Virus, le novità da un nuovo studio 

Virus, le novità da un nuovo studio

(Fotogramma)

Pubblicato il: 08/02/2020 12:00

Uno nuovo studio pubblicato su ‘Jama’ smentisce che il nuovo coronavirus cinese colpisce più i maschi come si era pensato nelle prime settimane dell’epidemia. “La prima cosa che emerge dall’analisi del nuovo studio è la smentita di uno dei dati che sembrava evidenziarsi dalle prime segnalazioni, ovvero il fatto che il sesso maschile fosse molto più colpito rispetto a quello femminile. Dei 138 pazienti analizzati, solo poco più della metà (75) è rappresentato da maschi”. Lo sottolinea il virologo Roberto Burioni commentando lo studio su ‘MedicalFacts’, il suo sito di informazione scientifica.

“Questo fa capire come sia difficile interpretare correttamente i dati nei primi giorni di un’epidemia, quando le prime osservazioni cliniche possono essere influenzate dalla maggiore esposizione a un dato fattore di rischio – prosegue Burioni – Nel caso specifico, il più alto numero di maschi infettati nelle prime ore era probabilmente legato al fatto che maggiore era il numero di maschi che frequentava l’ormai famigerato mercato di Wuhan”. Nello studio sono descritte le caratteristiche di 138 pazienti ricoverati dal primo gennaio al 28 gennaio nell’ospedale di Wuhan e i cui dati clinici sono stati raccolti fino a cinque giorni fa (3 febbraio). “Questo nuovo studio porta a quasi 650 i pazienti finora descritti, aumentando ulteriormente la nostra conoscenza delle caratteristiche cliniche delle forme più gravi di quest’infezione”, evidenzia Burioni.

“Dall’analisi delle caratteristiche generali dei pazienti ricoverati emerge come maggiormente colpita sia la fascia tra i 55 e i 60 anni di età (mediana 56 anni). È interessante notare – sottolinea Burioni – come in media erano 5 i giorni che passavano dai primi sintomi più lievi a quelli più importanti, mentre erano 7 i giorni dai primi sintomi al ricovero in ospedale. Questo sicuramente è un fattore che ha favorito la diffusione del virus a Wuhan e nello Hubei durante le prime settimane dell’epidemia”.

I segni e sintomi più frequenti sono febbre (presente in tutti i pazienti ospedalizzati tranne due), spossatezza (presente in circa il 70% dei casi ricoverati) e tosse secca (ovvero senza grossa produzione di muchi, presente in circa il 60% dei pazienti) – prosegue – Non mancano, però, presentazioni meno frequenti come il rifiuto del cibo (40%), dolori muscolari (35%), evidenti difficoltà respiratorie (31%), mal di gola (17,5%) o sintomi gastroenterici come diarrea (10%) e nausea (10%)”.

Lo studio “ci dà uno spaccato importante delle forme più gravi dell’infezione, quelle che richiedono il ricovero in terapia intensiva e mettono a rischio la vita del paziente a seguito di una drammatica compromissione della sua capacità di respirare. Fra quelli descritti, ben 36 pazienti (il 26%, più di uno su quattro) sono finiti in terapia intensiva, con un maggior rischio per i più anziani (mediana 66 anni) e per quelli con altre patologie, come ipertensione, diabete e patologie cardiovascolari”.

“Dei pazienti più gravi, 6 non ce l’avevano fatta al 3 febbraio con una mortalità, quindi, superiore al 4%. Ricordiamo, però, che questo valore di mortalità – spiega ancora il virologo – si riferisce a pazienti ospedalizzati, ovvero colpiti da una forma più severa dell’infezione”.

Per quanto riguarda i contagi “nello studio si descrivono 40 casi verificatisi in operatori sanitari e 17 casi in pazienti già ricoverati in quell’ospedale per altri motivi. Più del 40% del totale. Una situazione – sottolinea Burioni – incredibile che ricorda molto, anzi probabilmente supera, quanto già avvenuto per la Sars“, evidenzia il virologo Roberto Burioni, commentando lo studio sul suo sito ‘MedicalFacts’.