Cos’è ‘Medi Notes’, l’alternativa all’eurobond  

Cos'è 'Medi Notes', l'alternativa all'eurobond

(Afp)

Pubblicato il: 11/04/2020 17:16

di Mattia Repetto

Con la logica della maggiore efficienza e dei minori costi transattivi, si potrebbe ipotizzare l’idea di abbandonare uno strumento di finanziamento riferibile solo all’Italia nonché quello, assai ambizioso e di difficile motivabilità tecnica, di individuare uno strumento che accomuni Paesi senza merito creditizio con Paesi con alto merito (che non ne avrebbero alcun vantaggio) e proporre, invece, uno strumento finanziario che abbia come garanzia comune quella dei Paesi Mediterranei accomunati da difficoltà individuali (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), denominato ‘Medi Notes‘, che uniscano i relativi patrimoni e capacità reddituali al fine di una emissione comune. E’ quello che propone un’analisi a firma di Michele Briamonte, avvocato partner dello studio Grande Stevens e strategic advisor di Maurizio Casasco, presidente di Confapi, che ha autorizzato oggi la diffusione del documento, di cui l’Adnkronos è venuta in possesso.

Come ricorda lo studio, infatti, “in situazione di tensione degli indici di finanziabilità la finanza privata si è spesso orientata con casi anche di notevole successo, alla soluzione di maggiore efficienza che presentasse i minori costi transattivi (secondo il Teorema di Coase). Si è dunque spesso provveduto alla ‘messa in comune’, al ‘commingly’, delle forze di più entità non autonomamente sufficienti per essere finanziate al fine di renderle tali”.

Lo strumento ‘Medi Notes’ che propone lo studio presenta alcuni vantaggi per gli emittenti: intanto, si legge, la previsione di una clausola di ‘garanzia incrociata’ in modo che i Paesi meno patrimonializzati abbiano vantaggio dalla comunione del debito con quelli che lo sono di più (Italia) e, in parallelo, i Paesi con una spesa pubblica e un debito pubblico maggiore abbiano vantaggio dalla comunione del debito con quelli meno indebitati (Spagna); si migliorano i relativi indici.

Inoltre, altro vantaggio per gli emittenti “sarebbe la previsione di un meccanismo di garanzia in caso di mancato rimborso delle Notes che si alimenti dai pagamenti usualmente dovuti nelle transazioni ai singoli governi (es. Imposta di registro, etc.) asserviti a garanzia dei sottoscrittori. Si garantisce un flusso di cassa per il pagamento e si aumenta il patrimonio a garanzia. Si utilizza la cassa dei privati come ultima risorsa di garanzia ma senza un meccanismo di confisca patrimoniale o sottrazione immediata di beni, né esplicita né implicita”.

Si otterrebbe poi un debito “di qualità migliore rispetto a quello del merito creditizio dei singoli stati e si mitiga il rischio di incapacità di rimborso del singolo debitore; non si pregiudica il merito creditizio dei Paesi Europei del nord e centro Europa in migliori condizioni che, insieme a Imf e Bce potranno essere più agevolmente sottoscrittori delle Notes; infine si evita il rischio di procedure non in bonis sui singoli Paesi in difficoltà a cui gli altri strumenti di finanziamento sono razionalmente preclusi”.

A conclusione dello studio, scrive quindi l’avvocato Briamonte, “anche i sottoscrittori conseguirebbero diversi vantaggi: maggiori beni in garanzia; minore rischio di default; merito creditizio delle Notes migliore di quello dei singoli stati debitori; garanzia di asservimento di flussi al pagamento del debito; infine, appetibilità della sottoscrizione delle Notes anche da parte di altri investitori, mitigazione quindi dell’esborso”.

Gli indicatori principali, ricorda lo studio, che sono stati considerati nella storia recente per l’emettibilità di strumenti finanziari di debito nell’ambito dell’European Financial Stability Facility (Efsf) e dei programmi Europei e Imf, sono principalmente il Rapporto Debito/Pil; l’indice di crescita reale del Pil; l’indice di disoccupazione; le Committments of future consolidations (clausole di salvaguardia); lo spread. Secondo il documento, “la verifica del deterioramento di questi indici è un fattore chiave per valutare le azioni proponibili e i rimedi attuabili”. I dati del fabbisogno e del debito in Italia evidenziano un debito delle amministrazioni pubbliche di 2.443.483 migliaia di euro, che, rapportato al Pil 2019 comporta un rapporto debito/Pil al 2019 del 135,7%. Tale rapporto sarà afflitto dalla decisione del lockdown in misura proporzionale e simmetrica alla durata della sospensione delle attività produttive imposta dal decreto legge del 6 marzo 2020. In caso di lockdown protratto fino al 14 aprile 2020, la produzione del Pil andrà ridotta di sei settimane di produzione, per una somma pari a circa 200 miliardi di euro. In caso di protrazione ulteriore del lockdown la riduzione sarà lineare e simmetrica per circa 30 miliardi di euro di ulteriore pregiudizio per ogni settimana.

