Gli italiani puntano sulla formazione a distanza  

Gli italiani puntano sulla formazione a distanza

Carlo Robiglio

Pubblicato il: 04/07/2019 14:37

Gli italiani puntano sulla formazione a distanza. A dirlo Cef publishing, azienda leader del settore che fa capo al gruppo Ebano, fondato e guidato dall’imprenditore di prima generazione Carlo Robiglio. Più di quarantamila corsisti in dieci anni, la maggioranza degli iscritti sono donne per il corsi in estetica e benessere (98%), sanità (97%), sociale (92%), animal care (76%), mentre solo per quello per cuochi attrae nello stesso modo uomini e donne.

Il gruppo Ebano, con 8 società controllate, 15 partnership produttive, più di 250 dipendenti e collaboratori, ha visto lievitare in sei anni i ricavi complessivi dell’800% e ha ricevuto a Milano nella sede di Borsa Italiana il premio Deloitte best managed companies, il riconoscimento rivolto alle aziende che si sono distinte per strategia, competenze, impegno verso le persone e performance.

Cef è leader di mercato in Italia nella progettazione, realizzazione ed erogazione di corsi professionali attraverso modalità fad e e-learning. Quota quarantamila è stata raggiunta e superata nei primi mesi del 2019, al termine del primo decennio di attività. E le iscrizioni continuano a susseguirsi, sono ormai quasi 41mila. Tra i docenti dei corsi lo chef stellato Antonino Cannavacciuolo per il corso ‘Cuoco professionista chefuoriclasse’ e il truccatore e imprenditore nel mondo della cosmetica Diego Dalla Palma per il corso ‘Professionista della bellezza e del benessere. percorso immagine’.

La formazione a distanza è utilizzata soprattutto da soggetti con un titolo di studio medio: diploma professionale o maturità. A seconda della tipologia di corsi, l’incidenza sul totale passa da un minimo del 26% a un massimo del 37% per la maturità e da un minimo del 29% a un massimo del 37% per il diploma professionale.

Non manca una fascia cospicua di corsisti in possesso di licenza media, così come, sul fronte opposto, una quota di laureati, con incidenza che sfiora il 10%. Quanto all’età dei corsisti, per almeno il 70-80% si tratta di soggetti dai 17 ai 45 anni. Con partecipazione complessivamente più folta per la fascia 26-35, mentre tra i più giovani (17-25) sono particolarmente seguiti (41%) i corsi dell’area animal care. Nella gran parte dei casi, destinatarie dei corsi di formazione a distanza sono donne. Accade in quattro delle cinque aree tematiche proposte: estetica e benessere, sanità, sociale, animal care, con l’unica eccezione della ristorazione.

Corsi come quello per ‘cuoco professionista chefuoriclasse’ attraggono in pari misura uomini e donne. La formazione a distanza è maggiormente diffusa nel Nord-Ovest (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia), con oscillazioni che, a seconda delle tematiche, vanno dal 36 al 39% degli iscritti complessivi. La ristorazione è anche una delle due aree, insieme a estetica e benessere, in cui i corsi registrano una frequenza pari ad almeno il 20% anche nelle regioni meridionali.

“La formazione a distanza è una realtà. Potrà diventarlo ancora di più se si porrà fine a un’anomalia: in tanti paesi la fad ha il riconoscimento pubblico e in Italia non ancora. Un anacronismo da superare nell’interesse della collettività, più ancora che di chi opera nel settore”, dice Carlo Robiglio, fondatore presidente e ceo del Gruppo Ebano, nonché presidente della Piccola industria di Confindustria, commentando i dati.

