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Pubblicato il: 14/12/2018 20:44
Sei anni di reclusione: è questa la sentenza pronunciata oggi, dopo otto ore di camera di consiglio, dai giudici del Tribunale di Arezzo, nei confronti di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, entrambi 27enni residenti a Castiglion Fibocchi (Arezzo), condannati per la morte della ventenne genovese Martina Rossi, precipitata dal sesto piano dell’hotel Santa Ana a Palma di Maiorca il 3 agosto del 2011. Il verdetto è stato letto dal presidente del collegio Angela Avila, con a latere i giudici Giulia Soldini e Claudio Lara.
Due erano le accuse contestate agli imputati: la prima è quella di morte come conseguenza di altro reato; la seconda è la tentata violenza di gruppo. Il procuratore capo Roberto Rossi aveva chiesto una condanna a sette anni di reclusione: tre anni per la morte come conseguenza di altro reato e quattro per la tentata violenza di gruppo.
Secondo la ricostruzione della Procura aretina, al ritorno dalla notte in discoteca, la ragazza sarebbe salita in camera dei due giovani di Castiglion Fibocchi perché nella sua camera le amiche erano in compagnia degli altri due ragazzi della comitiva di aretini e avevano formato due coppie.
Sempre secondo la Procura, Martina Rossi sarebbe stata oggetto di un tentativo di stupro, come proverebbe il fatto che i pantaloncini le erano stati sfilati e non furono mai ritrovati, e come proverebbero i graffi al collo di Albertoni. Poi, sempre secondo il pm e i legali della famiglia Rossi, Martina avrebbe tentato una fuga disperata: vide il muretto sul balcone che separava la stanza dei due giovani da un’altra e lo considerò la via di fuga ideale, ma in preda alla paura successiva all’aggressione e tradita dalla scarsa vista, poiché era miope e non aveva gli occhiali in quel momento, perse l’equilibrio e cadde nel vuoto, quasi sulla verticale del muretto stesso.
Il muretto che separava le due camere, un divisorio di circa un metro di altezza e quaranta centimetri di larghezza, secondo i legali della difesa, Stefano Buricchi e Tiberio Baroni, avvocati rispettivamente di Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, sarebbe stata, invece, la prova del suicidio della giovane perché – questa la tesi sostenuta durante tutto il dibattimento – poteva essere scavalcato con facilità, e se Martina fosse voluta scappare, avrebbe potuto farlo senza grosse difficoltà.
Per gli avvocati Tiberio Baroni e Stefano Buricchi, rispettivamente difensori di Albertoni e Vanneschi, non esisterebbero prove della tentata violenza sessuale e la ragazza si sarebbe volontariamente lanciata dal balcone della camera al sesto piano dell’hotel, come evidenziato, sempre secondo loro, dalla testimonianza di Francesca Puga, cameriera dell’albergo, che vide Martina cadere e riferì che la giovane non urlò nel precipitare, che era sola e che nessuno la inseguiva. Inoltre, i due legali della difesa hanno sottolineato che l’inchiesta dei magistrati spagnoli si era chiusa senza ombre per i ragazzi, mentre la situazione psicologica di Martina Rossi era fragile con precedenti gesti autolesionistici.
Bruno Rossi, padre di Martina, commentando la sentenza, dice: “Martina era solare e allegra. Per sette lunghi anni è stata dipinta come una malata, ma lei era piena di vita. Questa sentenza lo dimostra e rende giustizia”. I genitori di Martina Rossi, Bruno e Franca, hanno seguito tutte le udienze del processo e anche oggi erano in aula. “Ho sempre creduto nella giustizia italiana che ha lavorato bene – ha concluso il padre della ventenne genovese – e questa sentenza ripaga la mamma di Martina di tanta sofferenza”.
Stefano Buricchi, legale di Vanneschi, annuncia: “Lavoreremo per l’appello. Sono fermamente convinto dell’innocenza del mio assistito e andrò avanti con fiducia fino, se necessario, al terzo grado di giudizio. Se esistono tre gradi di giudizio significa che i giudici possono sbagliare”.