a morte”

Un’indagine partita subito dopo il ritrovamento del corpo di Giulio il 3 febbraio 2016 lungo la strada che dal Cairo porta verso Alessandria, affidata sin dalle prime battute al sostituto procuratore Sergio Colaiocco, prima sotto il coordinamento dell’allora procuratore Giuseppe Pignatone e proseguita poi sotto la guida dell’attuale procuratore capo Michele Prestipino.

Caso Regeni, inchiesta chiusa: quattro 007 egiziani verso processo

Un’inchiesta che ha avuto la svolta più importante il 4 dicembre 2018. In quella data la Procura di Roma iscrive nel registro degli indagati cinque 007 egiziani, alti ufficiali dei servizi segreti civili e della polizia investigativa d’Egitto, accusati di sequestro di persona. Un risultato frutto del lavoro portato avanti anche grazie Sco e Ros, parte attiva nelle indagini italiane.

Indagini che in questi anni hanno contato decine di incontri proprio tra inquirenti e investigatori italiani e egiziani nel nome del dialogo a cui il Cairo ha risposto con parole formali o silenzi, come sull’ultima rogatoria dell’aprile del 2019 in cui si chiedeva, tra i diversi punti, l’elezione di domicilio dei 5 funzionari della National Security.

E anche nell’ultimo incontro in videoconferenza tra inquirenti alla comunicazione della ferma volontà della procura di Roma di chiudere le indagini preliminari dall’Egitto attraverso il procuratore generale Hamada al Sawi sono arrivate le riserve “sulla solidità del quadro probatorio” che ritiene costituito “da prove insufficienti” per sostenere l’accusa in giudizio. Per l’Egitto dunque chi ha ucciso Giulio Regeni e’ ancora ignoto. Per i magistrati italiani invece non e’ cosi’ e a dimostrarlo sono le accuse formulate nei confronti degli 007 che avranno un processo in Italia.

Con la chiusura dell’inchiesta oggi i pm romani contestano al generale Sabir Tariq, ai colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif il sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo le lesioni aggravate, essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017, e il concorso in omicidio aggravato.

Una ricerca di verità e giustizia che la famiglia di Giulio ha sempre sostenuto con forza. “Ho visto sul suo volto tutto il male del mondo”, aveva detto Paola Deffendi dopo aver visto il corpo del figlio. Una battaglia che ha visto i genitori di Giulio fermi sulla loro posizione: “vogliamo sapere chi, come e perché, senza saltare nessun passaggio della catena, ha ucciso e torturato nostro figlio”.

E in questi anni tanti sono stati gli appelli rivolti alla politica, ai governi che si sono susseguiti e che hanno assunto decisioni che non hanno portato a nessun risultato concreto. Si è passati dal ritiro dell’ambasciatore Maurizio Massari dal Cairo dell’8 aprile del 2016 sotto il governo Renzi al ritorno del nuovo ambasciatore Giampaolo Cantini il 14 agosto del 2017 quando a guidare il governo c’era Paolo Gentiloni. Una tempistica, una modalità, e una decisione che ha lasciato indignata la famiglia: “una resa confezionata ad arte”.

Una decisione mai accettata dalla famiglia che continua a chiedere al governo il richiamo dell’ambasciatore. “Serve un segnale di dignità – hanno ribadito i genitori di Giulio anche dopo l’ennesimo ‘schiaffo’ dell’Egitto che aveva definito insufficienti le prove raccolte – perche’ nessun Paese possa infliggere tutto il male del mondo ad un cittadino e restare non solo impunito ma pure amico”.