Covid, il giuslavorista Martone: “Proroga stop licenziamenti e riforma ammortizzatori sociali per evitare tensioni sociali”

Roma, 17 feb. (Labitalia)

“Io credo che il governo farà una breve proroga dello stop ai licenziamenti, per avere il tempo di realizzare una riforma degli ammortizzatori sociali che possa dare vero sostegno a quei lavoratori che, alla fine del blocco, purtroppo, saranno licenziati”. Così, con Adnkronos/Labitalia, il giuslavorista Michel Martone, ordinario di Diritto del Lavoro alla Facoltà di Economia all’università Sapienza di Roma su quelli che saranno le decisioni dell’esecutivo Draghi sullo stop ai licenziamenti, in scadenza a fine marzo.

“Il blocco dei licenziamenti -sottolinea Martone- ha creato una ‘bolla occupazionale’ e il governo ne è consapevole, per questo credo che si procederà con una proroga dello stop ai licenziamenti per avere il tempo di realizzare una riforma degli ammortizzatori sociali”, aggiunge Martone che è stato sottosegretario al ministero del Lavoro nel governo Monti, quando a guidare il dicastero era Elsa Fornero.

E per Martone “credo che ci sia piena consapevolezza da parte di Draghi della necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali per evitare che la ‘bolla occupazionale’ creata dal blocco dei licenziamenti si trasformi in tensioni sociali quando il blocco non ci sarà più”, aggiunge

Secondo Martone quello di Draghi al Senato “è stato un discorso importante, con la piena consapevolezza dei problemi che abbiamo di fronte, che sono sanitari, economici e sociali. E c’è stata una grande attenzione ai giovani, ai precari, ai più deboli. E’ un discorso che dà fiducia”.

Per il giuslavorista “le condizioni per una riforma organica degli ammortizzatori sociali ci sono. E le parole di Draghi di oggi dedicate ai giovani, ai precari, mi fanno pensare che l’obiettivo sia quello di una riforma per quanto più possibile universalistica, nel senso di garantire un sostegno minimo per tutti, senza disuguaglianze e ingiustizie che, anche con il blocco dei licenziamenti, hanno colpito invece durante la pandemia i più deboli, i giovani, i precari, le donne, gli autonomi”, sottolinea

Per Martone, anche dalle parole di oggi di Draghi al Senato, traspare la volontà di intervenire sugli ammortizzatori “per renderli più universali, dando sostegno anche ai lavoratori precari e autonomi”, rimarca.

E per Martone, inoltre, “il governo punterà a rafforzare istituti di ammortizzatori di nuova generazione come il fondo nuove competenze e il contratto di espansione per permettere ai lavoratori delle aziende che non riescono più a stare sul mercato di riqualificarsi”.

Covid, l’allarme dei direttori del personale: “20% aziende farà licenziamenti dopo fine blocco”

Milano, 17 feb. (Labitalia)

Salvo proroghe, allo stato, il 31 marzo terminerà il blocco dei licenziamenti economici (i licenziamenti collettivi e quelli per giustificato motivo oggettivo) così come indicato nella legge di Bilancio 2021. L’Aidp – l’associazione dei direttori del personale – ha lanciato in questi giorni un’indagine interna tra i propri associati, per fare il punto previsionale su cosa accadrà allo scadere di tale data ma anche sul tema della licenziabilità, come estrema ratio, dei dipendenti che rifiuteranno il vaccino (non obbligatorio per legge). I risultati dell’indagine evidenziano un quadro in chiaro-scuro.

Il 20% dei rispondenti ha infatti dichiarato che darà seguito ai licenziamenti previsti, il 24% circa non ha ancora maturato una decisione e una parte di loro ha dichiarato che dipende anche da eventuali misure a sostegno che verranno prese. Il 9% proseguirà con la cassa integrazione mentre il 53,5% non ha in previsione nessun licenziamento.

La leva del costo del lavoro è decisiva. Tra le misure a sostegno delle imprese ritenute più utili per il sostegno all’occupazione e per mantenere i livelli occupazionali, circa l’82% dei rispondenti (nota: erano possibili risposte multiple) ha indicato le misure di natura fiscale e previdenziale volte a ridurre il costo del lavoro. Per il 48,50% la conferma della deroga dei contratti a termine acausali e per il 41,34% gli incentivi alle assunzioni per categorie di lavoratori (giovani, donne, disoccupati). Da notare che il 20% circa ha chiesto la proroga del cassa integrazione Covid e 22% la riforma dei centri per l’impiego. Oltre il 30%, infine, il potenziamento del contratto di espansione o di altre forme di incentivo ai prepensionamenti.

Se il dipendente rifiuta la vaccinazione, solo il 2,72% del campione ha risposto che sta studiando la possibilità del licenziamento. Per la maggioranza dei casi prevale la prudenza. Il 40% dichiara che non ci ha ancora pensato mentre il 37% circa pensa di aumentare la comunicazione e l’informazione sanitaria per incentivare la vaccinazione. Il 9%, invece, se il ruolo e la mansione lo consentiranno metteranno in smart working il dipendente. Il 3,5% pensa a provvedimenti di natura disciplinare mentre per l’8,5% il rifiuto alla vaccinazione non sarà un problema perché si continuerà con le misure di tutela sanitaria già in essere. “Com’è facile profetizzare, alla fine del blocco dei licenziamenti, all’ultima data stabilita od altra successiva da definirsi eventualmente, l’argine normativo verrà meno e assisteremo ad un numero significativo di licenziamenti economici”, spiega Isabella Covili Faggioli, presidente Aidp.