“Siamo orgogliosi – sottolinea – che i nostri corsi rappresentino un’occasione per cambiare lavoro, rimettersi in gioco professionalmente per così tante persone. E’ il segnale di come ci sia un’Italia fatta di persone che si rimboccano le maniche e che puntano sul lavoro e sulla formazione. La storia di Ebano ha radici profonde e ha inizio con l’idea, nata intorno ai primi anni novanta, di dar vita a una iniziativa imprenditoriale nel mondo dell’editoria e della cultura che potesse, in primo luogo, valorizzare la storia, le tradizioni e i valori di un territorio. La formazione continua insieme agli investimenti in ricerca e innovazione rappresentano i pilastri strategici per la nostra crescita”.

Ma il gruppo Ebano è impegnato anche a promuovere l’inclusione sociale. “Collaboriamo da anni con organizzazioni attive nel sel supporto di famiglie in cui sono presenti casi di autismo e altre disabilità”, spiega Robiglio. “Abbiamo inoltre sviluppato – ha ricordato – progetti formativi per i detenuti del carcere di Novara, e, insieme alla Caritas di Novara, iniziative di inclusione sociale di individui immigrati”.

Moda, studenti Ied tornano a sfilare ad Altaroma  

Moda, studenti Ied tornano a sfilare ad Altaroma

Un modello degli studenti Ied (Foto Ied Roma)

Pubblicato il: 04/07/2019 14:15

Una moda che vuole essere vissuta, indossata, toccata. È quella che gli studenti della Scuola di Moda Ied Roma presenteranno nell’edizione estiva di Altaroma, la kermesse che celebra la creatività emergente nella Capitale. Domani, venerdì 5 luglio, i migliori diplomati dei corsi in Fashion Design e Design del gioiello – selezionati da una giuria di qualità composta da esperti del settore e giornalisti – sfileranno con le loro creazioni nella cornice di PratiBus District (viale Angelico 52), mostrando il risultato di un percorso didattico durato tre anni. Uno studio che vuole superare i limiti dettati dall’inevitabile innovazione digitale, mediante un originale approccio alla manualità.

‘Touch me’ è un richiamo provocatorio, un invito a vivere la vita avvalendosi di tutti i sensi. “La felice combinazione tra alta sartoria e ricerca tecnologica ha dato vita a una selezione di progetti talmente intensa da poter essere sentita in profondità, anche senza poter essere toccata”, afferma il direttore Ied Roma, Laura Negrini.

I capi che i giovanissimi fashion designer Ied porteranno in passerella sono l’esito di un’inedita esplorazione della propria identità, celebrata attraverso la realizzazione sia di collezioni prêt-à-porter, sportswear e da sera, sia di accessori e gioielli dal design unico. Quello di ‘Touch me’ è, infatti, un mix esplosivo di tradizione e innovazione, uno spettacolo di forme e colori in cui nulla è lasciato al caso. A partire dalle particolari lavorazioni sui tessuti, fino ai tagli sartoriali e ai ricami, che incontrano armonicamente le nuove tecnologie.

“I nostri studenti si sono confrontati con il ritorno alla manualità, alla tradizione e alle lavorazioni artigianali senza dimenticare il supporto che hanno potuto trarre dalla tecnologia, che in ‘Touch me’ diventa un ulteriore stimolo per la creatività”, commenta Paola Pattacini, direttore Ied Moda Roma.

Nel corso della sfilata romana, l’Istituto europeo di design presenterà al pubblico del PratiBus District anche la capsule collection Parcae, realizzata dalle studentesse Andrea Luisa Berger e Cecilia Fefè (Fashion design Ied Roma) insieme a Rom Uzan (Fashion stylist Ied Firenze). Ispirandosi ai canoni estetici di armonia ed equilibrio della Grecia classica, che si materializzano in drappeggi misurati, pieghe profonde e soprattutto in uno studio geometrico di pesi e volumi, Parcae s’inserisce nel progetto ‘The Time is Now!’ incentrato sul tema della moda sostenibile, che Ied ha sviluppato in collaborazione con il Consorzio italiano implementazione Detox e Greenpeace Italia. Le creazioni di Berger, Fefè e Uzan arriveranno, dunque, sulle passerelle capitoline dopo il recente debutto in occasione di Pitti Immagine Uomo 96.

