“La richiesta di perdono di Emanuele Filiberto sta agli ebrei come quella di Karol Wojtyla sta agli errori degli uomini di Chiesa“. E’ il pensiero del giornalista e saggista cattolico Maurizio Scandurra che dialoga con l’Adnkronos alla vigilia della Giornata della Memoria, commentando le reazioni scatenatesi attorno alla lettera indirizzata dall’erede di Casa Savoia alla comunità ebraica di Roma alla quale ha chiesto scusa a nome della sua famiglia per le scelte fatte dal bisnonno, Vittorio Emanuele III. “Suscita vivo dispiacere la reazione delle comunità ebraiche di fronte alle scuse di Emanuele Filiberto – rileva Scandurra – Nel Vangelo di Matteo la figura del Signore Gesù Cristo sconvolge i cardini e al contempo riscrive i confini del perdono cristiano, amplificandone la portata da sette a settanta volte sette, in maniera smisurata rispetto all’Antico Testamento. Anche l’aramaico antico annovera, tra i propri capisaldi ispiratori, proprio quell’’Ahébu Labuheld Ba Baicùm’: ama il tuo nemico proprio come te stesso. La sfida più difficile per ogni uomo. Ma anche la più attuale, data la situazione in atto. Scusare è umano, perdonare – scandisce il giornalista – è divino“.
“Quando il 12 marzo del 2000 Wojtyla organizzò la ‘Giornata del perdono’ chiedendo pubblicamente ‘urbi et orbi’ scusa per gli errori commessi da uomini di Chiesa nell’arco di duemila anni – riporta alla mente Scandurra – fu uno choc anche per molti cattolici. Ma non certo per quelli che seppero cogliere senza dubbio alcuno la grande opportunità che quel perdono rivelato offrì alla Chiesa, fortificandola nella credibilità del suo ruolo di ‘Mater et Magistra’. Accentuando così, di fatto, il suo anelito innato alla ricerca della Verità anche nelle cose umane”. Anche a Emanuele Filiberto, secondo il giornalista, “va riconosciuto di aver guardato in faccia una scelta familiare bruciante, sanabile magari proprio attraverso l’incontro con la memoria, un fatto collettivo, che va oltre l’individuo, oltre i Savoia. Un fatto che domani siamo chiamati a onorare tutti insieme come comunità umana. Ricordo e memoria, infatti, sono due vocaboli di significato analogo ma diversi, legati però da una profonda combinazione relazionale biunivoca”.
“La prima – analizza Scandurra – dal greco ‘mimnésco’, indica un’attività della mente collegata a una precisa esigenza e a un valore anche fortemente etico, ovvero la facoltà di mantenere in vita i contenuti del passato. Esiste nella tradizione classica una divinità della Memoria, chiamata Mnemosyne, madre delle nove muse, come a intendere che le arti hanno il compito di perpetuare la bellezza nel tempo. La cultura dell’età contemporanea ha persino battezzato una scienza, la Mnemotecnica, atta a preservare nell’uomo ai più alti livelli la facoltà di ricordare. E il vocabolo ‘memoria’ è confluito nel lessico informatico a designare una funzione specifica del computer”.
Mentre la parola ‘ricordo’, continua la sua analisi Scandurra, è “figlia del latino ‘recordari’, verbo composto dal prefisso ‘re’ e dalla radice ‘cor’, che sta per ‘richiamare al cuore’, poiché si riteneva che la memoria risiedesse in quell’organo vitale. Un termine attinente a un differente campo semantico, quello dei sentimenti più che della ragione, decisamente individualistico e soggettivo”.
Ma le differenze non sono distanze. E così come ricordo e memoria si toccano e partecipano alla formazione della collettività che siamo, così accade, secondo Scandurra, nel rapporto fra globale e locale: “In un mondo chiamato a rideterminarsi dalle ceneri ancora ardenti di una pandemia inaspettata – riflette il giornalista – tornano utili le parole di Zigmunt Bauman: ‘Think global, act local‘, pensare globale e agire locale. Il filosofo e sociologo polacco ha saputo cogliere per primo l’inadeguatezza del termine globalizzazione per definire le nuove dinamiche dell’economia, le cui relazioni si sono moltiplicate e intrecciate tra loro in tutto il globo, con notevoli conseguenze per Paesi, aziende e persone. Nondimeno, in queste connessioni, ci si è a lungo scordati di considerare l’influenza che le proprie radici hanno inevitabilmente su rapporti, scambi e transazioni, accantonando spesso peculiarità e particolarità storiche dell’ambito in cui si vuole operare”.
“In quest’ottica – chiosa il giornalista cattolico – ‘memoria’ e ‘ricordo’ si fanno pertanto strumenti per vincere le sfide quotidiane dei mercati e della concorrenza globale. Il solo modo per creare prodotti e offrire servizi che non si snaturino. Due termini congiunti che al tempo del Covid significano soprattutto opportunità preziosa di ritorno primigenio e consapevole agli elementi caratterizzanti di una civiltà e di un popolo, in un contesto di recupero dei tratti distintivi di ciò che definisce e determina la base della propria identità, alla stregua di una ricetta vincente che sa porre l’accento sulle proprietà organolettiche di un alimento. Per costruire così una nuova armonia nella conciliazione delle diversità, e fare di una sana cultura delle differenze il presupposto solido, fondato e fondante su cui erigere il mondo nuovo pronto a scaturire dalle rovine dell’epidemia in corso”.