Coronavirus, dal ‘business as usual’ al ‘sono positivo’: la nemesi di Johnson 

Coronavirus, dal 'business as usual' al 'sono positivo': la nemesi di Johnson

(Afp)

Pubblicato il: 27/03/2020 16:35

di Marco Liconti

C’è chi parla di nemesi, chi si lancia in inqualificabili commenti online, chi si limita a dire ‘io l’avevo detto’. Sui social media inglesi, ma non solo, la notizia che il premier Boris Johnson è risultato positivo al coronavirus per molti è un segno del destino, per altri è la conferma che la strategia di ‘BoJo’ contro il Covid-19 era tutta sballata, per altri ancora è semplicemente un dato statistico.

Prima di ordinare con una repentina inversione a U il ‘lockdown’, la risposta al Covid-19 del governo britannico era stata una via di mezzo tra il ‘metodo Bolsonaro’ – il virus poco più di un’influenza e colpisce solo gli anziani – e quello (fino ad ora) della Svezia – qualche blando invito al telelavoro, stop ai grandi assembramenti, ma per il resto ‘business as usual’.

Downing Street, affiancato dal Chief Medical Officer Chris Whitty e dal Chief Scientific Officer Patrick Vallance aveva messo a punto una strategia in quattro fasi: contenimento-rallentamento-ricerca-mitigazione. Erano i giorni in cui si parlava dell'”immunità di gregge” contro il virus: salvaguardare soprattutto gli anziani, i più esposti, lasciare che gran parte della popolazione si infetti e si immunizzi.

La teoria ha però bisogno di un vaccino per essere verificata e la risposta britannica, mentre l’Italia era già in lockdown e altri Paesi si accingevano a fare altrettanto, veniva giudicata un pericoloso esperimento sociale, un azzardo. Un modo per continuare a far girare l’economia in piena Brexit, in una fase cruciale della storia britannica, a pochi mesi dall’addio definitivo all’Europa.

“Abituatevi a perdere i vostri cari prima del tempo”, è stata una delle frasi più criticate e analizzate di quelle pronunciate da Johnson, con ineluttabile fatalismo, mentre pub, ristoranti, negozi e quasi tutto il resto continuavano ad essere affollati come al solito. La scommessa è durata pochi giorni. A mala pena si è arrivati alla fase di ‘rallentamento’ che il governo ha cambiato completamente direzione di marcia.

Più che le notizie e le immagini che giungevano dall’Italia e via via dal resto d’Europa, a far cambiare idea a Johnson è stato un modello matematico del Covid-19 Response Team dell’Imperial College di Londra, consulente del governo. Lo stesso modello che, secondo alcune ricostruzioni, avrebbe spinto anche Donald Trump a cambiare radicalmente il suo atteggiamento.

La strategia messa a punto dagli esperti dell’Imperial College prevede due fasi: “mitigazione”, nella quale l’obiettivo è principalmente rallentare l’impatto del virus; e “soppressione”, che punta a ridurre il tasso di trasmissione del virus in maniera così drastica che ciascun caso possa portare a meno di un’ulteriore infezione e la malattia si blocchi. In breve, la risposta cinese.

Senza efficaci misure di “mitigazione”, secondo il modello dell’Imperial College, l’80% della popolazione verrebbe infettata, con circa 510mila morti nel solo Regno Unito. Senza contare l’impatto catastrofico sull’Nhs, il servizio sanitario nazionale britannico, che entro la seconda settimana di aprile risulterebbe al collasso. Anche con le misure di mitigazione messe in atto da Johnson prima del lockdown (autoisolamento di 14 giorni per chi ha sintomi e i loro familiari, particolare attenzione per gli anziani e invito ai cittadini ad evitare assembramenti), la richiesta di posti letto negli ospedali avrebbe superato di otto volte la capacità attuale.

La “mitigazione”, in breve, sarebbe comunque stata un disastro. Ecco allora la necessità di misure draconiane, dannose per l’economia, ma sicuramente più efficaci contro il virus. Il lockdown all’italiana, insomma. Nel modello dell’Imperial College si sottolinea però che la serrata totale ai fini della “soppressione” del virus non basta. Per fermare il Covid-19 serve comunque un’immunità di gregge, oppure un vaccino. Se infatti le restrizioni venissero revocate troppo presto, si avrebbe una ripresa di casi e focolai. E’ per questo che a Londra si guardano con attenzione i dati cinesi e quelli italiani e degli altri Paesi che sono in anticipo di qualche settimana nella curva del virus rispetto al Regno Unito.

Uno sguardo ai diagrammi deve aver convinto Johnson che il suo approccio iniziale, con il quale ha cercato di preservare la normalità della vita sociale (e una percentuale del pil) nelle prime settimane del virus non poteva funzionare. Prima ancora dell’annuncio delle prime, timide misure restrittive e molto prima del lockdown, molti ospedali britannici (a Londra in particolare) erano già in emergenza. Stesse situazioni e scene viste in Italia e in altri Paesi come la Spagna: insufficienti misure di protezione per il personale e mancanza di un numero adeguato di strutture di rianimazione, mentre il conteggio delle vittime sale.

Sul premier, come sulla gran parte dei leader mondiali, pesa ora il dilemma: avere agito troppo tardi o avere innescato una crisi economica senza precedenti? In entrambi i casi, la risposta è affidata alla Storia, l’unica che darà un giudizio definitivo, al di là delle quotidiane polemiche giornalistiche. Su Johnson, che nel frattempo potrebbe avere infettato mezzo governo e anche la fidanzata Carrie Symonds, che è incinta, pesa anche un altro fardello. Il virus ha colpito anche la famiglia reale, che prima della serrata decisa dal premier ha continuato a mostrarsi in pubblico e a stringere mani come se nulla fosse, fedele come sempre al proprio ruolo, mai in contrasto col governo.

L’erede al trono, Carlo, è positivo al Covid-19. Nulla è dato sapere sulla regina Elisabetta, tra pochi giorni 94enne, barricata nel Castello di Windsor, mentre il secondo in successione, William, è tenuto a debita distanza sia dal padre che dalla nonna. Anche il futuro della Corona potrebbe passare per le scelte fatte da Downing Street.