Covid e lavoro, cosa succede: fotografia di Confindustria 

Covid e lavoro, cosa succede: fotografia di Confindustria

Immagine di repertorio (Afp)

Pubblicato il: 28/11/2020 10:34

Nonostante la “drammatica caduta dell’output manifatturiero” a causa della crisi scatenata dall’epidemia di coronavirus, l’occupazione italiana ha sostanzialmente tenuto per effetto di una serie di ‘cuscinetti’ che ne hanno impedito il crollo, dalla sostanziosa riduzione degli orari di lavoro fino allo stop ai licenziamenti. A scattare a fotografia in bianco e nero della situazione del mercato del lavoro ai tempi del Coronovirus è il centro studi di Confindustria negli “scenari industriali” di novembre.

“Dal punto di vista dell’occupazione la drammatica caduta dell’output manifatturiero è stata quasi interamente assorbita dalla riduzione del monte-ore lavorate (-23%), a fronte della sostanziale tenuta del numero degli occupati complessivi (-0,6%). Hanno fatto da cuscinetto un’ampia gamma di forme di riduzione dell’orario, lo smaltimento delle ferie e l’utilizzo di congedi, il ricorso rapido e massiccio a strumenti di integrazione al reddito da lavoro , in primis la Cig in deroga. Ma, naturalmente, ha contato fin qui anche il blocco dei licenziamenti, anche nel confronto internazionale”, spiegano gli economisti di viale dell’Astronomia.

Quello che sta cambiando , dicono, “è la struttura dell’occupazione: flette al Centro-Sud mentre mostra qualche segno di recupero al Nord”. La dinamica occupazionale, infatti, “appare fortemente eterogenea a livello territoriale”. Anzi, annotano ancora Confindustria, nel corso dell’intero periodo post-crisi il Paese “appare letteralmente diviso in due: da un lato il Nord (occidentale e orientale), sempre al di sopra della media nazionale, e dall’altro il Centro-Sud, sempre al di sotto”.

E mentre nelle prime due aree, e in particolare nel Nord-ovest, i livelli dell’occupazione recuperano alla fine dell’ultimo decennio quasi tutto quello che era stato perduto nei primi anni, nelle altre due il recupero è pressoché assente, e il divario rispetto al Nord resta evidente”. A risultare in calo le donne, i lavoratori al di sotto dei 35 anni e la componente autonoma dell’occupazione. A favorire cambiamenti anche nella struttura dell’occupazione, in prospettiva, anche le politiche di rilancio in corso di definizione a livello europeo, orientate a incentivare la transizione digitale ma solo se “allo sviluppo del capitale fisico si accompagnerà quello del capitale umano”.

Formazione dunque al centro:del Censimento permanente delle imprese per il 2018. medio nasconde, tuttavia, concludono, ampie differenze settoriali: la formazione ha interessato una percentuale di imprese più alta della media, ad esempio, nei comparti chimico e farmaceutico (28,4% e 36,8% rispettivamente), più bassa nei comparti del tessile e dell’abbigliamento (18,6% e 14,0%).

“L’impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura italiana è stato immediato e violento: nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%”. Eppure il Paese ha offerto “una maggiore reattività allo shock pandemico” e, rispetto ai partner europei, “ha mostrato una contrazione nei tassi di crescita relativamente contenuta”. Ma il deficit di crescita “è ormai strutturale”.

Ad alimentarlo, “oltre a una incertezza divenuta ormai permanente, la graduale erosione della domanda interna che limita la possibilità per i produttori nazionali di trovare spazio sul mercato domestico”. E soprattutto spicca “il crollo della componente pubblica degli investimenti”, in calo costante dal 2011″ mentre meglio sono andati quelli privati che si sono potuti “risollevare anche grazie agli effetti positivi del Piano “Industria 4.0”, dicono ancora gli economisti di viale dell’Astronomia. A partire dal 2014 infatti, si è avuta una vera e proprio ripresa dei flussi di investimento privati, arrivata fino al 2018e che nel corso dei 4 anni “ha registro una variazione positiva di quasi il 13% anche se il livello raggiunto è stato inferiore di quasi 20 punti percentuali rispetto al picco del 2007”.

Se al termine del lungo lockdown il recupero dei livelli produttivi da maggio in poi “è stato pressoché istantaneo e nel giro di 4 mesi il livello di produzione ha registrato un incremento del 76% rispetto al minimo toccato ad aprile”, la nuova ondata di pandemia in autunno ha rigettato il Paese in previsioni negative, “in linea con l’aumento dei contagi a livello globale e con l’introduzione di nuove misure restrittive”.