Nuovo anticorpo svolta per bimbi con emofilia A grave  

Nuovo anticorpo svolta per bimbi con emofilia A grave

(Fotogramma)

Pubblicato il: 12/12/2018 19:24

“Immaginate la vita di un bambino di 1-2 anni che va incontro a frequenti emorragie, anche 30-40 l’anno, praticamente una quasi ogni settimana. Che per trattarle deve assentarsi spesso da scuola, con conseguenze anche sul lavoro della mamma; che entra ed esce dall’ospedale e in ambulatorio lo aspetta l’incubo ripetuto dell’ago per la terapia endovenosa. Lui urla, la mamma piange perché si sente impotente”. E’ alto il prezzo di una malattia come l’emofilia A complicata dallo sviluppo di inibitori del fattore VIII della coagulazione del sangue. I rischi della vita di tutti i giorni sono tanti, l’entusiasmo che caratterizza i più piccoli, la voglia di andare in bici o giocare a pallone, devono essere contenuti perché una caduta si paga cara in presenza della patologia. “E così anche la vita sociale diventa molto limitata”.

A raccontare la quotidianità dei piccoli colpiti dalla forma più grave di emofilia A è Elena Santagostino, responsabile dell’Unità operativa semplice di emofilia del Policlinico di Milano e presidente dell’Aice (Associazione italiana centri emofilia), oggi in occasione di un incontro promosso da Roche in cui si è annunciato l’arrivo in Italia di emicizumab, anticorpo monoclonale umanizzato bispecifico indicato per la profilassi di routine degli episodi emorragici in questa tipologia di pazienti. Una terapia che si somministra sottocute una volta a settimana e che, anche per questo, secondo la specialista “può avere un impatto dirompente sulla qualità di vita soprattutto dei pazienti pediatrici, con la possibilità di fare la terapia a casa, di ottenere il crollo osservato negli studi del tasso di sanguinamento, e quindi il ritorno a una vita normale per la famiglia. Un passo avanti è anche quello della possibilità di prevenire così il danno articolare e la disabilità che porta con sé. In alcuni bimbi, che avevano già questi danni, vediamo anche regredire i segni di infiammazione”.

La speranza e le aspettative sono tante anche per i pazienti adulti. Come Walter Daveri, che racconta di aver avuto “la possibilità di testare il farmaco dopo aver passato fasi della vita in cui – ricorda – sono stato trattato con le più svariate tipologie di terapie. Ero abituato a fare infusioni al bisogno, ripetute e ravvicinate, e poteva succedere in qualsiasi posto o momento, anche di notte. Intanto, col passare del tempo, gli accessi venosi diventano sempre più scarsi. A volte, pur intervenendo il prima possibile in presenza di un emartro (tipica manifestazione emorragica della malattia che porta a un versamento di sangue nella cavità articolare, ndr), non si riesce comunque a fermare il dolore”.

I pazienti con emofilia A e inibitori parlano spesso di vita precaria, senza una protezione, di impossibilità di programmare i propri impegni. Daveri racconta che, quando ha cominciato la terapia con emicizumab, la “prima svolta importante” per lui è stata la “somministrazione sottocute”, vissuta in maniera più agevole. E la possibilità di “riprendere in mano la vita. Non aver più avuto manifestazioni emorragiche mi ha permesso di muovermi, di fare attività manuali, persino di affrontare la ristrutturazione di casa. Cambia l’approccio alla propria quotidianità”, dice.

Traguardi che per questo segmento di pazienti hanno un peso significativo: “Oggi l’impatto sociale dell’emofilia tutto sommato è contenuto, perché esistono farmaci che consentono una buona compensazione della malattia. Per chi ha gli inibitori purtroppo la situazione è molto differente – osserva Andrea Buzzi, presidente di Fondazione Paracelso – Le persone si trovano in affanno perché questa complicanza non consente l’accesso alle terapie standard e le riporta in una condizione molto simile a quella vissuta 50 anni fa dai pazienti quando non esistevano trattamenti. Quindi queste persone vedono gli altri emofilici con malattia senza inibitori condurre un’esistenza più normale e invece loro sono spesso flagellati dai sintomi”.

L’arrivo del nuovo farmaco “è accompagnato quindi da tante aspettative. I dati degli studi e dell’uso clinico nei Paesi che ci hanno preceduto sul mercato sono molto confortanti, sia per l’efficacia che è risultata notevole che per la via di somministrazione sottocute, aspetto che fa l’enorme differenza. Oggi anche per chi non ha la complicanza dell’inibitore l’accesso venoso è un bel problema. Penso ai pazienti adulti, ma anche ai genitori che devono convincere un bambino in tenera età a farsi bucare”. Per accogliere l’innovazione terapeutica, sottolinea Santagostino, “ci stiamo organizzando perché venga garantito un accesso rapido e facile in maniera omogenea su tutto il territorio. Serve poi informazione ai pazienti e educazione dei medici, non solo quelli specializzati, affinché tutti imparino a conoscere il farmaco e il suo meccanismo nuovo”.