“Dalla nostra indagine -continua- emerge un dato che potremmo definire ovvio. Una parte significativa delle nostre aziende sarà costretta ad avviare piani di ristrutturazione, soprattutto nei settori più colpiti dalle conseguenze dell’emergenza pandemica, tenuto conto del calo del Pil nel 2020 di circa il 9 per cento! Permane, tuttavia, un’ampia fascia di incertezza sul da farsi e qui, probabilmente, molto dipenderà anche dalle scelte di politiche del lavoro e politiche economiche che il nuovo Governo metterà in campo. Prima fra tutte segnaliamo il costo del lavoro come leva strategica unito ad una profonda riforma, non più rinviabile, delle politiche attive”.

“L’altra faccia della medaglia del licenziamento legato all’emergenza Covid -prosegue la presidente Aidp- è la licenziabilità dei dipendenti che non vorranno vaccinarsi stante la non obbligatorietà per legge. La questione al momento è molto dibattuta tra i giuslavoristi e non è emersa una linea univoca, e tuttavia, vorrei sottolineare la posizione dei direttori del personale che di fronte una scelta così difficile e complessa fanno prevalere la prudenza e l’attenzione alle persone propendendo per l’utilizzo di strumenti alternativi e persuasivi come campagne di informazione e comunicazione sui vaccini, il ricorso allo smart working laddove possibile, questo per evitare soluzioni traumatiche come il licenziamento”, conclude.

Governo, Del Conte: “Bene Draghi su lavoro, ha rimesso al centro politiche attive”

Milano, 17 feb. (Labitalia)

“Sui temi del lavoro, Mario Draghi ha detto cose molte precise con, in particolare, tre elementi molto chiari: la centralità delle politiche attive del lavoro, la riproposizione dell’assegno di ricollocazione e la formazione professionale. Temi fondamentali per il rilancio del lavoro in Italia e parlare di politiche attive oggi non è affatto banale, perché finora non sono state al centro delle azioni di governo”. Lo dice ad Adnronos/Labitalia Maurizio Del Conte, ex presidente dell’Anpal e ora presidente di Afol Metropolitana, l’agenzia che garantisce ai cittadini e alle imprese del territorio milanese un unico interlocutore pubblico sui temi del lavoro e della formazione. “Draghi ha dichiarato -prosegue Del Conte- che occorre una riforma dei centri per l’impiego, nel senso di ripensare le competenze degli operatori che vi lavorano attraverso la loro formazione e con l’attivazione della rete dei dati, di quell’interconnessione dei centri in un sistema unitario già prevista dalla legge”.

“La novità del discorso di Draghi sul tema del lavoro è stata la riproposizione dell’assegno di ricollocazione: una misura adottata nel 2015, che è stata la prima vera politica misura nazionale di politica attiva, ma che poi subito dopo è finita in soffitta per mancanza di fondi. Ora finalmente può essere liberata e attuata perché finalmente ci sono le risorse”, osserva poi Del Conte-

L’assegno di ricollocazione è uno strumento di politica attiva, introdotto dal Jobs Act che consiste in una dote finanziaria (da 250 a 5mila euro in base al risultato occupazionale ottenuto), da spendere presso i centri per l’impiego e le agenzie private per il lavoro, per remunerare un servizio di assistenza alla ricerca dell’occupazione. Sperimentazioni dell’assegno di ricollocazione sono state avviate anche in Lombardia e Lazio. “Ma è uno strumento di fatto sospeso per mancanza di fondi -ricorda Del Conte- e lasciato solo ai percettori del reddito di cittadinanza. Ed è uno strumento che va riscritto, come prevede la legge di Bilancio 2021″. La legge di Bilancio 2021 ha soppresso il comma 7 che sospendeva sino al 31 dicembre 2021 l’erogazione di tale assegno in favore dei percettori Naspi. Sarà Anpal, si legge nel testo, a stabilire le modalità di erogazione dell’assegno di ricollocazione, con la presa in carico del beneficiario da parte del centro per l’impiego o dell’agenzia per il lavoro.

“Il fatto che l’assegno di ricollocazione, nel discorso di Draghi, sia messo al centro delle politiche attive per il lavoro è un’indicazione agli attori che non sono solo lo Stato, ma anche le Regioni -aggiunge Del Conte- e per questo andrà immediatamente aperto di confronto nella Conferenza Stato-Regioni. Perché questa misura non deve entrare in conflitto con le altre misure di sostegno di iniziativa regionale”. Riguardo al rapporto tra assegno di ricollocazione e reddito di cittadinanza, Del Conte osserva che “mettere a disposizione del percettore del reddito di cittadinanza le risorse dell’assegno di ricollocazione senza la formazione è del tutto inutile”. “Prima bisogna qualificare il lavoratore e poi quando è pronto per l’incrocio domanda offerta, si può erogare anche l’assegno”, avverte.

“Non a caso -spiega Del Conte- l’altro punto qualificante del discorso di Draghi sul lavoro è la formazione: per dare concretezza al suo programma, l’ideale è mettere insieme formazione con servizi per l’impiego e assegno di ricollocazione, che viene pagato in base al risultato conseguito”. Con un’avvertenza, sottolinea Del Conte: “Le Regioni devono collaborare e trovare misure condivise, per non procedere in ordine sparso. E’ ora di fare economia di scala e di ricomporre la frattura tra Stato e Regioni e tra Regione e Regione”. (di Mariangela Pani)

Energia, riduzione dei consumi è già realtà per molte aziende del design

Roma, 17 feb. (Labitalia)

Ai tempi del Covid-19, risparmiare energia significa compiere un gesto concreto a favore dell’intero genere umano, dando l’assoluta priorità alla salute del pianeta e al benessere delle persone. La Giornata internazionale del risparmio energetico, che ricorre domani, 18 febbraio, in questo senso, rappresenta un’occasione per rimarcare la volontà di adottare comportamenti più sostenibili, rispettosi dell’ambiente e in grado di migliorare la qualità della vita degli individui. Nel 2020, anche grazie agli effetti negativi del Coronavirus, la domanda di energia elettrica in Italia è calata del 20%, mentre l’utilizzo di energia pulita derivante da fonti rinnovabili appare in continuo aumento. Questo trend, orientato sempre più alla razionalizzazione dei consumi energetici, è già stato intercettato con successo anche da alcuni dei migliori brand di design presenti in Italia, attraverso l’attivazione di nuovi strumenti con cui modellare il futuro eco-sostenibile dell’azienda.