Ied Graduates Fashion Show 2019 arriva, inoltre, a poche settimane da un importante riconoscimento per l’Istituto europeo di design: l’inclusione nella classifica annuale ‘The Best Fashion Schools in the World’, elaborata dalla prestigiosa rivista ‘Business of Fashion’ (BoF), frutto di una selezione da parte del BoF Education Council, composto da 12 esperti nei campi dell’istruzione e della moda.

Italia-Russia: Camera Commercio, ‘imprenditori russi pronti ad acquisire aziende italiane’  

Italia-Russia, Camera Commercio: Imprenditori russi pronti ad acquisire aziende italiane

Vincenzo Trani, presidente della Camera di Commercio Italo-Russa (Foto sito Camera di Commercio Italo-Russa)

Pubblicato il: 03/07/2019 16:56

“Abbiamo una lista abbastanza lunga di imprenditori che sono interessati ad acquisire entro quest’anno delle imprese italiane”. E’ quanto racconta Vincenzo Trani, presidente della Camera di Commercio Italo-Russa, intervistato da Adnkronos/Labitalia, in vista della visita di domani di Vladimir Putin in Italia.

La Camera di commercio Italo-Russa è uno delle due istituzioni che sono riconosciute sia da governo russo che da quello italiano, insieme al Foro di Dialogo. “La Camera -spiega Trani- è costituita da 400 aziende, di cui 200 italiane e 200 russe. Ci sono aziende che sono tra le più grandi ma abbiamo anche un 50% di aziende, da parte italiana, che sono piccole e medie. Mentre da parte russa abbiamo solo grandi aziende. Abbiamo le banche, le principiali strutture operative”.

Secondo Trani, ci sono “tante storie” di acquisti da parte di imprenditori russi di imprese italiane, “dai più piccoli ai più grandi ed evidenti”. “Devo dire negli esempi di grandi operazioni di acquisti da parte di russi di imprese italiane tanti sono stati i casi di insuccesso – ammette – e spesso per una scarsa informazione, sulla realtà italiana stessa, sulle difficoltà normative, dell’acquirente russo che compra l’impresa italiana. E’ un tema su cui dobbiamo lavorare, perché gli insuccessi nel business sono un danno per tutti, per il sistema, perché gli investitori non investono più e la reputazione sul mercato crolla”.

Però, “nonostante i cattivi esempi di esperienze di imprese russe che hanno acquisito aziende nel nostro Paese e che non hanno dato la redditività attesa, ci sono molti casi di aziende di medio livello che iniziano a inserirsi sul mercato locale”, spiega Trani.

E per Trani “I dati commerciali ufficiali per il 2018 sono oggettivamente positivi rispetto agli anni 2014-2017 perché finalmente l’anno scorso l’export italiano verso la Russia è andato a crescere, abbiamo quasi 8 miliardi di euro, che sono generalmente generati dall’export di macchinari e apparecchiature di vario tipo”.

E, come spiega Trani, dopo macchinari e attrezzature nella bilancia del nostro export verso la Russia ‘pesano’ “abbigliamento, prodotti alimentari, prodotti chimici e farmaceutici e anche prodotti diciamo derivati dal prodotti e lavorati, come gomma e plastica”.

E Trani sottolinea che “le statistiche ufficiali ci fanno vedere solo i volumi diretti tra l’Italia e la Russia ma non dobbiamo dimenticare che gran parte dell’export viaggia attraverso Paesi terzi”. “Basti immaginare quanta produzione italiana viene esportata in Germania e poi dalla Germania riesportata in Russia come parte di un prodotto tedesco, o semplicemente rifatturata per motivi logistici o di opportunità commerciali. Chiaramente questa parte di business non la vediamo”, spiega.

