“Dunque comprendere la provenienza dei reperti -argomenta Fanti- è il primo passo per poterli recuperare” ed i fossili della Mongolia “sono altamente radioattivi, particolarità che li rende per questo riconoscibili”. “Riuscire a dimostrare la esatta provenienza dei reperti consente di recuperali e restituirli allo Stato di provenienza e alla scienza” prima che vengano messi all’asta da “mercanti senza scrupoli e finiscano nelle case di una star di Hollywood” o di qualche miliardario collezionista.
La spedizione nel deserto del Gobi è iniziata nel 2016 e da allora, riferisce il giovane scienziato italiano di 37 anni, “abbiamo testato la radioattività delle ossa fossili di dinosauri ritrovate in Mongolia, verificando che è altissima”. Ciò è dovuto, spiega, “ai minerali, alle rocce di quel territorio. E questa radioattività è come una ‘impronta digitale’, rende cioè riconoscibile il reperto rendendone illegale il commercio per le leggi del Paese asiatico da cui proviene”.
Fanti rimarca il “grave rischio di non venire mai a conoscenza di specie di dinosauri vissute milioni di anni fa” e vendute al mercato ‘nero’. “Il Velociraptor è un dinosauro riconducibile solo alla Mongolia quindi facilmente identificabile con l’analisi della radioattività assorbita dalle ossa fossili. Ma non è così per tutti i reperti, sarà importante applicare questo metodo e confrontare i fossili per capirne la provenienza”. Infine, taglia corto lo scienziato, “ci sono specie ancora sconosciute e se questi resti fossili vengono rubati e rivenduti illegalmente se ne perderà traccia per sempre”.