Molti brand del design si stanno già convertendo al fotovoltaico: ne è un esempio l’azienda emiliana Ceramiche Refin, specializzata nella produzione di rivestimenti e superfici in grès porcellanato, che ha installato un impianto fotovoltaico capace di contenere i consumi energetici e di ottimizzare i processi industriali. Un altro specialista emiliano della ceramica, Terratinta Group, ha in programma l’installazione di un impianto fotovoltaico e l’applicazione di un rivestimento a cappotto, con l’obiettivo di ridurre gli sprechi di energia nelle diverse fasi di produzione. Anche il Gruppo Fontanot, punto di riferimento internazionale nella produzione di scale di design, è già al lavoro per l’attivazione di pannelli fotovoltaici da 400 kw con cui migliorare la propria produttività.

Il risparmio energetico passa anche dal recupero delle materie prime, come il legno. Ne è consapevole Listone Giordano, brand del Gruppo Margaritelli specializzato nei pavimenti di design d’alta gamma, che nel suo stabilimento di Miralduolo (in Umbria) recupera i residui di legno non utilizzati per trasformarli in nuove creazioni, consumando anche meno energia. Nel territorio in cui nascono i pavimenti in legno destinati ad arredare le case più belle del mondo, la sostenibilità e il risparmio delle energie sono formidabili alleati nella produzione di eccellenze di design.

Un altro brand attivamente impegnato nel recupero virtuoso del legno è Carl Hansen & Søn, storica azienda danese specializzata nella produzione di sedie e creazioni di design per indoor e outdoor, che riutilizza gli avanzi lignei per dare vita a nuovi elementi d’arredo con cui arricchire la propria offerta. Il brand riserva una fetta consistente dei suoi investimenti per l’acquisto di attrezzature moderne dal punto di vista energetico, fissando obiettivi annuali per la progressiva riduzione di energia impiegata nella produzione. Da un attento controllo dei consumi possono nascere nuovi modelli operativi in grado di ottimizzare la gestione dell’energia. Con l’ottenimento della certificazione Iso 50001, l’italiana Gruppo Sabaf, tra i leader europei nel settore della componentistica per elettrodomestici, ha potuto potenziare sensibilmente i propri sistemi di gestione aziendale, abbassando i costi legati al consumo d’energia e monitorandone efficacemente l’utilizzo.

Un altro brand particolarmente attento al controllo dei consumi è Sinetica Industries, parte del Gruppo Mig-Mezzalira Investment Group Spa, specializzato nell’arredo da ufficio. Per la realizzazione delle sue scrivanie Love, l’azienda non si è infatti limitata a scegliere materiali durevoli e rispettosi dell’ambiente, ma ha anche impiegato una tecnologia laser di ultima generazione che rende possibile un’effettiva riduzione dei consumi, in particolar modo di energia elettrica, realizzando così pienamente un modello produttivo basato sul risparmio energetico.

Riqualificare uno spazio è complesso ma alla lunga porta un giovamento sia dal punto di vista economico e sociale. Il brand Talenti, eccellenza nel settore dell’outdoor, ha recuperato l’area dismessa dell’ex pastificio Federici trasformandola in una sede produttiva dove l’attenzione al consumo energetico sostenibile è diventata una priorità. Dagli infissi a taglio termico alle tamponature termiche nel nuovo showroom, fino alla riconversione del sistema di illuminazione: piccoli passi non scontati e che contribuiscono al risparmio delle risorse del pianeta.

Covid lavoro, opportunità dal network marketing made in Italy

Roma, 17 feb. (Labitalia)

In un periodo di crisi nazionale, in cui molte persone sono alla ricerca di un lavoro o di soluzioni integrative, per chi desidera crearsi una nuova professione nel mondo della vendita diretta l’opportunità è offerta da Evergreen Life Products. L’azienda friulana – che commercializza prodotti per il benessere della persona a base di Olivum, il suo brevettato infuso di foglie d’olivo – cresce attraverso l’espandersi di una rete distributiva sul territorio basata sul network marketing. Nel 2020, un anno difficile per l’economia globale, l’azienda ha visto un incremento del 5% della sua rete distributiva, che ha comportato il +4% del fatturato rispetto all’anno precedente.

“Le nuove modalità di lavoro da remoto dell’ultimo anno – dichiara Luigi Pesle, vicepresidente Evergreen Life Products – ci hanno spinto ad implementare le nostre strategie distributive e commerciali. Abbiamo circa 20 mila incaricati di vendita indipendenti, di cui 5 mila costantemente operativi. Il business degli integratori alimentari registra trend di crescita continua con il conseguente aumento degli ordini, mentre l’opportunità offerta dal network marketing diventa la migliore occasione professionale, in un momento storico come quello che stiamo vivendo”.

Un trend in continua crescita, quello della vendita diretta: basti pensare che, nei primi nove mesi del 2020, il numero degli incaricati alle vendite delle aziende associate ad Avedisco (Associazione vendite dirette servizio consumatori) – di cui Evergreen Life Products fa parte – ha registrato oltre 44 mila nuovi ingressi, attestandosi alle 285.752 unità, con una crescita del fatturato che supera i 478 milioni di euro. A livello europeo, l’Italia si colloca al quarto posto per fatturato globale nel settore della vendita diretta e al 13° posto nel mondo con oltre 15 milioni di incaricati alle vendite in tutta Europa, di cui l’84% è costituito da donne. Una ‘quota rosa’ particolarmente elevata, in un momento in cui la cronaca riporta statistiche preoccupanti per l’occupazione femminile nel nostro paese.

