Consulenti del lavoro, necessari interventi di sistema, priorità a lavoro 

Roma, 8 feb. (Labitalia)

“Sono necessari degli interventi di sistema, utili non solo ad avere risultati-tampone immediati, ma anche ad essere fondamenta per il rilancio futuro del Paese. Per pianificare gli interventi necessari è quanto mai opportuno partire dalle criticità emerse nella gestione di questo lungo periodo di pandemia, intervenendo con riforme di sistema anche tramite i fondi che saranno assegnati al recovery plan”. A dirlo Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro. Tra le tante priorità che il governo Draghi dovrà immediatamente affrontare, il lavoro avrà certamente una corsia preferenziale, avvertono i professionisti, ricordando che “l’attuale situazione occupazionale presenta delle emergenze assolute, sottolineate ancora una volta dall’ultima rilevazione Istat di dicembre. Diverse, quindi, le criticità da affrontare che i consulenti del lavoro elencano.

Divieto di licenziamento: è una delle criticità che il nuovo esecutivo dovrà affrontare per prima. Si stima infatti che, con lo sblocco dei licenziamenti, le piccole e medie imprese registreranno un calo dell’occupazione di 1 milione di posti di lavoro a causa dell’emergenza. Al momento la scadenza è fissata al prossimo 31 marzo, ma da tempo vi sono pressioni per spostarla più in avanti. Ma il problema non è quando interrompere il divieto, ma come gestirne le conseguenze. Prorogare il blocco, senza avere le idee chiare su cosa fare dopo, è solo un modo per procrastinare il problema. La soluzione primaria è evidente: la ripartenza immediata dell’economia, che permetterebbe alle aziende oggi in difficoltà assoluta di poter tornare ad assumere. Ma non si può prescindere da una profonda rivisitazione del sistema delle politiche attive del lavoro, che in questi anni ha mostrato tutti i limiti strutturali di cui soffre.

Politiche attive e reddito di cittadinanza: se si parla di politiche attive, non si può non fare accenno al reddito di cittadinanza, sempre al centro del dibattito politico. Non c’è dubbio che la riforma varata nel 2019 sia rimasta incompleta, quindi non si può che parlare di una misura inefficace. Non tanto nella parte relativa alle politiche passive, dove ha svolto un importante ruolo assistenziale durante la pandemia, quanto per quella relativa alle politiche attive, rimaste ferme alla previsione normativa mai attuata. L’Italia è il Paese delle politiche passive, da sempre presenti nel nostro ordinamento, ma è estremamente carente in quelle attive.

Ecco, dunque l’immediata necessità di dotarsi di strumenti necessari a determinare un repentino rientro del lavoratore espulso dal mercato. Vanno dunque riorganizzati i servizi per il lavoro, in modo da renderli funzionali all’attuale situazione. In tal senso vanno rivalutati ruolo e mission dell’Anpal, dei centri dell’impiego e del collocamento privato. Ed è diventato indispensabile virare sulla telematica al servizio della diffusione territoriale dei punti di contatto tra cittadini in cerca di occupazione e le agenzie per il lavoro. Modalità, questa, che non potrà che far decollare anche l’altra parte delle politiche attive, quello cioè legata alla formazione e riqualificazione del lavoratore che ha perso occupazione. Un modo per modernizzare un pezzo importante del Paese, utilizzando in modo estremamente utile i fondi in arrivo.

Investimenti su progetti già pronti: qualsiasi buona politica attiva posta in essere deve fare i conti con la domanda, che al momento è quasi totalmente assente. Per far ripartire in tempi rapidissimi l’economia una buona iniziativa sarebbe quella di immettere subito nell’economia reale importanti somme, provenienti dal recovery plan. Si tratta della prevista anticipazione, erogata subito dopo l’approvazione, che potrebbe sfiorare i 30 miliardi assegnati entro fine anno. In sostanza, bisognerebbe evitare che le procedure burocratiche dilatino i tempi dell’effettivo utilizzo dei fondi. Non sono, infatti, brevi i tempi per avviare l’iter per l’approvazione e il finanziamento di nuovi lavori, condizionati come sono dai tanti adempimenti necessari.

Una soluzione potrebbe essere quella di finanziare moltissime opere, piccole e grandi, necessarie per i Comuni, ma ferme perché prive di coperture. Non vi è dubbio che il periodo pandemico, tra i tanti effetti collaterali negativi, abbia causato una grossa contrazione degli introiti degli enti locali. E ciò ha prodotto il fermo di molti progetti già pronti, ma carenti di fondi. Finanziare queste attività, fatti i preventivi e dovuti controlli di legittimità, significherebbe far ripartire immediatamente l’economia reale in migliaia di Comuni e con essa il lavoro.

Nuovi modelli organizzativi: la pandemia ha determinato il ricorso massivo al lavoro a distanza, creando un incredibile test di sperimentazione di nuove modalità lavorative. Sbaglia, però, chi pensa che la situazione creatasi sia legata esclusivamente al momento emergenziale. In questo anno è cambiato, non solo il modo di vivere e di relazionarsi, ma anche il modo di lavorare e di gestire la propria attività. In prospettiva, la scommessa è trasformare l’eccezionalità del caso in veri e propri nuovi modelli organizzativi aziendali, il cui confine potrebbe essere infinito se accompagnati da una lungimirante politica mirata ad aprire ulteriori spazi di sperimentazione e progettazione. Questa nuova dimensione riguarda le aziende, ma anche i territori e potrebbe essere associata ad azioni che puntano sulla sostenibilità ambientale ed economica dell’intero sistema.

Riforma degli ammortizzatori sociali: sempre di attualità è la riforma degli interventi di integrazione salariale. Quasi 8 milioni i lavoratori che sono stati coinvolti negli ammortizzatori sociali in un anno di pandemia. Bisogna premettere, però, che fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria nessuno sentiva il bisogno di intervenire con una riforma su un settore nevralgico, ma dall’utilizzo circoscritto a situazioni di crisi particolari. Unico momento critico di assimilazioni a quello pandemico può essere considerato quello conseguente ai tanti fenomeni climatici occorsi in questi anni.

E proprio da questa considerazione si rilancia ancora una volta l’idea dell’ammortizzatore sociale unico, perché unica è la causale per fenomeni che coinvolgono in modo diffuso e involontario un gran numero di aziende e lavoratori, appartenenti ai settori più disparati. È la realtà con cui il Paese ha dovuto fare purtroppo i conti nel caso di terremoti, alluvioni e inondazioni. Anche in questo caso la pandemia può dare il via a questa semplificazione burocratica, peraltro proposta sin dal mese di marzo 2020, che dovrebbe essere caratterizzata dall’eliminazione dei numerosi (troppi) passaggi burocratici che hanno creato il mostruoso volume di adempimenti con cui hanno dovuto fare i conti Inps, consulenti del lavoro, imprenditori e lavoratori.