Coronavirus, la lettera: “Ammalato a 20 anni, ringrazio i medici” 

Coronavirus, la lettera: Ammalato a 20 anni, ringrazio i medici

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Pubblicato il: 24/03/2020 17:08

“Mi chiamo Gabriele Beccaria, ho vent’anni, e mi sono ammalato di Covid-19“. Inizia così la lettera che uno studente universitario ha inviato a ‘Il Cittadino di Lodi’ per raccontare la sua esperienza di “giovane, forse troppo giovane, italiano contagiato”. Una sorta di diario che inizia la mattina del 21 febbraio scorso quando si scopre che il famigerato virus, fino a qualche ora prima relegato a 8700 chilometri di distanza, in Cina, si trova ora a Codogno, “ad una manciata di chilometri da Lodi, cioè da me”. I primi sintomi compaiono il 3 marzo.

“Febbre alta e tosse sarebbero di lì a poco diventate mie perniciose compagne di vita, di quelle che sai di dover stare attento e che invece cerchi di allontanare con una certa saccenza indotta non solo dai vani tentativi di Tachipirina 1000, che oltre a far sudare ti illude di poter sconfiggere il male, ma anche dall’innocenza che può manifestare un’apparentemente mansueta bustina di Oki, pronta invece a scombussolarti lo stomaco (…). Le mie giornate oscillano così tra i due medicinali, pronti a lusingarmi da una parte e a sconfortarmi dall’altra: uno schifo”, scrive l’universitario.

Le condizioni peggiorano l’11 marzo quando “al risveglio dal sonnellino pomeridiano, io ed i miei immancabili 40 gradi di febbre fatichiamo a respirare. Tutto ciò mi agita e decidiamo di chiamare il 118. Dopo due ore eccomi sdraiato su un lettino in pronto soccorso con le braccia bucate, le narici ossigenate, le dita tremanti e la bocca sbiascicante. Avendo capito che mi sarebbe toccato passare la notte su quella specie di letto (più una sdraio, in realtà, a causa dei miei 192 centimetri), mi metto l’anima in pace e, in botta da paracetamolo, crollo”, prosegue nel suo racconto. “Ci vogliono tre giorni di febbre alta affinché questa passi del tutto, e qualche altro giorno per guarire dagli altri malori. È durante il mio secondo giorno di ricovero che arriva la notizia della positività del tampone. Ormai non posso farci più niente, e le mie giornate passano così tra una flebo, una pastiglia e una visita. Sono costretto ad almanaccare nella mia testa pensieri che mi tengano impegnato”, scrive lo studente di Lettere.

“Nel paese più bello al mondo ho trovato degli angeli che mi hanno aiutato a guarire, mettendo a rischio la loro stessa salute, che mi hanno curato prima con l’amore nei loro gesti e poi con le medicine nelle loro mani. Devo dire grazie a qualsiasi persona impegnatasi nel risolvere questa epidemia, siete oggi quello che vorrò leggere e studiare tra qualche anno nelle Letterature”, aggiunge.

“La bellezza salverà il mondo e il nostro Paese, finita la minaccia, ne avrà ancora di più. Grazie. Grazie a tutti i medici, infermieri, operatori sanitari e chi più ne più ne metta, grazie a tutti coloro che mi sono stati vicino sia a Lodi che a Sant’Angelo”, firmato Gabriele Beccaria.