Una crescita costante, che nasce dalla necessità e dal desiderio delle persone di reinventarsi una professione, in tempi di pandemia, costruendo il proprio futuro professionale su due elementi chiave: da una parte, un prodotto di alta qualità, che offre una vasta gamma di referenze, all’altezza delle richieste di mercato e in grado di soddisfare i clienti più esigenti; dall’altra, la valorizzazione della propria professionalità e credibilità in grado di coinvolgere le proprie conoscenze e relazioni, il proprio network di contatti. Un processo di crescita personale e professionale, attraverso il quale Evergreen Life Products accompagna i propri incaricati di vendita.

“Passione, entusiasmo, interazione e serietà, sono ingredienti – afferma Claudia Pesle, direttore generale Evergreen Life Products – che fanno la differenza, per chi decide di entrare nel mondo Evergreen Life; il passaparola per noi è chiave non solo per farci conoscere ma anche per fidelizzare i nostri clienti. Stiamo utilizzano modalità digitali per incontrare e formare i nostri collaboratori, per esempio attraverso il nostro progetto di podcast (https://anchor.fm/evergreen-life-products), vere e proprie pillole di informazione e approfondimento sui prodotti, e attraverso attività di formazione in ‘virtual reality’ con i corsi in diretta da uno studio televisivo”.

Nonostante la situazione economica nazionale, l’azienda conferma le previsioni di crescita a doppia cifra dei ricavi anche nel 2021, puntando in particolare su Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo.

La sicurezza in azienda passa dalla realtà virtuale con Arbra e Sti

Roma, 17 feb. (Labitalia)

La realtà virtuale rappresenta l’ultima frontiera della sicurezza. Una risorsa che, grazie al progetto di Arbra e Sti finanziato dal Fondo interprofessionale Formazienda, ora è a disposizione non solo delle grandi aziende ma anche delle Pmi. Tramite software specializzati, visori, controller e sensori, è possibile riprodurre condizioni di lavoro estreme. Si tratta delle cadute da 40 metri o delle operazioni che vengono svolte in spazi confinati ed esposti ad alto rischio di esplosioni, asfissia o inquinamento chimico. Contesti troppo pericolosi per testare la corretta applicazione delle procedure di sicurezza e nei quali la realtà virtuale si sta affermando come uno strumento irrinunciabile per condurre a termine l’addestramento in un regime di assoluta tutela.

La partnership tra la struttura formativa Arbra Formazione e l’azienda Sti, entrambe con sede in provincia di Cremona, in Lombardia, ha potuto beneficiare del supporto finanziario di Formazienda. Il fondo è nato nel 2008, grazie all’accordo tra Sistema Impresa e Confsal, e nel 2020 ha stanziato 30 milioni di euro per la formazione delle risorse umane attraverso cinque avvisi in gran parte rivolti al mondo delle micro, piccole e medie imprese.

Ha preso avvio così un progetto di formazione all’avanguardia incentrato sulla realtà virtuale che permette di simulare le condizioni che spesso hanno conseguenze letali, ma che sono difficilmente replicabili nella realtà di un corso tradizionale. Utilizzando dispositivi informatici come guanti, visori e auricolari è stato possibile immergersi in un ambiente tridimensionale interagendo in modo credibile e allenando i sensi, i tempi di risposta, l’esecuzione delle prassi, l’utilizzo degli strumenti che sono finalizzati a garantire l’incolumità dei tecnici e degli operai.

Sti-Servizi Tecnologici Industriali è la società che propone moduli di esercitazione in realtà virtuale integrando i corsi teorici sulla sicurezza, svolti frontalmente in aula, con test di apprendimento che simulino la pratica. Sono due i campi preferiti di applicazione: quello dei lavori in quota e il lavoro in spazi confinati e angusti dove è alto il rischio di intossicazione chimica, di esplosione, di asfissia. Situazioni verificabili all’interno di serbatoi, silos, vasche, ambienti chiusi interrati o esterni dove maggiormente avvengono infortuni letali o con conseguenze gravissime in ambito lavorativo.

La realtà viene copiata sotto ogni aspetto sensitivo e ambientale: il software, grazie ad appositi sensori, consente di disegnare il contesto e di scorgere i limiti di movimento, compaiono reti o pareti oltre i quali non si può andare e l’operatore riesce a spostarsi in uno spazio delimitato con il controller e il visore. Poi, deve decidere quali dispositivi utilizzare per trattenere e limitare eventualmente la caduta: imbragatura, dissipatore, collegamento e ancoraggio, proposti in diverse tipologie. A quel punto, inaspettatamente, può cadere un traliccio. Vengono riprodotti i fattori di rischio più imprevedibili.

Spiega Gianni Guarneri, legale rappresentante della Sti: “L’operatore percepisce di precipitare nel vuoto e si spaventa. Se rimane appeso, senza toccare terra e senza andare a sbattere contro ostacoli, significa che le sue scelte sono state corrette. Ho associato lo spavento all’apprendimento per evitare che in futuro l’errore possa ripetersi anche perché è la confidenza a costituire una delle fonti principali di errore. Io mi sento spesso dire: l’abbiamo sempre fatto così”. L’assuefazione al rischio è uno dei principi del risk management, come conferma Guarneri: “Soprattutto i più anziani, lavorativamente parlando, una volta commesso l’errore, hanno dichiarato di non aver mai pensato alle possibili conseguenze derivanti da determinati atteggiamenti. Hanno apprezzato il fatto che la realtà virtuale consenta di chiarire i dubbi. La differenza è sostanziale. Se uno sbaglia impara e non si ammazza”.

