Somalia, il testimone italiano: “Prima l’esplosione, poi il panico”  

Somalia, il testimone italiano: Prima l'esplosione, poi il panico

Pubblicato il: 01/10/2019 10:31

“Ero in pista a Baledogle, mentre camminavo sono stato accecato da una luce rossa, tipo scia di un razzo, l’ho seguita e poi ho visto la fiammata. Non ero molto distante, una quarantina di metri. Ci sono stati attimi di panico”. Armando Cofrancesco, ingegnere civile 38enne, racconta all’Adnkronos come ha vissuto l’attacco di ieri ai danni di una base militare usata dagli americani, in Somalia. Originario di Cerreto Sannita, in provincia di Benevento, da agosto si trova a Baledogle per supervisionare il progetto di costruzione di una pista aeroportuale che servirà agli Stati Uniti sia per i controlli che per gli aiuti umanitari.

“Poco prima dell’esplosione – continua – stavo cercando di videochiamare mia padre che non rispondeva. Ero da solo perché ero andato in stanza a prendere dei materiali e tornare in cantiere, dove c’era tutto il gruppo. Poi il boato, il panico, e sono scappato. Non mi ricordo i momenti immediatamente successivi. Ad esempio, non ricordo il tratto di strada che ho percorso per tornare al bunker, pur se in questi mesi l’ho fatto migliaia di volte. Il primo ricordo che ho è del soldato armato piazzato davanti al bunker che ci ha detto di entrare subito”.

Ora siamo chiusi nelle nostre stanze e aspettiamo disposizioni – racconta ancora l’ingegnere – Non so, credo ci sarà una sospensione dei lavori. Stiamo razionalizzando poco alla volta”. “Siamo stati fortunati perché il primo camion – spiega ancora – è esploso prima di raggiungere quello che penso fosse l’obiettivo: il cancello laterale di servizio della base americana. Probabilmente, poiché viaggiava a tutta velocità, non ha visto gli scavi che avevamo realizzato all’esterno per prelevare materiale per la pista e ci è finito dentro esplodendo. Questo ha dato modo agli americani di organizzarsi e reagire. Neanche il secondo camion è riuscito ad entrare. Dal bunker sentivo solo il rumore delle armi”.

E poi la rabbia: “Qui ogni giorno ci sono droni e un dirigibile permanente che controllano e monitorano. Possibile non vedere due camion che si stanno avvicinando in maniera sospetta? Noi non siamo all’interno della base americana, il nostro campo è situato in un complesso militare gestito dalle forze unite africane. Abbiamo libero accesso alla pista, ma se dobbiamo entrare in cantiere occorre fare il check in dalla base statunitense”.