Addio a Marini, ‘Lupo marsicano’ dalla Cisl al Senato 

(Adnkronos)

Sindacalista, ministro del Lavoro, parlamentare eletto per 4 mandati alla Camera e due al Senato di cui è stato presidente dal 2006 al 2008. Una lunga parabola politica e di impegno pubblico pluridecennale che si è di fatto conclusa nel 2013 a 151 voti dall’elezione al Quirinale. Franco Marini si è spento a 87 anni, a Rieti, dopo essere stato ricoverato, a inizio gennaio, all’ospedale San Camillo de Lellis, per le conseguenze del Coronavirus.

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Alpino in gioventù, rimasto per tutta la vita legato alle montagne del suo Abruzzo, dove era nato il 9 aprile del 1933 a San Pio delle Camere (piccolo comune di 680 anime alle pendici del Gran Sasso a poca distanza da l’Aquila), Marini aveva mosso i primi passi della sua lunga attività pubblica nella Cisl. Era il 1950, anno in cui prese la tessera della Dc, dopo la militanza nelle Acli.

Primo figlio di una numerosa famiglia di modeste condizioni economiche, a nove anni si trasferì a Rieti, seguendo, con la madre e i fratelli, il padre per le esigenze di lavoro. Studi classici al liceo Marco Terenzio Varrone, segue la laurea in legge e il servizio di leva come ufficiale negli alpini. ”La mia – raccontò in un’intervista – era una famiglia di emigranti, come tante in Abruzzo. Mio nonno era andato in America cinque volte. Lavorava un paio d’anni e riportava un po’ di soldi per comprare un pezzo di terra”.

Dopo gli anni della formazione alla scuola del sindacato che frequenta insieme a Pierre Carniti, Eraldo Crea e Renato Colombo, nel 1964 affiancò il ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, Giulio Pastore. Un anno dopo viene nominato segretario generale aggiunto della federazione dei Dipendenti Pubblici della Cisl, della quale, nel 1985, divenne segretario nazionale. Marini vive in prima linea l’ascesa del sindacato egemonizzato dalla forza della Cgil, gli anni delle lotte operaie, dell’unità sindacale, delle lunghe vertenze con il ‘padronato’, le tensioni sociali dell’Autunno Caldo e la stagione degli anni di piombo.

Non fu dunque un caso se Carlo Donat-Cattin, che fu suo maestro politico, lo investì come successore alla guida di Forze nuove, la corrente Dc storicamente più vicina al mondo del lavoro. Nel 1991 il salto al governo, nominato da Giulio Andreotti al ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e poi nel 1992 la candidatura con lo Scudocrociato alla Camera, dove risulta il primo degli eletti a livello nazionale. Il segretario Mino Martinazzoli gli affida la segreteria organizzativa del partito, a cui legherà il suo impegno fino alla nascita del Partito popolare italiano, di cui fu segretario dal 1997 al 1999.

Lo stesso anno approda a Strasburgo eletto nel Ppe nella circoscrizione Italia centrale. Dal 1992 al 2006 è alla Camera, prima sotto il simbolo del Ppe, in seguito nell’Ulivo e nella Margherita. Dal 2006 passa al Senato, dove resta fino al 2013. E’ la stagione politica del centrosinistra di Romano Prodi, dell’ascesa e del consolidamento della forza politica di Silvio Berlusconi con Fi e il centrodestra.

Come candidato dell’Unione, Marini viene eletto alla guida di palazzo Madama il 29 aprile 2006 con 165 voti, dopo un testa a testa con Giulio Andreotti, che era sostenuto dalla Casa delle libertà. Al primo scrutinio Marini non aveva raggiunto il quorum richiesto. Fu quella una seduta estenuante, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, caratterizzata da una interminabile e logorante controversia sull’attribuzione di schede che riportavano il nome Francesco e non Franco Marini.

Alla caduta del secondo governo Prodi, nell’estremo tentativo di evitare lo scioglimento delle Camere e la sopravvivenza della XV legislatura, nel febbraio 2008, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli affidò l’incarico di verificare la percorribilità di una maggioranza bipartisan per riformare la legge elettorale e guidare un governo per gli affari correnti fino alle elezioni. Il tentativo naufragò e dopo 4 giorni di consultazioni, il Lupo Marsicano (come lo aveva amichevolmente ribattezzato a suo tempo Romano Prodi), dovette gettare la spugna.

Nel 2013 si presenta alle politiche dopo aver chiesto una deroga al Pd ma non viene rieletto al Senato. Ciò non gli impedisce di essere candidato dai dem al Quirinale, sostenuto da Pdl, Scelta Civica, Lega Nord e da una costellazione di sigle parlamentari che vanno dall’Udc alle minoranze linguistiche e da una parte dei parlamentari del gruppo Misto. Il Colle si trasforma in una cima inespugnabile e Marini si ferma a 521 voti al primo scrutinio, 151 preferenze in meno rispetto al quorum necessario di 672 voti.

E’ Matteo Renzi – tra gli altri – a mettersi di traverso sulla strada che porta Marini alla presidenza della Repubblica. L’allora sindaco di Firenze, qualche giorno prima della convocazione delle Camere in seduta comune, non esitò a definire la candidatura di Marini come successore di Giorgio Napolitano “un dispetto al Paese”.

Verificata l’impossibilità dell’elezione e alla luce dell’impasse che si determina anche al secondo scrutinio, quando le schede bianche sono 418, Marini decide di rinunciare, aprendo la strada al secondo mandato di Giorgio Napolitano.

Sposato dal 1965 con Luisa D’Orazi dalla quale ha avuto il figlio, Davide, l’ex presidente del Senato è stato un appassionato di montagna e di ciclismo. Tifoso di Gino Bartali, ha amato la buona cucina e il buon vino e naturalmente l’immancabile sigaro toscano, che spesso assaporava senza neppure accendere. “Non riesco a immaginare – ebbe a raccontare- le lunghe nottate al tavolo delle trattative sindacali né i momenti che precedevano i caldi comizi in piazza negli anni Sessanta e Settanta, senza il mio sigaro in bocca”.