Germana Scaglioni, direttrice della società Arbra Formazione, afferma: “Si parla di realtà aumentata quando si dota la persona di strumenti che sono in grado di aggiungere informazioni a quello che si percepisce con i propri sensi. Sono elementi determinanti nelle pratiche lavorative più rischiose. La nostra agenzia formativa ha sempre investito nella ricerca di nuove tecnologie”.

“Arbra e Sti hanno elaborato un progetto formativo – commenta Rossella Spada, direttore di Formazienda, il fondo interprofessionale al quale aderiscono 110mila aziende in gran parte Pmi per un totale di 745mila lavoratori – di assoluta attualità. La realtà virtuale viene utilizzata per istruire e prevenire in completa sicurezza. Le operazioni simulate costituiscono i momenti apicali di rischio. L’iniziativa si muove in sintonia rispetto a quello che si è verificato nell’ultimo anno dove l’innovazione tecnologica, anche attraverso il ricorso generalizzato allo smart working e alla formazione a distanza, ha acquisito una importanza cruciale nella lotta contro il Covid”.

“Nei nostri avvisi di finanziamento rivolti ai piani di formazione delle risorse umane – ricorda – il tema dell’innovazione è centrale sia in riferimento ai contenuti dei corsi sia alle premialità da definire in sede di valutazione. Le grandi aziende abbiano già accumulato esperienze consolidate sul fronte della realtà virtuale ma ora anche le Pmi possono intraprendere una strada sicura per tutelare al meglio imprese e dipendenti. È un passo avanti importante”.

Governo, l’economista Livolsi: “I mercati certificano importanza di Draghi”

Milano, 17 feb. (Labitalia)

“I mercati per così dire ‘certificano’ l’importanza di Draghi. Lo spread è ai livelli più bassi da inizio 2015 e i rendimenti dei titoli di Stato sono già da tempo sui minimi di sempre, con l’ultima asta decennale dei Btp che ha raggiunto il minimo storico dello 0,46. Dal 2011 al 2019 Draghi ha guidato la Bce durante la crisi del debito sovrano europeo, è stato l’artefice del quantitativo easing e la sua famosa frase ‘whatever it takes’ rappresenta la sua capacità di prendere decisioni autonome e di portarle avanti con successo”. Lo afferma in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia Ubaldo Livolsi, economista, presidente della Livolsi & Partners, già ceo di Fininvest e che condusse la quotazione in borsa di Mediaset e Mediolanum. “Gli obiettivi principali del nuovo governo guidato da Mario Draghi – ricorda – sono: affrontare l’emergenza sanitaria e dettare la ripresa economica del Paese alla luce di quanto prevede il Green deal dell’Unione europea. In questo senso, sono state scelte due eccellenze mondiali molto note e di competenze riconosciute per condurre ministeri decisivi: Roberto Cingolani alla Transizione ecologica e Vittorio Colao alla Transizione digitale.

“Molto positiva – spiega – anche la scelta degli altri tecnici, in aggiunta alla riconfermata Luciana Lamorgese (Interno): Marta Cartabia (Giustizia), Daniele Franco (Economia), Patrizio Bianchi (Istruzione), Cristina Messa (Università), Enrico Giovannini (Infrastrutture e Trasporti), Roberto Garofoli (sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Alcuni hanno espresso dubbi su Giancarlo Giorgetti, parlamentare di lungo corso della Lega, quale ministro allo Sviluppo economico. In realtà, sia come formazione (Giorgetti è laureato alla Bocconi) che come visione, Giorgetti e Draghi sono sulla stessa linea, si conoscono da lungo tempo e, credo, lavoreranno bene insieme”. “Draghi – spiega – dovrà impostare una pianificazione di medio periodo e avrà tempo fino ad aprile per presentare il piano dell’Italia. In un certo senso, e qui ha fatto bene l’Ue, dovrà seguire un percorso molto preciso. I fondi dovranno essere investiti almeno per il 37% in opzioni sostenibili e per il 20% nella digitalizzazione. Il Green deal europeo coinvolge tutti i comparti: trasporti, energia, edilizia, Ict e industrie di più settori, dall’acciaio al cemento dal tessile alla chimica, per citare le principali. Draghi riuscirà a realizzare il rilancio complessivo della nostra economia, se la farà crescere aumentando l’export e contemporaneamente i consumi attraverso l’innovazione e la digitalizzazione del sistema Paese”.

“Si pensi – fa notare – a settori come l’edilizia, ma anche all’ industria, che dovrà trasformare e digitalizzare i propri impianti produttivi convertendosi al cosiddetto 4.0. Si rifletta sulle infrastrutture strutturali come l’alta velocità, che dovrà essere diffusa in tutto il Paese, ma anche a quelle digitali per ridurre il digital divide, non più sostenibile nei tempi attuali”. “Il Recovery plan – sostiene – destina all’Italia 209 miliardi (82 a fondo perduto, 127 in crediti). Per essere ammessi al finanziamento, bisognerà ottenere giudizi positivi dall’Ue su punti precisi e imprescindibili: dalla pertinenza della richiesta al rafforzamento della crescita, dal rispetto dell’ambiente alla trasformazione digitale. Servirà garantire un impatto duraturo, costi ragionevoli e il monitoraggio sull’utilizzo degli investimenti e il controllo sui risultati. Soprattutto, sarà fondamentale anche conseguire il massimo della crescita per permettere l’equilibro di bilancio. Servirà una visione e una capacità di lavorare in sinergia, con obiettivi precisi, caratteristiche di cui il Draghi I è sicuramente dotato”.

