Assoluzione Calogero Mannino, le motivazioni 

Assoluzione Calogero Mannino, le motivazioni

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Pubblicato il: 14/01/2020 18:27

“Non è stato affatto dimostrato che il Mannino fosse finito anch’egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte e indimostrate promesse non mantenute (addirittura, quella del buon esito del primo maxi processo) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria per il reato di cui agli art. 110, 416 bis c.p., che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a ‘cosa nostra’ quale esponente del governo del 1991, in cui era rientrato dal mese di febbraio di quello stesso anno” così si legge nelle motivazioni della sentenza emessa dai giudici di Appello di Palermo che hanno assolto l’ex giudice Calogero Mannino dall’accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato”.

Per la Corte d’Appello di Palermo “non solo non è possibile ribaltare con valutazione rafforzata, al di là, cioè, di ogni ragionevole dubbio, la sentenza di primo grado trasformandola in condanna ma anzi, è stata in questa sede ulteriormente acclarata l’assoluta estraneità dell’imputato a tutte le condotte materiali contestategli in rubrica e tanto a prescindere da una valutazione più complessiva – sia dal punto di vista della ricostruzione storica, sia di quella giuridica che della cosiddetta ‘trattativa Stato – mafia”. “Se davvero, come da contestazione, l’imputato fosse stato così vicino a ‘cosa nostra’ da essere un suo stabile interlocutore politico, costui non avrebbe di certo avuto bisogno, per proporle un patto per sé ‘salvifico’, né dei militari del Ros né del suo acerrimo nemico politico, Vito Ciancimino, ben potendo presentarsi egli stesso ai vertici del sodalizio come prestigioso mediatore (all’epoca era ancora Ministro) per sé stesso e per lo Stato italiano”. “L’ipotesi del suo coinvolgimento non solo, dunque, non è riscontrata, ma si appalesa, ancora una volta, illogica“, dicono i giudici.

Sono “pacifiche e pubbliche” le minacce subite dal ministro Mannino, si legge nelle motivazioni della sentenza, “il suo timore e l’attivazione di tutte le forze di pubblica sicurezza e di intelligence dello Stato italiano a tutela della sua persona, ivi compreso il Ros e i servizi segreti, cui lo stesso ebbe pure a rivolgersi, ciò non di meno è rimasto parimenti indimostrato che tali contatti, per nulla occulti, fossero finalizzati all’avvio di una trattativa con “cosa nostra”.

“La strategia avviata con l’omicidio Lima e certamente proseguita con la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio non era certamente quella finalizzata a ottenere dallo Stato concessioni o a indurlo a trattare”.