Strage Bologna, ergastolo per Cavallini  

Strage Bologna, Cavallini: Galera meritata ma non accetto pagare per cose non fatte

(Adnkronos)

Pubblicato il: 09/01/2020 13:41

“Sono in carcere dal 12 settembre 1983, ho perso il conto dei giorni, sono anni di galera che mi sono meritato, non lo contesto, li ho scontati tutti, sono pronto a scontarne ancora, la cosa non mi piace però lo accetto, perché comunque credo di avere fatto delle cose per le quali queste condanne siano state meritate. Quello che non accetto è dover pagare per quello che non ho fatto, non solo in termini carcerari ma anche di immagine e di credibilità”. Così Gilberto Cavallini, ex Nar, nella sua testimonianza, in aula, al processo che lo vede imputato per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna per la quale furono condannati in via definitiva Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, come esecutori materiali, mentre Cavallini è accusato di aver fornito supporto logistico all’attentato. La Camera di Consiglio, dopo la sua deposizione, si è ritirata per decidere la sentenza che è attesa per il tardo pomeriggio.

“Noi, con i miei compagni di gruppo, tutto quello che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto alla luce del sole, a viso scoperto, lo abbiamo rivendicato, l’abbiamo pagato, ci siamo resi conto tutti che è stato tutto inutile e comunque sbagliato, in qualche maniera abbiamo cercato di riparare, chi più chi meno con i mezzi che poteva e, a questo punto, e non da oggi, trovarci ancora a dover subire la mistificazione della nostra storia è una cosa che io non posso accettare” aggiunge Cavallini.

“Tutto il resto non ci appartiene – prosegue -. Per quello che abbiamo fatto, qualcuno di noi ha lasciato anche la vita in mezzo alla strada, oltre alle nostre vittime, quelle che abbiamo causato, abbiamo lasciato a terra Alessandro Alibrandi, Giorgio Vale, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti hanno rischiato di morire, Luigi Ciavardini è stato ferito e io non sono stato ammazzato quando sono stato arrestato, per fatalità, perché ho fatto di tutto per offrire la mia vita”.

“Io sono pentito di quello che ho fatto, di quello che non ho fatto non mi posso pentire, quindi io, anche a nome dei miei compagni di gruppo, non abbiamo da chiedere perdono a nessuno per quello che è accaduto in questa città il 2 agosto 1980. Anzi, ribadisco il concetto espresso da Francesca Mambro di fronte a una corte d’Assise di questa città qualche anno fa che ‘qui a Bologna non siamo noi che dobbiamo abbassare gli occhi'” dice Cavallini.

“Se voi credete che dei ragazzini di poco più di 20 anni, addirittura dei minorenni, siano stati o siano la lotta armata o gli esecutori da parte di organi o gruppi di potere come la P2 o criminali come la mafia, come si sta cercando di far vedere in questi giorni a mio carico, fate un grosso errore e non fate un grosso servizio né alla verità, né al Paese” sottolinea l’ex Nar.

“Poi – prosegue -, io sono pronto a subirne tutte le conseguenze perché mi sono imposto di accettare tutto quello che mi viene e di offrire la mia sofferenza a Nostro Signore, quindi non mi lamenterò neanche di questo. Però non accetto che tutto questo venga spacciato, presentato come una verità alla quale sia doveroso credere”.

E ancora: “Non ho voluto mai coinvolgere la persona che, il 2 agosto, ho incontrato e poteva fornirmi un alibi, farlo trascinare in tribunale per testimoniare se ha incontrato me, dopo 40 anni. Anche per una questione di principio, per me è stato un amico e non voglio metterlo in difficoltà su una situazione di cui non sono sicuro. E se non se lo ricorda? Oppure nel caso peggiore è incavolato con me che l’ho portato in tribunale, mi dà del pazzo e dice che non mi conosce? Che cosa viene fuori? Che sto nascondendo chissà chi e chissà cosa” dice Cavallini.

“E’ un falso problema, quello dell’alibi – dice – anche perché, quand’anche questa persona dovesse attestare che sono stato da lui quel giorno, comunque avrebbe visto solo me e non Fioravanti, Mambro e Ciavardini, che erano al mercato a Prato di Valle (Padova). E’ un alibi che servirebbe solo a me”. E “già io non ricordo – spiega – se quel giorno ci siamo effettivamente visti, né il suo cognome, né dove abita a Padova. Anche se lui testimoniasse che quel giorno eravamo insieme, sarebbe creduto? L’accusa direbbe che è un mio complice che mi filettava addirittura le pistole”.