“Il pil del nostro Paese – asserisce – è diminuito dell’8,9% nel 2020. Una condizione che ha toccato pesantemente i cittadini. Purtroppo, in modo disomogeneo: c’è chi si è impoverito, chi è diventato più ricco. Si potrebbe citare, per intenderci, la ‘regola’ del poeta romano Trilussa secondo cui la statistica è la scienza secondo la quale ‘se tu mangi due polli al giorno, e io nessuno, tu e io mangiamo in media un pollo a testa al giorno’. Sotto l’aspetto economico, il problema è anche che chi ha aumentato il proprio patrimonio, non investe. Si pensi ai 1.700 miliardi di risparmi sui conti correnti”. “Non solo: si calcola – osserva – che i fondi italiani ed esteri attraverso i patrimoni gestiti destinino ad investimenti in aziende italiane solo l’1%. I finanziamenti del Recovery sono così elevati che si potrà innalzare il livello competitivo complessivo dell’Italia. E’ fondamentale che tutta questa mole di denaro si traduca in fatti, come nello stile del nuovo presidente del Consiglio, che trasmettano un clima e aspettative di fiducia negli italiani“.

“Dalla fiducia – ribadisce Ubaldo Livolsi – trarranno giovamento anche i nostri campioni, le nostre aziende gioiello, che continuano, a dire il vero con una certa difficoltà in quanto zavorrate dallo Stato, a essere eccellenze competitive nel mondo e che sono oggetto di attrazione da parte di possibili acquirenti esteri. Gli imprenditori dovrebbero essere al centro della politica di Draghi. Le nuove tecnologie e la digitalizzazione dovranno soprattutto intervenire sulla giustizia, la scuola e la sanità, che hanno raggiunto ritardi che sono ormai intollerabili per la competitività del nostro Paese e sull’attrattività degli investimenti stranieri”.

“Bisognerebbe anche mantenere e sviluppare – auspica – alcune idee innovative del precedente governo. Penso alla proposta di Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Conte II, del fondo sovrano strategico pubblico-privato per l’intervento nel capitale delle pmi, con il contributo di cassa depositi e prestiti. Un concetto da tempo da me sostenuto”.

“Come ho già proposto in più contesti – ricorda – riscontrando la sintonia di altri addetti ai lavori, penso a un fondo misto pubblico-privato con una ‘liquidation preference’ a vantaggio dei privati. Anche la governance, credo, debba essere a maggioranza del privato“.

“Penso – conclude Ubaldo Livolsi – ad altri strumenti di finanziamento innovativi per far sì che gli investimenti privati sostengano l’equity delle nostre aziende attraverso piattaforme di fintech che mettano a diretto contatto domanda e offerta di capitali e finanziamenti offrendo vantaggi non solo sui capital gain (vedi quanto già introdotto per i Pir), ma anche introducendo forme di tax credit per investimenti di medio/lungo periodo”.

Ex Ilva, Fontana (Confindustria Puglia): “Non facciamola diventare un’altra Bagnoli”

Bari, 17 feb. (Labitalia)

“Non facciamo diventare l’ex Ilva di Taranto un’altra Bagnoli, un’altra fabbrica chiusa e smontata, senza bonifica e lasciando un’intera area in condizioni disastrose”. Lo dice, ad Adnkronos/Labitalia, Sergio Fontana, presidente di Confindustria Puglia, dopo che, nei giorni scorsi, una sentenza del Tar di Lecce ha dato 60 giorni di tempo per spegnere l’area a caldo dell’acciaieria. Arcelor Mittal, attuale proprietaria dello stabilimento di Taranto, ha presentato ricorso al Consiglio di Stato. Una sentenza che, avverte Fontana, “mette a rischio migliaia di posti di lavoro di persone che lavorano nell’acciaieria e nell’indotto”.

“L’ex Ilva è una delle prime questioni che il governo Draghi dovrà affrontare perché qui c’è da riparare -aggiunge il presidente di Confindustria Puglia, a cui è iscritta anche Arcelor Mittal- un danno ambientale, economico e sociale. E ce lo dice l’Europa nel Next Generation Eu che la sostenibilità deve essere ambientale, economica e sociale”. “L’acciaio è un prodotto strategico, è un prodotto trasversale: si usa dalla chimica all’edilizia. Non ci possiamo rinunciare”, commenta.

“La transizione energetica dell’ex Ilva, la sua decarbonizzazione, come la conversione della centrale a carbone di Cerano, vicino Brindisi, sono il banco di prova del Governo Draghi sulla transizione energetica e quindi su gran parte del suo programma”. Ne è convinto Sergio Fontana, presidente di Confindustria Puglia, che ad Adnkronos/Labitalia aggiunge: “Tutti interventi per i quali si deve utilizzare il Recovery Fund, con cui l’Europa ci chiede di diventare un Paese con un’industria più sostenibile, in cui non ci possono essere posti di lavoro in cambio di malattia o morte”.

Non solo. “Un’operazione dell’Enel di conversione di Cerano in centrale a energia rinnovabile e pulita -osserva Fontana- farebbe di questo sito una best practice europea e sarebbe un impulso allo sviluppo di tutto il territorio”. “Bisogna pensare ai prossimi 30-40 anni e lasciare un pianeta pulito a chi verrà dopo di noi: ora è il momento giusto per questa scelta di campo, abbiamo un primo ministro forte e autorevole, abbiamo molte forze politiche sedute allo stesso tavolo di governo e abbiamo le risorse di Next Generation Eu”, conclude Fontana. (di Mariangela Pani)

Itinerari Previdenziali: spesa pensionistica in crescita ma sotto controllo, in 2019 a 230,3 mld

Roma, 16 feb. (Labitalia)

Aumentano gli occupati (23.376.000 a fine 2019) e, benché si interrompa il trend in diminuzione dei pensionati del sistema Italia, che crescono fino a 16.035.165 (+30.662 unità), il rapporto attivi e pensionati sale fino a 1,4578, miglior risultato degli ultimi 23 anni e, soprattutto, valore molto prossimo a quell’1,5 che potrebbe garantire la sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema. Il tutto mentre l’andamento della spesa per prestazioni di natura previdenziale si conferma sotto controllo, per quanto in crescita: nel 2019, ha raggiunto i 230,3 miliardi di euro. L’incidenza sul Pil è del 12,88%, in linea con la media Eurostat.