Per quanto riguarda l’import dalla Russia, Trani sottolinea che “importiamo molto di più, 14 miliardi di euro, quindi quasi il doppio di quanto esportiamo, ma devo dire che gran parte delle importazioni sono nel settore dell’energia e poi quello dei legnami e poi comincia a incrementarsi il settore del pellame”.

“Se andiamo a guardare però -spiega- la ‘salute’ della nostra bilancia commerciale, quello che veramente guadagniamo, le imprese italiane guadagnano più dei russi per un motivo semplice: la marginalità che le imprese italiane hanno sulla produzione ed esportazione di macchinari e attrezzature è ovviamente molto superiore rispetto a quella che c’è sull’esportazione delle materie prime. Quindi il nostro export, per quanto più piccolo rispetto all’import, a noi genera -rimarca- più marginalità, tutta salute per le nostre imprese”.

Senza le sanzioni contro la Russia “si potrebbe fare sicuramente di più” negli scambi commerciali tra Italia e Russia. Lo sottolinea, intervistato da Adnkronos/Labitalia, il presidente della Camera di commercio Italo-Russa, Vincenzo Trani, in vista della visita del presidente Vladimir Putin in Italia.

Per Trani, “sono due gli effetti principali di queste sanzioni”. “Il primo, quello a mio parere più devastante, è un aspetto emotivo. Il fatto stesso che ci siano delle limitazioni commerciali, delle sanzioni, indipendentemente dal fatto che tocchino solo un settore specifico, un’azienda specifica, il fatto stesso della loro presenza crea una situazione generale emotiva negativa. Le banche che fanno le transazioni devono stare molto attente a verificare che non siano violate le sanzioni, gli operatori commerciali devono studiare a fondo gli effetti legali delle sanzioni per evitare di violarle e quindi si riduce la tranquillità nel fare business e quindi si riducono i volumi”, sottolinea Trani.

“Anche se sono -spiega- volumi generati da traffico non sanzionato, non coinvolto dalle sanzioni. Comunque, questa pressione psicologica è importante. Prima arriva la fine di queste sanzioni e meglio è per entrambi gli operatori, sia italiani che russi”.

Moda: arriva il ‘fashion renting’, noleggio vestiti griffati esplode anche in Italia  

Arriva il 'fashion renting', noleggio vestiti griffati esplode anche in Italia

Pubblicato il: 03/07/2019 16:44

Molte donne stenteranno a crederci, eppure esiste qualcosa di meglio dello shopping ed è persino meno stressante, più economico, più sostenibile e soprattutto più soddisfacente. Si chiama ‘fashion renting’, arriva dall’America, spopola in Cina e nel Regno Unito e recentemente sta esplodendo anche in Italia, dove promette di rivoluzionare il guardaroba degli abitanti del Bel Paese. Dopo anni di armadi che si chiudono a stento per i troppi capi, corse pazze in occasione dei saldi e scontrini folli, il mondo del fashion ha scelto un altro binario e lancia il contrordine: è giunto il momento di dire addio ai vestiti inutilizzati appesi a una gruccia per anni, svuotare il guardaroba e affidarsi al noleggio.

È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication per DressYouCan (dressyoucan.com), startup milanese protagonista del fenomeno ‘fashion renting’, su oltre 30 testate internazionali dedicate a tendenze e attualità con il coinvolgimento di un panel di esperti tra docenti universitari e influencer per indagare sulle nuove abitudini fashion degli italiani. A guidare la crescita del fashion renting è soprattutto il noleggio online che, secondo Allied Market Research, nel 2023 varrà la cifra record di 1,9 miliardi di dollari.

Un trend che non solo realizza il sogno di ogni donna di avere a propria disposizione un armadio pressoché infinito e indossare sempre il capo perfetto per ogni occasione, ma che rappresenta un antidoto al ‘fast fashion’, la tendenza che sta contribuendo a mettere in ginocchio la salute del Pianeta con la produzione eccessiva e indiscriminata di indumenti a basso prezzo ‘usa e getta’. Come riporta El País, infatti, negli ultimi 15 anni la durata dei capi di abbigliamento è diminuita del 36% e oggi i vestiti hanno una vita media inferiore ai 160 utilizzi, una situazione che genera ogni anno 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nella sola Unione europea.

