Ciclismo: quando Coppi ‘costrinse’ Campagnolo a diventare il numero 1 della meccanica 

Quando Coppi costrinse Campagnolo a diventare il numero uno nel mondo delle bici da corsa: con una molla

Fausto Coppi con Tullio Campagnolo

Pubblicato il: 31/12/2020 14:22

Il 2 gennaio di ogni anno si ricorda l’anniversario della morte improvvisa di Fausto Coppi, stroncato nel 1960 a 40 anni da una malaria contratta durante una battuta di caccia in Africa e non riconosciuta dai medici che lo ebbero in cura. “Il grande airone ha chiuso le ali”, fu l’attacco fulminante del necrologio di Orio Vergani sul Corriere della Sera, dando così l’ennesimo soprannome a quello che per tutti era il Campionissimo, con un palmarès sconfinato, ma che prima di diventare tale era “un semplice gregario” (però di Bartali), come amava ripetere lo stesso Coppi, e che la mitica maglia nera Luigi Malabrocca, tra i primi a vederlo dare le prime pedalate sportive già da dilettante , chiamava confidenzialmente “strafùso di Castellania”, il paese in provincia di Alessandria dove era nato e che dal 2019 si chiama ufficialmente Castellania Coppi.

Sul campione Coppi si è scritto tutto il possibile, gossip compreso: la lista dei successi in vent’anni di carriera fa parte della mitografia sportiva (5 Giri d’ Italia, 2 Tour de France, 1 Campionato del mondo su strada, 3 Milano – Sanremo, 1 Parigi – Roubaix, 5 Giri di Lombardia, 1 Freccia Vallone, 4 Campionati 1taliani su strada, il record dell’ora su pista in piena guerra, nel ’42, e via elencando); le sue avventure sentimentali davano scandalo in un’Italia al meglio del suo storico bigottismo, ma acqua fresca se confrontate con quelle del francese Anquetil, che viveva in un castello con due donne.

Un aspetto del Coppi sportivo è però rimasto sempre in ombra, e cioé la sua ossessione per la perfezione meccanica. Anche l’Airone, come ogni grande campione e praticamente tutti i professionisti sia dell’epoca sia di oggi, aveva una conoscenza profonda del mezzo che lo consegnò all’Olimpo dello sport; in questo a lui era simile Marco Pantani, la cui ossessione per il mezzo è leggenda corrente.

Ed è qui che s’innesta il rapporto con Tullio Campagnolo, il vulcanico inventore dei meccanismi che da decenni occupano il vertice della componentistica a due ruote e fondatore dell’iconico marchio della ruota alata. Oggi la lotta sul mercato vede come protagonisti Campagnolo, Shimano e Sram, e solo la casa italiana è sopravvissuta alle analoghe lotte che vedevano altri marchi oggi scomparsi, e da lungo tempo, anche a causa delle scelte di Coppi.

Ai tempi di Coppi il vertice era rappresentato dalla francese Simplex, mentre Bartali correva con il Vittoria Margherita dei fratelli Nieddu e Coppi stesso con il Corsa Campagnolo: quelli italiani cambi a bacchette, macchinosi e quindi aleatori oltre che pericolosi, fortunatamente scomparsi; e nel ’49 si verifica l’episodio che fece di Campagnolo quel simbolo di made in Italy ante litteram che è oggi, proprio grazie a Fausto Coppi. Meglio: grazie a un tradimento di Coppi. La storia è raccontata, quasi di soppiatto, in “Campagnolo. La storia che ha cambiato la bicicletta” di Paolo Facchinetti e Guido Rubino, per edizioni Bolis. La racconta Andrea Carrea, fedelissimo gregario di Coppi.

Il Campionissimo correva dal ’46 per la Bianchi, legata a Campagnolo. Ma nel ’49, all’improvviso -c’è chi dice per un contratto robusto- Coppi passa improvvisamente al Simplex. Può farlo, ha vinto per primo nella storia del ciclismo l’accoppiata Tour-Giro, nessuno e nemmeno la Bianchi può dirgli no. Tullio Campagnolo, un genio sì ma anche un omone temuto da operai e ingegneri perché manesco e burrascoso, salta su tutte le furie, litiga col suo grande amico Aldo Zambrini, il patron della Bianchi: ma anche lui deve infrangersi sulla montagna Coppi.

“Era stato per un accordo personale tra i francesi e Fausto -ricorda Carrea nel libro-. Ma a me non piaceva proprio, non mi ci trovavo bene. Ricordo ancora la tappa Cosenza-Salerno di quel Giro: la vinse Coppi in volata, io ero nel gruppone dei primi ma nel cambiare mi saltò tutto, arrivai con più di un minuto di distacco, tanto mi ci era voluto per rimettere a posto la catena. In quel momento, tra me e me, dissi basta col Simplex. Fortuna che anche Coppi stesso era della stessa idea, nonostante alla fine quel Giro lo vinse grazie all’impresa solitaria nella Cuneo-Pinerolo”. E qui si entra nel si dice, nell’atmosfera poco chiara di quegli anni. Una voce che gira tra i collezionisti è che alla Fiera di Milano di quell’anno Tullio parlò a lungo con Fausto, probabilmente insieme al meccanico di fiducia di Coppi, il mitico “Pinella” De Grandi.

Campagnolo, spinto da furia di sorpassare Simplex, aveva semplificato il Corsa, e convinse il campione anche siglando con lui un contratto all’epoca stratosferico, 23 milioni di lire in tre anni “per testare le innovazioni, suggerire migliorie, raccogliere le confidenze dei colleghi e poi riferire”. A quei tempi un operaio guadagnava 24.000 lire l’anno. Inizia così una collaborazione che non finirà più, e che porterà Campagnolo a sconfiggere Simplex nel suo campo, il cambio a parallelogramma (simile a quelli di oggi) inventando il primo cambio veramente moderno della storia: il Gran Sport. La novità? Una banalissima molla.

Se nel Simplex bisognava fare due manovre per spostare la catena da un pignone all’altro, grazie a quella molla nel Gran Sport -il padre di tutti i cambi oggi esistenti- ne basta una, con una sola levetta. Nel ’52 Coppi vince (ancora una volta, dopo la primizia della doppietta nel ’49) Giro e Tour con il Gran Sport Extra. E’ curioso ricordare che l’ultimo a vincere Giro e Tour insieme fu Marco Pantani: su Bianchi montata Campagnolo.

(di Paolo Bellino)