È quindi un quadro stabile, almeno per quanto riguarda la spesa pensionistica pura al 31 dicembre 2019, quello tracciato dall’Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano di Itinerari Previdenziali, presentato in diretta streaming dalla Camera dei Deputati nel corso di una conferenza stampa. La spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni è stata nel 2019 di 230,259 miliardi contro i 225,59 del 2018 (+4,66 miliardi). Tenuto conto di entrate contributive pari a 209,4 miliardi (+2,29%), il saldo negativo tra entrate e uscite si è attestato a 20,86 miliardi, riportandosi sui livelli del 2012 ma ancora più elevato della media registrata negli anni Dieci del 2000. Pesa sul disavanzo soprattutto la gestione dei dipendenti pubblici che evidenzia un passivo di oltre 33 miliardi, parzialmente compensato dall’attivo di 6,3 miliardi delle gestioni dei lavoratori dipendenti privati e dai 7,4 miliardi della gestione dei parasubordinati.

“Purtroppo, anche per quanto riguarda le pensioni in senso stretto le buone notizie finiscono qui, perché è molto probabile che il mix di anticipi pensionistici introdotto dalla legge di Bilancio per il 2019, sgravi contributivi e crisi pandemica abbia prodotto già per l’anno appena concluso risultati negativi, che perdureranno almeno fino al 2023” spiega Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali. Per effetto di Covid-19 che incentiverà la propensione al pensionamento anticipato degli italiani, i quali potrebbero cioè finire col ricorrere a Quota 100 e provvedimenti correlati come a una sorta di ammortizzatore sociale (meglio una rendita “decurtata” che nessuna rendita), il documento stima che nel 2020 il numero di pensionati possa aumentare di circa 100mila unità e crescere anche nei mesi successivi, deteriorando per qualche anno il rapporto attivi/pensionati. Allo stesso modo, mentre le entrate contributive risentiranno delle difficoltà occupazionali, la spesa pensionistica sconterà l’incremento dovuto alla pandemia, toccando livelli persino superiori a quelli della crisi del 2008: per il disavanzo INPS, al netto dei trasferimenti del bilancio dello Stato, l’ipotesi per il biennio 2020-2021 è un aumento fino a 33 miliardi, per poi rientrare su livelli più fisiologici a partire dal 2023.

“Se, sul fronte previdenziale, si rende auspicabile non ricorrere ad altre forme di anticipo estemporanee, sfruttando la scadenza di Quota 100 per una vera e più equa revisione della normativa Fornero – ha chiosato Brambilla – dall’altra parte l’esecutivo ha già in mano strumenti e misure necessarie per contrastare gli effetti dello sblocco dei licenziamenti e dell’esaurimento della cassa integrazione Covid. Servono però interventi veloci e di qualità, che agiscano su almeno due leve: innanzitutto, il piano vaccini che, ancor più se unito a una massiccia campagna tamponi e alla disponibilità di terapie efficaci, potrebbe rimettere in moto l’economia una volta raggiunta l’immunizzazione di almeno il 65% della popolazione e, non meno importante, l’impiego delle risorse europee e l’avvio della Sblocca Cantieri con la nomina urgente dei commissari. Basterebbe il dispiegamento dei fondi esistenti in tre anni per recuperare totalmente l’occupazione persa per colpa della pandemia”.

Nel 2019 il sistema di protezione sociale italiano è costato per previdenza, sanità e assistenza 488,336 miliardi. Se, per quanto riguarda pensioni, Inail e prestazioni temporanee, con un saldo entrate/uscite positivo – al netto dell’Irpef che grava su queste prestazioni – di 13,7 miliardi, si può parlare di un sistema in equilibrio e in grado di “autosostenersi”, lo stesso non può dirsi per spesa sanitaria (intorno ai 115 miliardi) e assistenziale (circa 114 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono attingere necessariamente alla fiscalità generale. In particolare, a partire dai dati indicati nel Def e nell’indagine annuale di Itinerari Previdenziali sulle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef, l’Ottavo Rapporto stima che nel 2019 per finanziare il welfare state siano occorsi quasi tutti i 248,68 miliardi di entrate dirette (Irpef, ires, irap, isos) con un saldo attivo di 18,96 miliardi, insufficiente se solo si considerasse la spesa pensionistica al lordo dell’Irpef.

“Poco resta per ricerca e sviluppo se già per sostenere il resto della spesa pubblica (istruzione, giustizia, infrastrutture), non rimangono che le residue imposte indirette, le altre entrate e soprattutto la strada del ‘debito’ – ha commentato Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali -non senza sollevare il grave problema dell’effettiva equità e della sostenibilità del sistema, tenuto conto del fatto che – il 57,72% degli italiani versa al netto del bonus Renzi solo l’8,98% di tutta l’Irpef, vale a dire appena 15,4 miliardi, risultando sostanzialmente a carico di qualcun altro, e peraltro non certo oppresso dalle tasse”.

Covid Italia: paradosso mismatch tra domanda e offerta lavoro freno a ripresa

Roma, 16 feb. (Labitalia)

L’auspicata ripresa post-Covid rischia di essere frenata da un paradosso del mercato del lavoro italiano: alta disoccupazione associata alla difficoltà di reperire i posti di lavoro vacanti, da cui dipendono la qualità e la sostenibilità della ripresa stessa. Dal 2004 al 2019, il ‘mismatch’ tra domanda e offerta di lavoro, cioè la mancata corrispondenza tra i requisiti richiesti dalle aziende e le competenze/qualifiche offerte dai lavoratori, ha subito un progressivo peggioramento: in 15 anni il tasso di disoccupazione è passato dal 6% ad oltre il 10% e le difficoltà di reperimento si sono alzate a livelli record, in un divario tra domanda e offerta di lavoro sempre più profondo e complesso. È la fotografia del nuovo rapporto del Randstad Research, il centro di ricerca sul lavoro del futuro, intitolato ‘Posti vacanti e disoccupazione tra passato e futuro’, che è stato dedicato al complesso tema del matching tra domanda e offerta del mercato del lavoro.