“Con il fashion renting chiunque può realizzare il desiderio d’indossare capi d’alta moda per un’occasione speciale – spiega Caterina Maestro, fondatrice di DressYouCan – o semplicemente risolvere il quotidiano problema dell’outfit da ufficio, affidandosi completamente alle competenze di esperte fashion renter. Il noleggio di abiti rappresenta un asso nella manica per stupire con la propria eleganza nonché una perfetta soluzione per chi sogna un guardaroba illimitato che non alimenti sprechi e inquinamento. L’idea della nostra startup è l’esatto opposto della moda low cost: punta sulla qualità e rende l’abbigliamento di classe alla portata di tutti con prezzi accessibili e con un sistema di noleggio online e offline molto semplice che sta riscuotendo grande successo”.

Tra i principali vantaggi del fashion renting, c’è soprattutto quello di evitare lo stress che si genera ogni volta che si apre l’armadio e non si trova il capo perfetto con una conseguente riduzione di sprechi di tempo. Come riportato dal The Telegraph, infatti, le donne spendono in media quasi un anno della loro vita, più precisamente 287 giorni, a rovistare nell’armadio per scegliere il giusto outfit. Una ricerca che lascia spesso insoddisfatti perché, per dirla come la storica giornalista di moda statunitense Mignon McLaughlin, “le donne di solito amano quello che comprano, ma odiano i due terzi di ciò che è nei loro armadi”.

A questo si aggiunge che anche indossare di nuovo un vestito è per molte fonte di ansia: come racconta la rivista Business of Fashion, una donna su 2 prova frustrazione al pensiero di portare uno stesso outfit più volte di fronte ai colleghi. Una situazione alimentata anche dai social che spingono ad apparire sempre perfette, come dimostra uno studio della fondazione britannica Hubbub dal quale emerge che una donna su 3 considera un vestito vecchio dopo averlo indossato uno o due volte e che molte ritengono farsi fotografare due volte con lo stesso abito un vero e proprio passo falso.

Ma non solo per cerimonie o per stupire followers e colleghi, il fashion renting si dimostra particolarmente utile per vestire i più piccoli o nei momenti di transizione della propria vita come durante la gravidanza, quando il corpo di una donna cambia in fretta e richiede di mese in mese abiti diversi. Il noleggio di abiti e accessori è un trend la cui crescita è confermata anche dagli esperti accademici come Giovanni Maria Conti, docente di Storia e Scenari della Moda presso il Politecnico di Milano. “Il fashion renting – sottolinea – rappresenta un nuovo modo di consumare soprattutto per Generazione Z e Millennial, i target più attenti alla sostenibilità. Da tre anni a questa parte, il concetto di sharing si è allargato e andiamo verso un consumo che non è più originato dal possesso, ma dalla possibilità di poter utilizzare, anche solo per poche ore, un oggetto: probabilmente non è più il tempo di possedere, ma di potersi permettere un’esperienza”.

Noleggiare gli abiti permette anche di essere più felici, come dimostrano gli esperti. Per anni lo shopping è stato considerato, infatti, quasi una sorta di strumento terapeutico, ma attualmente i consumatori sembrano preferire le esperienze agli acquisti di beni materiali. È iniziata infatti l’era dell’experience economy, come riporta Cnbc, nella quale si investe in esperienze come viaggi o concerti anziché in vestiti, gioielli o accessori. Supporta questa filosofia anche la ricerca degli psicologi americani Amit Kumar, Thomas Gilovich e Matthew Killingsworth, la quale dimostra che, mentre le persone tendono a sentirsi frustrate prima di un acquisto programmato, quando spendono il loro denaro in un’esperienza si sentono felici.