Correlativamente, ricorda lo studio dell’avvocato Briamonte, il fabbisogno finanziario dello stato nel periodo che va dal 1 gennaio al 29 febbraio 2020 ammonta alla differenza tra partite creditorie e partite debitorie rispettivamente indicate nel Conto Riassuntivo del Tesoro in 152.301.648.371,49 euro e 652.115.301.034,76 euro. La copertura di tale fabbisogno con le entrate dello Stato “sarà impattato in maniera lineare e asimmetrica dal minor gettito derivante da imposte sul reddito e Iva a causa del lockdown e dal ritardo dell’incasso del gettito atteso nel terzo bimestre 2020 che sarà riscuotibile solo in parte nel tempo previsto e in un orizzonte temporale utile. Il combinato tra il fabbisogno finanziario e il minor gettito comporterà un aumento della correlativa voce del debito per un ammontare pari al fabbisogno non coperto, stimabile in circa 125 miliardi di euro in ragione di mese”.

Per effetto del lockdown innescato dalla crisi Covid-19, pertanto, il rapporto tra Debito e Pil salirà dall’attuale 135,7% (centotrentacinque punto sette per cento) a una percentuale prudenzialmente stimabile prossima al 200% (duecento per cento) assumendo l’imposizione della misura limitativa della produzione per un periodo non superiore a 8-10 settimane. Il rapporto sarà aggravato in caso di ulteriore protrazione del lockdown. Per cui, evidenzia lo studio, “il parametro risulta quindi non favorevole e deteriorato”.

La crescita reale del Pil 2020, analizza ancora lo studio, risulta stimata nel rapporto Imf nel 0,4% sul 2019. Per effetto del lockdown dovuto alla pandemia Covid-19 mancheranno le componenti di reddito impedite dalla misura impeditiva. Pertanto la recessione indotta dalla crisi sarà simmetrica e lineare con il periodo di lockdown. Se ipotizzato per una durata di 8-10 settimane l’effetto recessivo stimato è tra il 15% e il 20%. Anche in questo caso, si legge, “il parametro risulta quindi non favorevole e deteriorato”.

Lo studio analizza anche la tematica dell’occupazione: i dati Istat rilevano un indice di disoccupazione pari al 9,7% con una popolazione di occupati di 23.262 migliaia, di cui 14.940 dipendenti permanenti, 3.106 migliaia dipendenti a termine e 5.216 migliaia indipendenti. Per effetto del lockdown e del relativo periodo di riavvio necessario alla riapertura delle attività sospese, gli studi internazionali accreditati indicano che uno dei primi fattori di riduzione sarà quello del costo del lavoro (in uno al costo degli investimenti programmati). Pertanto, al giorno ‘1’ della riapertura, “se in alcuni settori i dipendenti a termine potranno essere ancora occupati (agricoltura) in molti altri no, ed è prudente immaginare che una quota dei dipendenti a termine passerà tra gli inoccupati. Allo stesso modo per gli impiegati indipendenti”, scrive l’avvocato nello studio.

Come effetto della composizione della classe degli occupati in Italia, “è doveroso considerare che il tasso di disoccupazione salirà, secondo le specifiche sensitività, in maniera proporzionale al non riassorbimento dei dipendenti a termine nel mercato e dei lavoratori indipendenti che non riusciranno a riprendere le attività (come quelle ‘cash driven’, in cui la cassa di una settimana o mese viene utilizzata per il periodo successivo: parrucchieri, dettaglianti, ristoranti, piccoli alberghi, etc.). Applicando un indice di non-riassorbimento lineare e simmetrico pari alla durata del lockdown fino a 8-10 settimane l’indice attuale (prevedendo un non riassorbimento di circa 1.550 migliaia di unità) salirebbe da 9,7% a circa 18%. Anche sul fronte occupazionale “il parametro risulta quindi non favorevole e deteriorato”.

Quanto alle due variabili delle clausole di salvaguardia e dello spread, queste “presentano deterioramenti verificabili giornalmente sul mercato. Sono entrambi non favorevoli. La crisi pandemica non fa venire meno la considerazione di nessuno di essi in nessun investitore, né pubblico, né privato. Alla luce di quanto sopra risulta estremamente difficile individuare strumenti idonei per finanziare in bonis un Paese che esponga i sopra indicati indici”, scrive Briamonte.