Mazara, pescatore indonesiano: “Subìto violenze psicologiche” 

Mazara, pescatore indonesiano: Subìto violenze psicologiche

Foto Adnkronos

Pubblicato il: 20/12/2020 16:02

Dall’inviata Elvira Terranova

“Ogni mattina, poco dopo le sei, battevano i pugni forte contro la porta per svegliarci. Non la smettevano più. Era un tormento. Quando gli chiedevamo quando avremmo lasciato la prigione allargavano le braccia e ci dicevano ‘Solo Dio lo sa’. Poi andavano via. Ho avuto tanta paura. Non tanto di morire ma di non potere più tornare nel mio paese”. Giri Indra Gunawan, 43 anni, è uno dei due pescatori indonesiani liberati insieme in Libia. Accanto a lui c’è il collega, anche lui indonesiano, Samsudin Moh di 40 anni. I due sono ospiti dell’armatore in un albergo di Mazara. Giri racconta, per la prima volta, in un inglese incerto, i 108 giorni di prigionia in Libia.

“E’ stato terribile – racconta – ci hanno fatto cambiare prigione tre volte”. Gli stranieri non sono stati tenuti insieme con gli otto pescatori italiani. “Ci hanno divisi dopo un po’ di giorni – racconta Giri – ci hanno portato in tre posti diversi”. Ma per una settimana sono rimasti sulla barca, solo gli stranieri. “Gli italiani erano altrove – racconta – ma non lo sapevamo. Poi ci siamo riuniti”.

I tunisini sono stati portati in un altro posto ancora. Giri parla soprattutto di “violenze psicologiche”. “Non ci hanno picchiato”, racconta. “Però ci umiliavano e ci facevano delle angherie- spiega – non ci dicevano mai niente sulla nostra prigionia”.

Ma cosa ricevevano da mangiare? “La mattina un panino piccolo – racconta – poi a pranzo del riso o dei maccheroni e a volte del pollo. E per cena non sapevamo cosa ci dissero. Ho odorato una volta quell’intruglio e credo che ci fosse del curry. Ma non so dire che cibo fosse”. Un’altra violenza psicologica riguarda i bisogni fisiologici. “Ci davano al massimo dieci minuti per potere andare al water – racconta con gli occhi ancora impauriti – non potevamo restare di più, altrimenti ci facevano uscire. E’ stato tremendo”.

Il contratto di lavoro dei due indonesiani è scaduto lo scorso 26 novembre. “Adesso, dopo la quarantena torneremo in Indonesia – dice Samsudin – qui non abbiamo più un contratto e siamo costretti a tornare nel nostro paese”. Nei 108 giorni di prigionia, Giri è diventato “ancora più religioso”. L’uomo è musulmano. “L’unica nota positiva di questa esperienza – racconta – è che ho pregato tanto, sono ancora più religioso”.