A differenza dell’acquisto di numerosi abiti dopo attese ai camerini e code alla cassa, il noleggio è una vera e propria esperienza: grazie alla preziosa assistenza delle nuove figure professionali delle ‘fashion renter’ è possibile farsi guidare e consigliare nella scelta del capo, adattarlo al proprio corpo con piccole modifiche sartoriali e infine sfoggiare un abito da sogno, sentendosi quasi un’altra persona.

Questo nuovo trend è amato anche dalle influencer come Marie-Loù Pesce (fashioninthemoonlight.com): “Ricevere direttamente a casa o nella location dell’evento il proprio vestito rende tutto più facile, perché spesso si parla di abiti di un certo valore oltre che volume e in questo modo non si rischia di sporcare, stropicciare o rovinare il capo. Negli anni con il mio lavoro ho accumulato molti abiti, per questo ho deciso di iniziare a noleggiarli in occasione di grandi eventi così da evitare di aumentare il numero di vestiti indossati solo una volta nella vita appesi nell’armadio”.

Concorda anche Pamela Soluri (tr3ndygirl.com): “Grazie al fashion renting l’alta moda non è più un’utopia e noi fashion victim possiamo vivere in qualsiasi momento una magnifica Haute Couture Experience. È anche la nuova frontiera del risparmio e un’intelligente soluzione all’eterno problema femminile del dress code nelle occasioni speciali, dove la gioia iniziale dell’invito all’evento lascia spazio al panico che assale quando non si sa cosa indossare”.

L’ultimo aspetto da analizzare, ma non meno importante, è che il fashion renting permette di ridurre l’inquinamento. Acquistare meno capi d’abbigliamento è oggi fondamentale per salvaguardare il Pianeta dal momento che, avvisa il The Guardian, se nei prossimi anni non ci sarà un cambio di passo, di qui al 2050 l’industria del tessile sarà responsabile di un quarto del consumo del carbon budget, causando un aumento della temperatura di ben 2°C. Parola chiave sostenibilità, dunque, che per DressYouCan si traduce anche in una maggiore attenzione nel delivery: le consegne vengono effettuate a Milano in collaborazione con TakeMyThing, un servizio di pony sharing eco friendly che permette di ridurre le emissioni di CO2.

Costruire stand fieristici diventa professione riconosciuta 

Costruire stand fieristici diventa professione riconosciuta

Pubblicato il: 02/07/2019 16:14

L’Emilia-Romagna è la prima regione in Italia a riconoscere (con la delibera n. 751 del 20 maggio scorso) la nuova qualifica di ‘operatore al montaggio/smontaggio di strutture temporanee afferente l’area professionale di progettazione e costruzione edile’. Lo comunica Ieg (Italian Exhibition Group). Viene così riconosciuta ufficialmente la specificità del mestiere di chi costruisce gli stand degli eventi fieristici e congressuali: squadre specializzate che garantiscono, a volte a tempo di record, la realizzazione delle strutture di cui sono fatte le fiere.

Il tema della formazione, qualificazione, inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è centrale per Italian Exhibition Group, leader nel nostro paese nell’organizzazione di eventi fieristici. E Ieg si è affidata alla Corporate Academy Città dei Maestri che ha preso vita all’interno della Cooperativa OB Service, specializzata nel settore fieristico e presieduta da Giordano Pecci, nata con la partnership industriale della stessa Ieg, attraverso la società del Gruppo Prostand, azienda ai primi posti in Italia e in Europa nel settore degli allestimenti, che è ne partner sostenitore. A coordinare il progetto, per oltre un anno, Karen Visani project manager della Corporate Academy, che sottolinea come con l’approvazione della regione vengano sanciti standard professionali omogenei per questa professione, che in passato non era normata.