Nel periodo considerato, si contano 140.000 contabili e 145.000 muratori occupati in meno, 144.000 magazzinieri e 77.000 camerieri in più, sono aumentate, ma solo in una certa misura, alcune professioni chiave, come specialisti in marketing (+92.000), analisti software (+86.000) e medici (+30.000), ma non si è risolta quella che appare la ragione principale della mancata corrispondenza: la carenza nella preparazione tecnico-scientifica e nell’istruzione di base, al primo posto tra i diversi ostacoli al reperimento di figure professionali evidenziati dalle imprese. E allora è urgente potenziare la formazione e aumentare il tasso di attività di giovani e donne per un mercato del lavoro più efficiente.

A fine 2019, rileva il Randstad Research, la cosiddetta ‘curva di Beveridge’ (che rappresenta il rapporto tra posti vacanti e disoccupazione) ha mostrato il punto minimo dell’efficienza del mercato del lavoro italiano. Nel 2020 dell’emergenza Covid, il mismatch sembrerebbe essersi ridotto, ma non per una rinnovata efficienza, quanto per l’effetto combinato del blocco dei licenziamenti e dell’aumento degli inattivi, con minori posti vacanti per il ridimensionamento delle attività dei datori di lavoro. Uno scenario che evidenzia il rischio di frenare la ripresa post-Covid, se un rialzo della disoccupazione a seguito dello sblocco dei licenziamenti dovesse essere accompagnato da un aumento dei posti di lavoro vacanti.

“Crediamo che la persistenza della difficoltà di reperimento per alcune figure professionali – afferma Daniele Fano, coordinatore del comitato scientifico del Randstad Research – abbia rappresentato un ostacolo alla crescita italiana in passato. Dobbiamo imparare dai Paesi che hanno fatto meglio di noi a uscire dalla morsa di bassa crescita, bassa produttività, bassa occupazione che ha attanagliato l’Italia negli ultimi decenni. In questo senso, i piani di rilancio europei 2021-27 – sottolinea – possono rappresentare un ‘Piano Marshall’ per il lavoro: la sfida italiana per il matching tra domanda e offerta si vince con un radicale miglioramento dell’istruzione e della formazione, con l’aumento del tasso di partecipazione al lavoro delle donne, dei giovani e di tutti i cittadini in età adulta”.

Nel dettaglio, negli ultimi quindici anni, il tasso di disoccupazione italiano è peggiorato, da un intervallo del 6-8% al 9-12%. Il mondo delle imprese è cambiato, è emerso in tutta la gravità il problema della disoccupazione giovanile e dei Neet, i giovani che ‘non studiano e non lavorano’. Anche se dal 2015 al 2019 l’Italia ha vissuto una ‘ripresina’ con discesa dei disoccupati e coerente aumento dei posti vacanti, che però è stato troppo brusco: i posti vacanti in quegli anni sono più che raddoppiati.

Analizzando il fenomeno del mismatch attraverso la ‘curva di Beveridge’, che presuppone una relazione inversa tra disoccupazione e posti vacanti (all’avvicinarsi della piena occupazione, è più difficile per i datori di lavoro trovare le competenze necessarie), si evidenziano 4 fasi: 2004-2007, con la crescita calo della disoccupazione e aumento dei posti vacanti; 2008-2011, con la crisi finanziaria aumento della disoccupazione e minore difficoltà di reperimento; 2012-2014, nella crisi dell’area Euro, meno posti vacanti insieme ad un forte aumento della disoccupazione; 2015-2019, disoccupazione in lieve calo con aumento dei posti vacanti fino sopra i livelli del 2007.

Nel 2020, con la crisi Covid-19, la ‘curva di Beveridge’ ha evidenziato contrazione di posti vacanti a parità di occupazione, interpretabile per l’effetto combinato del blocco dei licenziamenti e dell’aumento degli inattivi. Infatti, il tasso di disoccupazione da gennaio 2020 a novembre 2020 è diminuito dello 0,72% passando dal 9,59% all’8,87%, mentre il tasso di inattività nello stesso periodo è aumentato dell’1,1% passando dal 34,74% al 35,85%.

L’analisi del Randstad Research sui posti vacanti anno su anno, per 16 settori economici, evidenzia soprattutto una forte variabilità. Durante la crisi economica 2008-2009, c’è stato un calo del tasso dei posti di lavoro non coperti in tutti i settori, ma la riduzione più forte è stata nei servizi dell’informazione e comunicazione (-0,55), nelle attività finanziarie e assicurative (-0,53) e nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (-0.98). Nel 2014-2015, invece, sono cresciuti soprattutto i posti vacanti dei servizi di informazione e comunicazione (+0,50) e nel 2016-2017 i servizi di alloggio e ristorazione (+0,8).

Nei 15 anni emerge, in particolare, una crescita dei posti vacanti nei servizi di informazione e comunicazione (+1,05) e nell’istruzione (+0,70), un evidente calo si registra nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, nella riparazione di autoveicoli e motocicli (-0,25) e nelle attività finanziarie e assicurative (-0,33). Confrontando la variazione tendenziale del Pil e la variazione del tasso dei posti vacanti per tre settori economici (servizi di alloggio e ristorazione, servizi di informazione e comunicazione ed attività finanziarie e assicurative), si nota che almeno graficamente la variazione del tasso dei posti vacanti anticipi una diminuzione o un aumento del Pil.