Coronavirus, le startup al governo: “Cura Italia si dimentica di noi” 

Coronavirus, le startup al governo: Cura Italia si dimentica di noi

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Pubblicato il: 01/04/2020 15:01

Il decreto Cura Italia, che dovrebbe supportare le aziende e i liberi professionisti nell’affrontare questa crisi che da sanitaria è diventata anche economica, ma che è già stato fortemente criticato, come riferisce notizie.it non tiene conto della realtà delle le Startup e le PMI innovative. Eppure proprio queste realtà, quasi 11.000 che occupano oltre 56.000 persone, si stanno rivelando particolarmente utili per far affrontare la quarantena nel modo migliore.

Per salvare queste realtà imprenditoriali, con un carattere fortemente innovativo, e i loro dipendenti, Fausto Boni, Presidente di VC Hub Italia, l’associazione del Venture Capital Italiano, ha deciso di farsi portavoce di un appello nei confronti del Governo.

Perché le Startup sono maggiormente a rischio in questa crisi?

«Le Startup sono società che, quasi sempre, vivono sul filo del rasoio, perché sono nate da poco, perché investono in ricerca e innovazione e quindi non hanno sufficienti fondi nel cassetto per poter far fronte a una crisi economica come quella che sta nascendo dall’emergenza Coronavirus».

Perchè le misure previste dal decreto Cura Italia non riguardano le Startup?

«Innanzitutto il decreto si rivolge soprattutto ai settori maggiormente colpiti dalla crisi, ad esempio il turismo. Pertanto le società che non rientrano in queste categorie non avranno un supporto sufficiente a far fronte alla crisi.

Inoltre il decreto si concentra unicamente su società che realizzano fatturato, ma molte Startup stanno investendo sullo sviluppo di soluzioni altamente innovative con limitato fatturato, per cui dar loro solamente un vantaggio sul versamento dell’Iva o sulla riduzione dei costi fissi non serve a nulla.

Eppure, alcune di esse, quali le società di biotecnologie o medicali, saranno quelle che, magari tra qualche mese, potranno trovare la soluzione per risolvere l’emergenza Coronavirus».

Molte sono in realtà le Startup che già si stanno rivelando particolarmente utili in questa difficile situazione.

«Certo! Il primo esempio è “Supermercato24”, società che fa delivering a partire da tutti i supermercati italiani, soprattutto in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e che oggi permette a tutte quelle persone che in questo momento sono bloccate a casa di fare la spesa online.

Un altro esempio simile è Cortilia, che offre un servizio di delivering di frutta e verdura a km zero. Oppure Weschool, che oggi permette di fare didattica a distanza a tutte le scuole italiane.

Poi ci sono le piattaforme di telemedicina, che permettono la comunicazione tra malato e medico senza doversi necessariamente muoversi da casa: ad esempio “Pagine Mediche” e “Pazienti.it”».

Quali sono, quindi, i provvedimenti da adottare in favore delle Start up?

«Abbiamo stilato una lista di proposte, grazie alle discussioni con le stesse Startup.

Coprire i costi fissi, come i costi legati al personale.

Creare un fondo che permetta alle società di ricevere immediatamente fondi, come un prestito garantito dallo Stato a cui possano attingere facilmente in questi mesi difficili.

Il rimborso dell’Iva per le società innovative.

Il credito di imposta sulla ricerca, visto che molte Start up investono la loro cassa in ricerca.

Estensione di un anno dei contratti a tempo determinato in scadenza e dei periodi di prova dei neo-assunti.

Un bando ad hoc che possa devolvere finanziamenti nei confronti di società o progetti nell’ambito dell’emergenza (diagnostica, monitoraggio e sistemi di delivering alternativi).

Una moratoria temporanea dei finanziamenti per le linee di credito.

In ultima istanza un aggiornamento degli incentivi fiscali, in modo che le società che non ce la faranno possano essere almeno acquisite dai grandi gruppi, così che tutte le innovazioni sviluppate negli ultimi anni non vengano perse».

All’estero i governi si sono già mossi per sostenere le Start up?

«Sebbene in altri paesi l’emergenza sia partita più tardi, in Francia, Gran Bretagna, Olanda e Germania hanno preso subito provvedimenti verso le Startup e la maggior parte dei provvedimenti adottati vanno nella stessa direzione di quelli che noi chiediamo al Governo italiano».

Questo ritardo dell’Italia deriva da un diverso approccio politico al mondo delle Startup?

«In Italia il mondo della Startup è stato sempre ai lati dell’imprenditoria: gli investimenti in Italia sono piccolissimi rispetto a quelli degli altri Paesi europei, circa un decimo. Quindi queste esigenze sono sentite meno dalla politica italiana rispetto a quelle delle altre piccole e medie imprese.

È anche vero che negli ultimi 4 o 5 anni, sotto la spinta di di FII (Fondo Italiano Investimentoi, ora parte di CDP) e di EIF (European Investment Fund), c’è stata un’iniziativa diretta agli investimenti in Startup e quindi è un trend che sta crescendo. Il Fondo Nazionale Innovazione, annunciato nel 2019, andava in questa direzione, ma se non facciamo nulla oggi le società moriranno. Bisogna dare loro l’ossigeno per superare questo momento».