Sono già 21 i montatori – in grande maggioranza giovani, formati e qualificati professionalmente dalla Città dei Maestri – in poco più di sei mesi di attività, numero destinato a crescere nei prossimi mesi. Il riconoscimento regionale di questi giorni può costituire un vero e proprio ‘apripista’ per l’intero settore, nell’ottica di un futuro riconoscimento di una costellazione di ruoli specifici e importanti per l’intero mondo delle fiere. Un primo passo anche verso il raggiungimento di obiettivi ancora più ambiziosi come il riconoscimento professionale anche a livello nazionale ed europeo.

Marco Neri nuovo presidente di Confagricoltura Toscana  

Marco Neri nuovo presidente di Confagricoltura Toscana

Marco Neri, presidente di Confagricoltura Toscana (Foto Confagricoltura)

Pubblicato il: 02/07/2019 16:02

Marco Neri, classe 1955, maremmano, titolare dell’azienda San Ottaviano di Monterotondo Marittimo, è il nuovo presidente di Confagricoltura Toscana, l’associazione di categoria che riunisce 6 mila imprenditori agricoli toscani. Neri, che subentra a Francesco Miari Fulcis, è stato eletto all’unanimità dall’assemblea dei soci della Federazione regionale degli agricoltori della Toscana che si è svolta questa mattina a Castiglione della Pescaia, alla presenza del direttore generale Francesco Postorino: Il suo mandato alla guida del ‘sindacato’ degli imprenditori agricoli toscani durerà tre anni. Giuseppe Bicocchi e Luca Giannozzi sono invece stati eletti vicepresidenti ed è stato confermato il collegio sindacale.

Chiare le priorità del nuovo presidente di Confagricoltura Toscana: portare le esigenze dei territori periferici al centro del processo decisionale; combattere la burocrazia; difendere l’enorme patrimonio agroalimentare toscano dalla guerra dei dazi scatenata dal presidente Usa Donald Trump sui mercati internazionali.

“Serve un collegamento stretto -ha detto il neopresidente di Confagricoltura Toscana- fra la provincia e la regione affinché le istanze dei territori vengano portate nelle sedi istituzionali con forza e vigore. Soltanto così, con un’azione sindacale che parte dal basso, potremo arrivare ad ottenere risultati concreti nell’interesse dei nostri associati”.

“Lavoreremo per snellire la burocrazia della quale gli agricoltori sono vittime e per ridurne i costi”, ha aggiunto Marco Neri, che ha poi allargato lo sguardo alle questioni internazionali che pesano sulla testa degli imprenditori agricoli toscani: “L’Italia ha il primato europeo delle specialità Dop/Igp che sono 297, dei vini Doc/Docg che sono 415 e delle aziende biologiche che sono 60 mila: una posizione di leadership continentale nella quale la Toscana fa la parte del leone. Il valore dell’agricoltura toscana è molto significativo sia in termini di contributo alla crescita, all’occupazione e all’imprenditorialità giovanile che in termini di apporto alla notorietà del made in Italy nel mondo”.

“Ma il nostro comparto è pesantemente minacciato: proprio oggi il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha proposto di allungare ulteriormente la lista dei prodotti agroalimentari italiani che saranno colpiti dai dazi commerciali come ritorsione per i sussidi europei ad Airbus, il consorzio europeo dell’aviazione. Gli agricoltori toscani non possono rimanere stritolati in questa morsa: chiediamo con forza alle autorità nazionali e comunitarie di adoperarsi perché questa assurda guerra commerciale si fermi”.

Nato a Follonica il 25 agosto 1955, Marco Neri è laureato in giurisprudenza e ha due figli, Giulio e Francesco, che lavorano nelle aziende di famiglia sotto la supervisione del padre. Neri ha iniziato a lavorare in un’azienda di famiglia a San Vincenzo (Livorno) nel 1978 quando era ancora studente, impegnandosi nella coltivazione di olivi e cereali e nell’allevamento di mucche chianine. Fin da allora è in Confagricoltura. Già nel 1984 avviò l’attività agrituristica a San Vincenzo per poi riportare alla produttività, nel 1988, un’altra azienda agricola di famiglia in Maremma, consegnata all’abbandono: è il podere San Ottaviano, 400 ettari a biologico, dove produce birra e gestisce l’ospitalità dei turisti.

