Pescatori di Mazara, oltre 100 giorni in Libia fra ricatti e diplomazia 

Pescatori di Mazara, oltre 100 giorni in Libia fra ricatti e diplomazia

Fotogramma /Ipa

Pubblicato il: 17/12/2020 12:55

Pescatori di Mazara finalmente liberi. Dopo più di 100 giorni bloccati in Libia. Era il primo settembre scorso quando due pescherecci italiani, di base al porto di Mazara del Vallo, venivano sequestrati al largo della Libia, a 35 miglia da Bengasi, dalle forze al comando del generale Khalifa Haftar. Tra i 18 membri dell’equipaggio, otto italiani. L’accusa? Si è fatto riferimento a una presunta violazione della “zona militare” dichiarata dal fronte Haftar nel tratto di mare in cui sono stati bloccati i marittimi.

“I nostri pescatori sono liberi – ha appena annunciato con un post su Facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dopo le notizie sulla missione a Bengasi con il premier Giuseppe Conte – Fra poche ore potranno riabbracciare le proprie famiglie e i propri cari”. Il titolare della Farnesina dice “grazie all’Aise (la nostra intelligence esterna) e a tutto il corpo diplomatico che hanno lavorato per riportarli a casa”.

“Un abbraccio a tutta la comunità di Mazara del Vallo – scrive ancora – Il Governo continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione della Libia. E’ ciò che io e il presidente Giuseppe Conte abbiamo ribadito oggi stesso ad Haftar, durante il nostro colloquio a Bengasi. Viva l’Italia”.

Il fermo dei marittimi era avvenuto, secondo alcuni non a caso, all’indomani di una visita in Libia del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che diversamente da altre volte, si era recato solo a Tripoli e non anche a Bengasi per incontrare Haftar. Circostanza questa che aveva fatto pensare a una sorta di ‘ricatto’ all’Italia.

A metà ottobre il direttore del Dipartimento della guida morale dell’autoproclamato Esercito libico (Lna), Khaled Al-Mahjoub, accusava i pescatori di aver “sconfinato nelle acque territoriali libiche”.

La loro storia si è intrecciata con quella di quattro giovani libici partiti nel 2015 da Bengasi con il sogno del mondo del pallone e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti. Sui loro casi si attende la Cassazione. Era stato per primo un sito libico a mettere in relazione le vicende dei quattro giovani con quella dei marittimi.

Per settimane i familiari dei pescatori hanno portato avanti un sit-in davanti a Montecitorio. “Non ho dimenticato i nostri pescatori che sono in Libia, ce la stiamo mettendo tutta e continueremo a lavorare”, diceva ieri nel corso di una diretta Facebook il ministro degli Esteri, parlando di un “grande lavoro di mediazione”.

“Sappiamo che quello dei pescatori italiani è un problema umanitario e vorremmo vederli tornare a casa molto presto”, aveva detto a inizio mese, al Forum Med, il vice presidente del Consiglio presidenziale libico, Ahmed Maitig, parlando al contempo di “questioni legali” da risolvere e rilanciando l’accusa di ingresso “illegale” nelle acque libiche. “Sono sicuro – aggiungeva – che questi problemi saranno risolti molto presto dalle due parti”.

Da anni la Farnesina sconsiglia di pescare nelle acque dove si è verificato il sequestro di pescherecci. “La Libia ha dichiarato nel 2005 una zona di protezione della pesca su un’area di mare estesa fino a 74 miglia dalla propria costa e dalla linea che chiude idealmente il golfo della Sirte – si legge sul sito viaggiaresicuri.it – In conseguenza di tale atto le autorità libiche applicano in maniera rigida misure sanzionatorie nei confronti delle imbarcazioni straniere impegnate in attività di pesca in detta area di mare che si concretizzano, frequentemente, nell’intercettazione, sequestro e detenzione dei pescherecci stranieri e dei loro equipaggi da parte delle autorità libiche e delle milizie locali. Sono state parimenti applicate consistenti sanzioni pecuniarie, oltre a provvedimenti di confisca delle imbarcazioni, delle attrezzature di pesca e dell’eventuale pescato”.