Capodanno: Fipe, cenone al ristorante per oltre 6 milioni di italiani  

Fipe, cenone al ristorante per oltre 6 milioni di italiani

Pubblicato il: 31/12/2018 12:35

I dati confermano che sempre più gli italiani decidono di celebrare l’ultimo dell’anno fuori casa. Saranno oltre 6,3 milioni (100.000 unità rispetto al 2017) a cenare, con o senza veglione, in uno dei 93.000 ristoranti (il 78,4% del totale) aperti per la notte di San Silvestro. L’86% dei ristoratori si dice ottimista sulla possibilità di riempire il locale. Lo rileva la Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi Confcommercio. Nove ristoranti su dieci puntano a offrire solo la cena per la notte di Capodanno, mentre il restante 10% metterà a punto per i propri clienti anche un vero e proprio veglione con spettacoli dal vivo e musica.

Per quanto riguarda i prezzi: per il cenone occorrono in media 80 euro a testa, mentre per cenone più veglione se ne spenderanno fino a 94 euro. La spesa complessiva stimata per i festeggiamenti della notte di S. Silvestro è di 507 milioni di euro. “I dati che abbiamo raccolto – ha dichiarato Giancarlo Deidda, vicepresidente Fipe – mettono le nostre attività al centro della festa più lunga dell’anno e della voglia di convivialità degli italiani. Circa 600 mila persone saranno al lavoro per permettere a tanti di festeggiare prestando la massima attenzione alle condizioni di sicurezza perché quella del 31 deve essere una bella notte. I pubblici esercizi restano un modello di ospitalità verso cui italiani e stranieri manifestano sempre grande apprezzamento”.

Per brindare al nuovo anno nei ristoranti si stapperanno 1,8 milioni di bottiglie tra spumante e champagne. Le bollicine nostrane avranno l’esclusiva del brindisi nel 66,7% dei locali e nel 28,1% in condivisione con lo champagne. Solo nel 5,3% dei locali le bollicine francesi saranno da sole sui tavoli dei ristoranti.

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Moda: parte da Loreto progetto per valorizzare manifatturiero ‘made in Marche’  

“Puntiamo esclusivamente – spiega Tondini – sulla qualità mantenendo la produzione su quantitativi per il momento molto bassi. I capi vengono disegnati tutti a Loreto nel nostro atelier e poi, per la lavorazione, affidati a piccoli laboratori del territorio dove ancora si respira aria di manifattura artigianale, dove cioè si lavora con i metodi tradizionali per garantire ai nostri clienti, sparsi su tutto il territorio nazionale, la vera qualità che dovrebbe sempre esserci dietro alla dicitura made in Italy”.

Il debutto di ‘Giorgia’ sulle passerelle è atteso per la primavera, ma intanto la prima collezione firmata dalla stilista lauretana è stata lanciata sul mercato proprio a ridosso del Natale, totalizzando, complice la febbre da regali, un numero di ordinativi sopra le previsioni. Si tratta di 3 mise invernali da donna, fra cui spicca ‘Sveva’, un innovativo completo in pura lana merinos cucito a mano.

Se la stilista è giovane, la strategia di comunicazione del brand non è da meno. ‘Giorgia’ comunica attualmente solo sui social media, dove è presente con profili Facebook e Instagram, a cui deve far riferimento la clientela interessata a stabilire un primo contatto con l’atelier.

Anche il packaging vuole la sua parte. Per questo, coerentemente con la sua pronunciata identità territoriale, ‘Giorgia’ consegna i suoi abiti in scatole firmate dallo studio di Kube Design di Osimo, studio specializzato nella preparazione di allestimenti in carta e cartone e arredamenti completamente riciclabili.